Al carcere femminile di Pontremoli l’ultima detenuta è stata liberata ad agosto
GIAMPIERO CALAPÁ
FIRENZECome il tenente Drogo nel «Deserto dei tartari». Mentre svanisce l’effetto indulto e le carceri italiane tornano a scoppiare di detenuti c’è una prigione, una piccola prigione, completamente vuota. Dove le guardie fanno la guardia a se stesse. E dietro le sbarre ci sono solo brande, tavolini, lavabi. Solo fantasmi, ed echi di silenzio. Succede a Pontremoli, cittadina della Lunigiana ai piedi del Passo della Cisa. In bizzarra, assurda controtendenza rispetto alla situazione penitenziario nel resto del Paese. Una dopo l’altraLa struttura, un tempo era il «mandamentale» del Comune, cioè la galera gestita dal sindaco. E’ stata riaperta quattro anni fa come carcere femminile di piccola dimensione. In teoria non potrebbe ospitare più di venti persone, e dai tetti massimi è sempre stata lontana: il massimo affollamento è stato raggiunto, nell’estate 2006, quando dietro le sbarre erano in quindici. Ora, invece, non c’è più nessuno. Perché l’assegnazione delle detenute è stata sospesa. A fare la guardia al nulla sono rimaste in cinque. Nel 2004 le agenti penitenziarie, tutte donne e molto giovani, diverse alla prima esperienza, erano in ventisette, ufficiali comprese. Troppe per una casa circondariale piccola, con continui problemi all’impianto elettrico, alle tubature e alla rete fognaria. Tanto che diverse di loro erano costrette a trovar ospitalità nella vicina stazione della polizia stradale. Neppure un anno dopo le guardie sono rimaste in dodici. Ma intanto diminuivano anche le detenute. Dopo l’indulto, nell’agosto 2006, ne erano rimaste appena cinque. La scorsa estate è stata trasferita l’ultima prigioniera. E le guardie, sia pur poche, non hanno più nulla da fare quando a poche decine di chilometri ci sono carceri stracolme come quelle di Sollicciano, Prato, Livorno o Pisa. L’assurdità è stata denunciata da Franco Corleone, il garante per i diritti dei detenuti di Firenze, sottosegretario alla giustizia dal ‘96 al 2001: «E' una situazione insostenibile, perché a fronte di un nuovo sovraffollamento delle carceri non si possono tenere istituti vuoti. Proposi di destinarvi donne seminferme di mente, dal momento che là vicino c’è la clinica psichiatrica pubblica di Aulla». L’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) ha chiesto la chiusura della struttura di Pontremoli, per evitare di continuare a spendere a vuoto soldi pubblici che potrebbero esser impiegati in miglior modo. Oltre che per togliere da un imbarazzante limbo gli agenti rimasti ai piedi delle Apuane. Prova a gettare acqua sul fuoco il provveditore Maria Pia Giuffrida: «A Pontremoli la situazione è molto semplice: le donne detenute in regione sono poche. Le polemiche sono ingiustificate. Stiamo riconvertendo quel carcere per farne una sezione maschile di semilibertà, avverrà molto presto». Erano state prese in considerazione dall’amministrazione penitenziaria altre ipotesi, come quella di mandarci detenuti transessuali, «ma Pontremoli - ha chiarito Giuffrida - ci ha fatto capire di non essere d'accordo». Restano le guardie, che non saranno sommerse di lavoro ma neanche contente Per Amanda, 27 anni, laureanda in ingegneria, Pontremoli è stata la prima esperienza da agente penitenziaria. Si è fatta trasferire al Sud: «Era un vero incubo, con quelle celle vuote. Spero che non mi rimandino mai più lassù. Io credo nella mia professione, ma voglio lavorare in un vero carcere, non in una fortezza come quella di Buzzati in attesa dei tartari». (da lastampa.it, 16 marzo 2008)
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