La questione dei detenuti italiani all'estero ricalca esattamente la questione dei detenuti stranieri in Italia. Non c'è modo di risolverla se non con grandissime spese. Forse potrebbero essere utili dei trattati di reciprocità fra i vari stati.
Tremila detenuti italiani all'estero: nasce l'associazione "Prigionieri del silenzio"
ROMA (30 marzo) - Almeno tremila gli italiani detenuti all'estero con accuse generiche che non poggiano su prove certe. Giovanni Giuliani, 65 anni, è rinchiuso in un carcere della Repubblica Moldova da ben cinque anni in attesa di giudizio. È accusato di truffa. Ma si è ritrovato da solo e senza mezzi ad affrontare la sua difficile battaglia giudiziaria. È molto malato e stanco di lottare. Il suo caso è stato portato all'attenzione con una lettera inviata dalla «Fondazione Regina Pacis» al Ministero degli Esteri italiano, in cui si chiede che possa essere valutata «ogni possibilità, anche quella di sollecitare la concessione della grazia al Presidente della Repubblica di Moldova Vladimir Varonin». Ma il caso di Giuliani non è l'unico. Spesso questi detenuti sono colpiti di provvedimenti cautelari che durano anni prima di trovare sbocco in un processo. Senza avere diritto neppure ad una difesa d'ufficio come avverrebbe in Italia. È per questo che è nata Prigionieri del Silenzio, un'associazione di supporto per le famiglie dei reclusi, creata un mese fa per volontà di otto donne. L'obiettivo: sostenere e guidare i parenti degli italiani detenuti da anni all'estero. Con un direttivo composto di sole donne, l'associazione, presieduta da Katia Anedda, compagna di Carlo Parlanti, il manager italiano detenuto in un carcere americano da oltre tre anni, si prefigge lo scopo di rendere accessibile la giusta informazione e gli strumenti necessari alla gestione di una situazione di emergenza come quella dei detenuti in terra straniera. L'associazione si avvale della consulenza legale del penalista romano Gianluca Arrighi e dell'avvocato Emanuela Santarelli. L'associazione si batte anche per assicurare ai detenuti italiani nei Paesi stranieri il beneficio del gratuito patrocinio. Tra i primi a rivendicare questo diritto i genitori di Angelo Falcone, 27enne arrestato in India e accusato di spaccio di droga dalla polizia locale di Mandi insieme ad un coetaneo italiano, Simone Nobili, e a due indiani. Il padre di Angelo, Giovanni Falcone, materano di Rotondella, sta conducendo una battaglia per dimostrare l'ingiustizia subita dai due ragazzi, e ha aperto un blog ed incessantemente cerca di portare il caso all'attenzione dei media nazionali. Giovanni Falcone, che ha già fatto lo sciopero della fame e minaccia anche azioni autolesionistiche, ha sollevato il problema: all'estero non è garantito il patrocinio gratuito dello Stato ai connazionali alle prese con la giustizia. Falcone è convinto che suo figlio e l'amico Simone Nobili sarebbero già liberi se avessero avuto un'assistenza legale adeguata al caso. Invece rischiano pene fino a 20 anni perché accusati di detenere a fini di spaccio 18 chilogrammi di hascisc in due valigie. Anche Simone Righi, detenuto in Spagna e Carlo Parlanti, in America non hanno potuto beneficiare del gratuito patrocinio. (da ilmessaggero.it)
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