MATTANZA LUNGA 3 SECOLI
Da Emanuela a Maria Concetta,
le 157 donne uccise dalle mafie
La pentita che beve l'acido, l'adultera ammazzata
davanti al fratello, la bimba di sei mesi colpita in auto
ROMA — La prima fu Emanuela Sansone, 17 anni, figlia d'una bettoliera di Palermo. L'ammazzarono come s'ammazza un cane, due giorni dopo Natale, il 27 dicembre del 1896, perché pensavano che la madre avesse denunciato dei mafiosi per fabbricazione di banconote false. L'ultima, in un elenco dell'orrore destinato purtroppo ad allungarsi, è stata Maria Concetta Cacciola, 31 anni, figlia del boss di Rosarno: aveva provato a ribellarsi al destino, s'era pentita, poi era tornata indietro. Il 22 agosto del 2011 è entrata in bagno, ha preso una bottiglia di acido muriatico, quelle che vendono nei supermercati, e l'ha mandata giù tutta. Suicida. Anzi, no. Suicidata.
Eccole qui le donne ammazzate da mafia, camorra, 'ndrangheta e sacra corona. Sono 157. E le loro storie, adesso, sono raccolte in un dossier dell'associazione «daSud» dal titolo Sdisonorate. Un elenco per non dimenticare. Ma, soprattutto, per «sfatare l'assurda credenza che i clan, in virtù di un presunto codice d'onore, non uccidano le donne». Le uccidono eccome. «Sono morte per l'impegno politico, sono state suicidate, sono state oggetto di vendette trasversali, sono rimaste incastrate in una situazione familiare e mafiosa da cui non sono riuscite a uscire». Il tratto comune a tutte è da brividi: «Sono definite intoccabili, eppure proprio questa è la ragione per cui vengono prese di mira».
LA STRAGE - Come Emanuela. E come tutte le altre. Angela Talluto, un anno, uccisa a Montelepre il 7 settembre del '45 dal bandito Salvatore Giuliano. Margherita Clesceri, Vincenza Spina e Eleonora Moschetto, tutte morte nella strage di Portella della Ginestra, primo maggio del '47, la stessa mattanza che lascia per terra il corpo senza vita di Vincenzina La Fata, una bambina di 8 anni. Già, le bambine. O le ragazzine. Massacrate per errore, vendetta, rancori. Anna Prestigiacomo la uccidono a 15 anni, a Palermo, con un fucile caricato a pallettoni: è il 26 giugno 1959, a sparare è un bulletto di borgata che non tollera un amore rifiutato. Neppure tre mesi dopo, il 19 settembre, un'altra bambina viene uccisa a Palermo: Giuseppina Savoca, 12 anni, colpita per errore dai killer che volevano ammazzare un pregiudicato. Maria e Natalia Stillitano, invece, le uccide Domenico Maisano il 22 dicembre del '62: è una faida tra famiglie, quella che si consuma a Drosi, nella piana di Gioia Tauro, e il delitto delle due ragazze (hanno 22 e 21 anni) è una vendetta contro lo zio. Una vendetta sarà il movente anche degli omicidi di Concetta Iaria (36 anni, massacrata il 27 gennaio del '65 nella sua casa di Sant'Eufemia di Aspromonte con il figlio di 12 anni perché il marito aveva ucciso due persone sette mesi prima) e Maria Immacolata Macrì, ammazzata a Mammola il primo giugno del '69 da un'altra donna, Maria Teresa Ferraro, madre di un ragazzo ucciso dal nipote della Macrì.
LA FRECCIA DEL SUD - E sono vittime di mafia anche Rita Cacicca, Rosa Fazzari, Nicolina Mazzocchio, Letizia Palumbo e Adriana Vassalla: si pensava fossero morte in un «semplice» deragliamento del Freccia del Sud partito da Palermo il 22 luglio del 1970, ma 23 anni dopo il pentito Giacomo Ubaldo Lario racconterà che s'è trattato di un attentato stragista organizzato dalla 'ndrangheta e da pezzi dell'eversione nera. Fa paura, questo calendario delle vittime. A scorrerlo, si scopre che quasi non passa anno senza che almeno una donna venga uccisa. Ricordare in un articolo tutti i nomi e tutte le storie è impossibile. Alcune, però, aiutano a capire perché non si può tacere. Come quella di Filomena Morlando, insegnante uccisa per errore durante un agguato a Giugliano contro Francesco Bidognetti (17 dicembre 1980). O di Francesca Moccia, fruttivendola, ammazzata durante un raid nel centro di Napoli (21 marzo dell'81).
IL CODICE - Quando non è il caso criminale, è la premeditazione. Rossella Casini è una bellissima ragazza fiorentina che s'innamora di un giovane di Palmi e, quando scoppia la faida in Calabria, si precipita giù per convincerlo a collaborare con la giustizia. Scompare il 22 febbraio dell'81, 13 anni dopo si scoprirà che è stata uccisa e fatta a pezzi. Una morte violenta tocca anche ad Annunziata Pesce, nipote del boss calabrese Giuseppe, che tradisce il marito con un carabiniere: il 20 marzo dell'81 il cugino l'ammazza davanti al fratello più grande, come vuole il «codice» delle 'ndrine.
LA FIGLIA DEL GIUDICE - Palmira Martinelli, invece, viene uccisa a Fasano lo stesso anno: ha 14 anni, la bruciano viva con alcol e fiammiferi perché si rifiuta di prostituirsi. Sei mesi dopo, a Cava de' Tirreni, il killer che vuole ammazzare il magistrato Alfonso Lamberti uccide per errore la figlia Simonetta: è il 29 maggio dell'82, la bambina ha solo 10 anni. Valentina Guarino, la più piccola vittima della faida di Taranto, ha invece appena sei mesi quando il 9 gennaio del '91, seduta in braccio alla madre a bordo di una Lancia Prisma, viene colpita a morte dai sicari che mirano al padre. Maria, 17 anni, per morire sceglie una domenica. È il 10 luglio dell'83, e nella sua casa di Fabrizia (Vibo Valentia) c'è grande agitazione. È arrivato l'uomo cui è stata promessa in moglie: lei vorrebbe vivere la sua adolescenza, ma non può opporsi a questo matrimonio combinato dalla famiglia. Così mette i suoi jeans preferiti attillati sui fianchi, indossa una maglietta blu, colora le unghie con lo smalto brillante, pettina i ricci mediterranei. E poi si spara un colpo di fucile in pieno stomaco.
GLI ESTORSORI - Agata Azzolina, invece, vende gioielli e pellicce a Niscemi. Il 21 marzo del '97 va in piazza come tutti ad ascoltare il presidente del Consiglio Romano Prodi e il presidente della Camera Luciano Violante parlare di antimafia. Poi torna nel suo negozio, «Papillon», e riceve la visita di due estorsori. Li manda lo stesso clan che cinque mesi prima gli ha ucciso marito e figlio, ma lei non si piega, denuncia tutto alla polizia, fa nomi e cognomi. Poi minacciano di uccidere la figlia. E Agata, la notte del 22 marzo, s'impicca in cucina. Gli investigatori troveranno una corda di nylon e un biglietto proprio alla figlia: «Perdonami».
IL FIDANZATO - A volte si muore innocenti e si viene ricordati più di altri (Valentina Terracciano, Annalisa Durante, Silvia Ruotolo, Maria Colangiuli), a volte si crepa perché l'assassino non ci vede bene (Palma Scamardella, 35 anni, l'ammazzano il 15 dicembre del 1994 scambiandola — attraverso i rami di un albero — per lo zio, suo vicino di casa e vero bersaglio dell'agguato), a volte perché s'imbocca l'autostrada nel momento sbagliato (Rosa Zaza torna da una vacanza in Croazia con il marito quando i contrabbandieri in fuga da un posto di blocco la travolgono), altre volte per la storia sbagliata. Gelsomina Esposito, Mina, ha 22 anni e fa l'operaia in una fabbrica di pelletteria. Il 21 novembre del 2004 viene invitata da un amico, ma è una trappola: pensano che lei sappia dove si nasconda il fidanzato, un rivale del clan Di Lauro. Ma lei non sa. O non vuole tradire. La torturano. L'ammazzano. La bruciano.
LE DONNE SUICIDATE - E non vuole parlare neppure Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia calabrese. L'attirano a Monza con la scusa della figlia, ma il comitato d'accoglienza è ben diverso: una pistola, il magazzino dove interrogarla, l'appezzamento dove farla sparire. E un furgone carico di cinquanta litri di acido. Chissà se Maria Concetta Cacciola conosce la storia di Lea, quando decide di ammazzarsi. O quella di Santa «Tita» Boccafusca, che prima denuncia il marito boss, poi (16 aprile 2011) beve l'acido. Quattro mesi dopo, morirà così anche Maria Concetta. L'ultima vittima di una mafia che le donne, se non le ammazza, le suicida.
Eccole qui le donne ammazzate da mafia, camorra, 'ndrangheta e sacra corona. Sono 157. E le loro storie, adesso, sono raccolte in un dossier dell'associazione «daSud» dal titolo Sdisonorate. Un elenco per non dimenticare. Ma, soprattutto, per «sfatare l'assurda credenza che i clan, in virtù di un presunto codice d'onore, non uccidano le donne». Le uccidono eccome. «Sono morte per l'impegno politico, sono state suicidate, sono state oggetto di vendette trasversali, sono rimaste incastrate in una situazione familiare e mafiosa da cui non sono riuscite a uscire». Il tratto comune a tutte è da brividi: «Sono definite intoccabili, eppure proprio questa è la ragione per cui vengono prese di mira».
LA STRAGE - Come Emanuela. E come tutte le altre. Angela Talluto, un anno, uccisa a Montelepre il 7 settembre del '45 dal bandito Salvatore Giuliano. Margherita Clesceri, Vincenza Spina e Eleonora Moschetto, tutte morte nella strage di Portella della Ginestra, primo maggio del '47, la stessa mattanza che lascia per terra il corpo senza vita di Vincenzina La Fata, una bambina di 8 anni. Già, le bambine. O le ragazzine. Massacrate per errore, vendetta, rancori. Anna Prestigiacomo la uccidono a 15 anni, a Palermo, con un fucile caricato a pallettoni: è il 26 giugno 1959, a sparare è un bulletto di borgata che non tollera un amore rifiutato. Neppure tre mesi dopo, il 19 settembre, un'altra bambina viene uccisa a Palermo: Giuseppina Savoca, 12 anni, colpita per errore dai killer che volevano ammazzare un pregiudicato. Maria e Natalia Stillitano, invece, le uccide Domenico Maisano il 22 dicembre del '62: è una faida tra famiglie, quella che si consuma a Drosi, nella piana di Gioia Tauro, e il delitto delle due ragazze (hanno 22 e 21 anni) è una vendetta contro lo zio. Una vendetta sarà il movente anche degli omicidi di Concetta Iaria (36 anni, massacrata il 27 gennaio del '65 nella sua casa di Sant'Eufemia di Aspromonte con il figlio di 12 anni perché il marito aveva ucciso due persone sette mesi prima) e Maria Immacolata Macrì, ammazzata a Mammola il primo giugno del '69 da un'altra donna, Maria Teresa Ferraro, madre di un ragazzo ucciso dal nipote della Macrì.
LA FRECCIA DEL SUD - E sono vittime di mafia anche Rita Cacicca, Rosa Fazzari, Nicolina Mazzocchio, Letizia Palumbo e Adriana Vassalla: si pensava fossero morte in un «semplice» deragliamento del Freccia del Sud partito da Palermo il 22 luglio del 1970, ma 23 anni dopo il pentito Giacomo Ubaldo Lario racconterà che s'è trattato di un attentato stragista organizzato dalla 'ndrangheta e da pezzi dell'eversione nera. Fa paura, questo calendario delle vittime. A scorrerlo, si scopre che quasi non passa anno senza che almeno una donna venga uccisa. Ricordare in un articolo tutti i nomi e tutte le storie è impossibile. Alcune, però, aiutano a capire perché non si può tacere. Come quella di Filomena Morlando, insegnante uccisa per errore durante un agguato a Giugliano contro Francesco Bidognetti (17 dicembre 1980). O di Francesca Moccia, fruttivendola, ammazzata durante un raid nel centro di Napoli (21 marzo dell'81).
IL CODICE - Quando non è il caso criminale, è la premeditazione. Rossella Casini è una bellissima ragazza fiorentina che s'innamora di un giovane di Palmi e, quando scoppia la faida in Calabria, si precipita giù per convincerlo a collaborare con la giustizia. Scompare il 22 febbraio dell'81, 13 anni dopo si scoprirà che è stata uccisa e fatta a pezzi. Una morte violenta tocca anche ad Annunziata Pesce, nipote del boss calabrese Giuseppe, che tradisce il marito con un carabiniere: il 20 marzo dell'81 il cugino l'ammazza davanti al fratello più grande, come vuole il «codice» delle 'ndrine.
LA FIGLIA DEL GIUDICE - Palmira Martinelli, invece, viene uccisa a Fasano lo stesso anno: ha 14 anni, la bruciano viva con alcol e fiammiferi perché si rifiuta di prostituirsi. Sei mesi dopo, a Cava de' Tirreni, il killer che vuole ammazzare il magistrato Alfonso Lamberti uccide per errore la figlia Simonetta: è il 29 maggio dell'82, la bambina ha solo 10 anni. Valentina Guarino, la più piccola vittima della faida di Taranto, ha invece appena sei mesi quando il 9 gennaio del '91, seduta in braccio alla madre a bordo di una Lancia Prisma, viene colpita a morte dai sicari che mirano al padre. Maria, 17 anni, per morire sceglie una domenica. È il 10 luglio dell'83, e nella sua casa di Fabrizia (Vibo Valentia) c'è grande agitazione. È arrivato l'uomo cui è stata promessa in moglie: lei vorrebbe vivere la sua adolescenza, ma non può opporsi a questo matrimonio combinato dalla famiglia. Così mette i suoi jeans preferiti attillati sui fianchi, indossa una maglietta blu, colora le unghie con lo smalto brillante, pettina i ricci mediterranei. E poi si spara un colpo di fucile in pieno stomaco.
GLI ESTORSORI - Agata Azzolina, invece, vende gioielli e pellicce a Niscemi. Il 21 marzo del '97 va in piazza come tutti ad ascoltare il presidente del Consiglio Romano Prodi e il presidente della Camera Luciano Violante parlare di antimafia. Poi torna nel suo negozio, «Papillon», e riceve la visita di due estorsori. Li manda lo stesso clan che cinque mesi prima gli ha ucciso marito e figlio, ma lei non si piega, denuncia tutto alla polizia, fa nomi e cognomi. Poi minacciano di uccidere la figlia. E Agata, la notte del 22 marzo, s'impicca in cucina. Gli investigatori troveranno una corda di nylon e un biglietto proprio alla figlia: «Perdonami».
IL FIDANZATO - A volte si muore innocenti e si viene ricordati più di altri (Valentina Terracciano, Annalisa Durante, Silvia Ruotolo, Maria Colangiuli), a volte si crepa perché l'assassino non ci vede bene (Palma Scamardella, 35 anni, l'ammazzano il 15 dicembre del 1994 scambiandola — attraverso i rami di un albero — per lo zio, suo vicino di casa e vero bersaglio dell'agguato), a volte perché s'imbocca l'autostrada nel momento sbagliato (Rosa Zaza torna da una vacanza in Croazia con il marito quando i contrabbandieri in fuga da un posto di blocco la travolgono), altre volte per la storia sbagliata. Gelsomina Esposito, Mina, ha 22 anni e fa l'operaia in una fabbrica di pelletteria. Il 21 novembre del 2004 viene invitata da un amico, ma è una trappola: pensano che lei sappia dove si nasconda il fidanzato, un rivale del clan Di Lauro. Ma lei non sa. O non vuole tradire. La torturano. L'ammazzano. La bruciano.
LE DONNE SUICIDATE - E non vuole parlare neppure Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia calabrese. L'attirano a Monza con la scusa della figlia, ma il comitato d'accoglienza è ben diverso: una pistola, il magazzino dove interrogarla, l'appezzamento dove farla sparire. E un furgone carico di cinquanta litri di acido. Chissà se Maria Concetta Cacciola conosce la storia di Lea, quando decide di ammazzarsi. O quella di Santa «Tita» Boccafusca, che prima denuncia il marito boss, poi (16 aprile 2011) beve l'acido. Quattro mesi dopo, morirà così anche Maria Concetta. L'ultima vittima di una mafia che le donne, se non le ammazza, le suicida.
28 aprile 2012
Nessun commento:
Posta un commento