lunedì 30 aprile 2012

scarpe cinesi


DOPO LA DENUNCIA SU CORRIERE.IT

Scarpe cinesi tossiche, Guariniello
ordina sequestri nel torinese

Le calzature contenevano troppo cromo esavalente
Il negoziante rischia multa e un anno di carcere

MILANO - In Italia, a differenza di altri Paesi, i pm possono indagare anche senza ricevere denuncie. Così il procuratore di Torino, Raffaele Guariniello, leggendo su Corriere.it di scarpe cinesi tossiche, ha mandato i carabinieri del Nas a prelevare vari campioni in punti vendita cinesi da far controllare. Le analisi effettuate a Biella, dall’«Associazione Tessile e Salute», hanno rilevato nelle scarpe di marca Ymada, modello basso da uomo, un quantitativo di cromo esavalente (allergizzante e cancerogeno) pari a 15,9 milligrammi invece dei 3 al massimo ammessi per legge. Il cromo esavalente viene utilizzato nella lavorazione di cuoio e pellame. Le scarpe sono state tutte sequestrate e il negoziante cinese, con negozio nei pressi di Torino, che le vendeva rischia ora una multa salata e un anno di carcere. E Guariniello commenta: «Devo ringraziare il Corriere.it».
Mario Pappagallo30 aprile 2012 | 8:03

domenica 29 aprile 2012

persone scomparse


IL DOSSIER

Il commissario governativo
"Italia, 9mila scomparsi l'anno"

Una media di 25 denunce al giorno. 515 i minori da ricercare nell'ultimo semestre del 2011, con una percentuale del 5,25% in più rispetto al semestre precedente. Dal 1974, anno di istituzione del registro, sono scomparse oltre 100 mila persone; di queste, 25mila non sono ancora state rintracciate. Il rapporto del prefetto Penta presentato oggi al Viminale

Continua a crescere in Italia il fenomeno delle persone scomparse: "In media, le denunce sono più di 9.000 l'anno, per una media di 25 al giorno; 24 di queste vengono ritrovate". E' quanto emerge dall'ottava relazione semestrale sul fenomeno delle persone scomparse, presentata questa mattina al Viminale dal prefetto, Michele Penta, alla presenza del ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri.

Il rapporto, che ha raccolto i dati dal 1° gennaio 1974 (anno dell'istituzione del registro degli scomparsi in Italia) al 31 dicembre 2011, conferma una situazione ancora molto difficile. Complessivamente nel periodo considerato, gli scomparsi in Italia sono stati 110.107: di questi, 24.912 risultano ancora da rintracciare  (tra cui 10.319 minori al momento della scomparsa). Al totale vanno sommati poi gli italiani scomparsi all'estero e ancora da rintracciare, in tutto 137 (dei quali 118 maggiorenni e 19 minorenni). Per quanto riguardo l'ultimo anno, le denunce di scomparsa nel 2011 sono state 9.707, il 9,67% in più rispetto all'anno precedente: di queste, le persone ancora da ricercare risultano 736, ossia il 3,0% in più.

Il Lazio 1 si conferma la regione con la maggiore percentuale di persone scomparse, sia italiane che straniere (6.245, circa un quarto del totale, di cui 1.093 minori), seguita da Lombardia, Campania, Sicilia e Puglia.  Come spiegano gli autori 
del rapporto, "I motivi di tale concentrazione sono da individuare nella maggiore densità della popolazione residente e nell'elevata presenza di cittadini immigrati e di comunità nomadi nelle grandi aree urbane, dove si registrano sempre più consistenti fenomeni di disagio e di mancanza di integrazione nel tessuto urbano".

In Sicilia si registra il maggior numero di allontanamenti da istituti e comunità (si tratta quasi esclusivamente di minori extracomunitari non accompagnati) e, nel secondo semestre dello scorso anno, il maggior numero di scomparsi possibili vittime di reato (16, uno in più in Calabria). Un fenomeno in aumento anche tra i minorenni che al 31 dicembre 2011 sono stati 4.079, il 10,78% in più rispetto agli anni precedenti. Di questi risultano ancora da ricercare 809 minori.

"Al momento - ha spiegato il prefetto Penta - i casi di scomparsa seguiti direttamente dalla struttura commissariale sono in tutto 1.368 e riguardano 811 maggiorenni e 557 minorenni. Naturalmente, il grado di allarme suscitato dai casi dipende dallo scenario di riferimento e dall'età del soggetto".

Il 71% dei casi è dovuto a cause non determinate (si tratta dei casi 'storici', precedenti al 2007). Il 15% è composto da minori che si sono allontanati dall'istituto che li accoglieva e  l'11% di chi si è allontanato volontariamente. In aumento anche, con percentuali inferiori, i casi di sottrazione da coniuge (284), possibili disturbi psicologici (536) e possibili vittime di reato (90 casi, di cui 22 minori). La maggior parte dei minorenni scomparsi è rappresentata da ragazzi stranieri che scappano e rientrano nelle comunità di accoglienza: i più numerosi sono romeni, afgani e marocchini.

"E' una realtà molto complessa, che seguiamo con particolare attenzione  -  ha commentato del ministro dell'interno Annamaria Cancellieri - perché dietro i numeri ci sono persone e, spesso, storie molto tristi, che esigono il nostro rispetto. Il lavoro fatto dal commissario è straordinario e questi dati possono essere di grande aiuto anche alle forze dell'ordine".
(30 marzo 2012)


donne ammazzate


MATTANZA LUNGA 3 SECOLI

Da Emanuela a Maria Concetta,
le 157 donne uccise dalle mafie

La pentita che beve l'acido, l'adultera ammazzata
davanti al fratello, la bimba di sei mesi colpita in auto

ROMA — La prima fu Emanuela Sansone, 17 anni, figlia d'una bettoliera di Palermo. L'ammazzarono come s'ammazza un cane, due giorni dopo Natale, il 27 dicembre del 1896, perché pensavano che la madre avesse denunciato dei mafiosi per fabbricazione di banconote false. L'ultima, in un elenco dell'orrore destinato purtroppo ad allungarsi, è stata Maria Concetta Cacciola, 31 anni, figlia del boss di Rosarno: aveva provato a ribellarsi al destino, s'era pentita, poi era tornata indietro. Il 22 agosto del 2011 è entrata in bagno, ha preso una bottiglia di acido muriatico, quelle che vendono nei supermercati, e l'ha mandata giù tutta. Suicida. Anzi, no. Suicidata.
Eccole qui le donne ammazzate da mafia, camorra, 'ndrangheta e sacra corona. Sono 157. E le loro storie, adesso, sono raccolte in un dossier dell'associazione «daSud» dal titolo Sdisonorate. Un elenco per non dimenticare. Ma, soprattutto, per «sfatare l'assurda credenza che i clan, in virtù di un presunto codice d'onore, non uccidano le donne». Le uccidono eccome. «Sono morte per l'impegno politico, sono state suicidate, sono state oggetto di vendette trasversali, sono rimaste incastrate in una situazione familiare e mafiosa da cui non sono riuscite a uscire». Il tratto comune a tutte è da brividi: «Sono definite intoccabili, eppure proprio questa è la ragione per cui vengono prese di mira».

LA STRAGE - Come Emanuela. E come tutte le altre. Angela Talluto, un anno, uccisa a Montelepre il 7 settembre del '45 dal bandito Salvatore Giuliano. Margherita Clesceri, Vincenza Spina e Eleonora Moschetto, tutte morte nella strage di Portella della Ginestra, primo maggio del '47, la stessa mattanza che lascia per terra il corpo senza vita di Vincenzina La Fata, una bambina di 8 anni. Già, le bambine. O le ragazzine. Massacrate per errore, vendetta, rancori. Anna Prestigiacomo la uccidono a 15 anni, a Palermo, con un fucile caricato a pallettoni: è il 26 giugno 1959, a sparare è un bulletto di borgata che non tollera un amore rifiutato. Neppure tre mesi dopo, il 19 settembre, un'altra bambina viene uccisa a Palermo: Giuseppina Savoca, 12 anni, colpita per errore dai killer che volevano ammazzare un pregiudicato. Maria e Natalia Stillitano, invece, le uccide Domenico Maisano il 22 dicembre del '62: è una faida tra famiglie, quella che si consuma a Drosi, nella piana di Gioia Tauro, e il delitto delle due ragazze (hanno 22 e 21 anni) è una vendetta contro lo zio. Una vendetta sarà il movente anche degli omicidi di Concetta Iaria (36 anni, massacrata il 27 gennaio del '65 nella sua casa di Sant'Eufemia di Aspromonte con il figlio di 12 anni perché il marito aveva ucciso due persone sette mesi prima) e Maria Immacolata Macrì, ammazzata a Mammola il primo giugno del '69 da un'altra donna, Maria Teresa Ferraro, madre di un ragazzo ucciso dal nipote della Macrì.

LA FRECCIA DEL SUD - E sono vittime di mafia anche Rita Cacicca, Rosa Fazzari, Nicolina Mazzocchio, Letizia Palumbo e Adriana Vassalla: si pensava fossero morte in un «semplice» deragliamento del Freccia del Sud partito da Palermo il 22 luglio del 1970, ma 23 anni dopo il pentito Giacomo Ubaldo Lario racconterà che s'è trattato di un attentato stragista organizzato dalla 'ndrangheta e da pezzi dell'eversione nera. Fa paura, questo calendario delle vittime. A scorrerlo, si scopre che quasi non passa anno senza che almeno una donna venga uccisa. Ricordare in un articolo tutti i nomi e tutte le storie è impossibile. Alcune, però, aiutano a capire perché non si può tacere. Come quella di Filomena Morlando, insegnante uccisa per errore durante un agguato a Giugliano contro Francesco Bidognetti (17 dicembre 1980). O di Francesca Moccia, fruttivendola, ammazzata durante un raid nel centro di Napoli (21 marzo dell'81).

IL CODICE - Quando non è il caso criminale, è la premeditazione. Rossella Casini è una bellissima ragazza fiorentina che s'innamora di un giovane di Palmi e, quando scoppia la faida in Calabria, si precipita giù per convincerlo a collaborare con la giustizia. Scompare il 22 febbraio dell'81, 13 anni dopo si scoprirà che è stata uccisa e fatta a pezzi. Una morte violenta tocca anche ad Annunziata Pesce, nipote del boss calabrese Giuseppe, che tradisce il marito con un carabiniere: il 20 marzo dell'81 il cugino l'ammazza davanti al fratello più grande, come vuole il «codice» delle 'ndrine.

LA FIGLIA DEL GIUDICE - Palmira Martinelli, invece, viene uccisa a Fasano lo stesso anno: ha 14 anni, la bruciano viva con alcol e fiammiferi perché si rifiuta di prostituirsi. Sei mesi dopo, a Cava de' Tirreni, il killer che vuole ammazzare il magistrato Alfonso Lamberti uccide per errore la figlia Simonetta: è il 29 maggio dell'82, la bambina ha solo 10 anni. Valentina Guarino, la più piccola vittima della faida di Taranto, ha invece appena sei mesi quando il 9 gennaio del '91, seduta in braccio alla madre a bordo di una Lancia Prisma, viene colpita a morte dai sicari che mirano al padre. Maria, 17 anni, per morire sceglie una domenica. È il 10 luglio dell'83, e nella sua casa di Fabrizia (Vibo Valentia) c'è grande agitazione. È arrivato l'uomo cui è stata promessa in moglie: lei vorrebbe vivere la sua adolescenza, ma non può opporsi a questo matrimonio combinato dalla famiglia. Così mette i suoi jeans preferiti attillati sui fianchi, indossa una maglietta blu, colora le unghie con lo smalto brillante, pettina i ricci mediterranei. E poi si spara un colpo di fucile in pieno stomaco.

GLI ESTORSORI - Agata Azzolina, invece, vende gioielli e pellicce a Niscemi. Il 21 marzo del '97 va in piazza come tutti ad ascoltare il presidente del Consiglio Romano Prodi e il presidente della Camera Luciano Violante parlare di antimafia. Poi torna nel suo negozio, «Papillon», e riceve la visita di due estorsori. Li manda lo stesso clan che cinque mesi prima gli ha ucciso marito e figlio, ma lei non si piega, denuncia tutto alla polizia, fa nomi e cognomi. Poi minacciano di uccidere la figlia. E Agata, la notte del 22 marzo, s'impicca in cucina. Gli investigatori troveranno una corda di nylon e un biglietto proprio alla figlia: «Perdonami».

IL FIDANZATO - A volte si muore innocenti e si viene ricordati più di altri (Valentina Terracciano, Annalisa Durante, Silvia Ruotolo, Maria Colangiuli), a volte si crepa perché l'assassino non ci vede bene (Palma Scamardella, 35 anni, l'ammazzano il 15 dicembre del 1994 scambiandola — attraverso i rami di un albero — per lo zio, suo vicino di casa e vero bersaglio dell'agguato), a volte perché s'imbocca l'autostrada nel momento sbagliato (Rosa Zaza torna da una vacanza in Croazia con il marito quando i contrabbandieri in fuga da un posto di blocco la travolgono), altre volte per la storia sbagliata. Gelsomina Esposito, Mina, ha 22 anni e fa l'operaia in una fabbrica di pelletteria. Il 21 novembre del 2004 viene invitata da un amico, ma è una trappola: pensano che lei sappia dove si nasconda il fidanzato, un rivale del clan Di Lauro. Ma lei non sa. O non vuole tradire. La torturano. L'ammazzano. La bruciano.

LE DONNE SUICIDATE - E non vuole parlare neppure Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia calabrese. L'attirano a Monza con la scusa della figlia, ma il comitato d'accoglienza è ben diverso: una pistola, il magazzino dove interrogarla, l'appezzamento dove farla sparire. E un furgone carico di cinquanta litri di acido. Chissà se Maria Concetta Cacciola conosce la storia di Lea, quando decide di ammazzarsi. O quella di Santa «Tita» Boccafusca, che prima denuncia il marito boss, poi (16 aprile 2011) beve l'acido. Quattro mesi dopo, morirà così anche Maria Concetta. L'ultima vittima di una mafia che le donne, se non le ammazza, le suicida.
Gianluca Abate28 aprile 2012

sabato 28 aprile 2012

sintesi e allegati al 28.4.2012


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rapina a roma


A MEZZOCAMMINO (SPINACETO) SPERONATA L'AUTO DELLE VITTIME

Rapina con spari, il bandito ucciso era Angelotti, vicino alla Banda della Magliana

Periferia di Roma, assalto all'auto dei due commercianti, a bordo 75mila euro di preziosi: nel conflitto a fuoco, deceduto un bandito, grave un altro; il terzo catturato in ospedale

Assalto all'alba e sparatoria
di R.Frignani e M.Proto
ROMA - Il rapinatore ucciso era vicino alla Banda della Magliana, si chiamava Angelo Angelotti, di 61 anni. E' stato così identificato il bandito morto durante la sparatoria all'alba alla periferia sud-ovest della Capitale, nel nuovo quartiere di Mezzocammino (Spinaceto). Intorno alle 5.30 un tentativo di rapina è finito nel sangue: uno dei malviventi che si erano appostati davanti all'abitazione di due fratelli commercianti di gioielli è morto colpito al petto; un altro è rimasto gravemente ferito al collo. Un terzo malvivente è in fuga è stato inseguito e braccato per ore da pattuglie della polizia coadiuvate da un elicottero. ù
CHI SONO I RAPINATORI - Angelotti, detto «caprotto» nella sua lunga carriera criminale è stato anche coinvolto in due vicende note alle cronache giudiziarie romane: fu arrestato da carabinieri negli anni '90 per il famoso furto al caveau del Palazzo di Giustizia, insieme con altre 11 persone tra le quali anche altri noti «cassettari» romani. Mentre nel '95 finì sotto processo per l'omicidio del boss della Banda della Magliana «Renatino» De Pedis perchè ritenuto tra coloro che attirarono il «Dandi» nella trappola in via del Pellegrino vicino a Campo di Fiori, dove poi fu ucciso.
Rapina all'albaRapina all'alba    Rapina all'alba    Rapina all'alba    Rapina all'alba    Rapina all'alba
CATTURATO IN CORSIA - Il fuggitivo, Stefano Pompoli, 52 anni, è stato infine catturato intorno alle 13 in ospedale, al Cto della Garbatella, dove si era recato per curare una brutta ferita al torace. L'uomo, che è stato sottoposto a intervento chirurgico, è un pregiudicato: alla fine degli anni '90 venne arrestato nell'ambito delle indagini sull'omicidio di un gioielliere a Firenze. Il rapinatore più grave è Luigi Valente, 44 anni, piantonato e in stato di arresto, sempre al Cto, per «concorso in tentato omicidio, tentata rapina, porto abusivo d'armi e ricettazione del furgone rubato».
L'auto dei rapinati e, sullo sfondo, il bandito morto nella sparatoria (Proto)L'auto dei rapinati e, sullo sfondo, il bandito morto nella sparatoria (Proto)
DIRETTI A MONACO - La sparatoria è iniziata quando i giovani professionisti - 32 e 37 anni -, caricata l'auto, sono usciti dal garage di casa, a bordo della loro Toyota per partire in direzione Monaco di Baviera, dove entrambi - proprietari di un negozio all'Eur - erano attesi alla locale fiera dei preziosi. Con sé avevano un campionario di gioielli del valore di circa 75 mila euro. Avrebbero dovuto raggiungere l'aeroporto di Fiumicino e di qui la Germania.
Pattuglie e un elicottero della Ps braccano il terzo bandito (Proto)Pattuglie e un elicottero della Ps braccano il terzo bandito (Proto)
FURGONE SOSPETTO - Uno dei due gioiellieri ha notato un furgone Citroen sospetto (poi risultato rubato) in sosta davanti all'abitazione ed ha intuito che potesse essere in corso un agguato: appena il veicolo è partito per uscire dalla rampa del garage, il furgone lo ha speronato su un fianco. Il gioielliere alla guida è rimasto bloccato nell'auto, il fratello è uscito impugnando un revolver. Ne sarebbe nata una colluttazione tra uno dei malviventi e il gioielliere, quindi un rapido ma violento conflitto a fuoco: subito uno dei banditi - anche loro armati di revolver - è rimasto a terra, privo di vita. Poco dopo un complice è caduto ferito.
Preso il terzo complice
Corriere.tv/Rcd
LA TENTATA RAPINA - Prima dello scambio di colpi, i tre rapinatori avevano tentato, dunque, di bloccare con il furgone l'auto dei gioiellieri, e minacciato le vittime con le pistole. Ma sono stati sorpresi dall'immediata reazione del gioielliere che non era alla guida. Il conflitto a fuoco si è svolto a distanza ravvicinata. Dopo la morte di uno dei malviventi il ferimento di un 44enne romano con diversi precedenti penali. Uno dei gioiellieri è rimasto ferito a una mano ed è stato ricoverato in ospedale, il fratello viene interrogato in commissariato.
Rinaldo Frignani28 aprile 2012 | 16:52