E COL TITOLO DI STUDIO SI FA ANCORA FATICA A TROVARE LAVORO
Università, crollano le iscrizioni
E tra i laureati è allarme lavoro nero
Tutte le facoltà perdono matricole: -5% nell'ultimo anno, -9,2% negli ultimi 4. In controtendenza gli atenei privati
MILANO - Meno iscrizioni e meno laureati. È poco confortante la fotografia dell'università pubblica italiana scattata da due diversi rapporti, uno realizzato dal Cun (Consiglio universitario nazionale) e l'altro elaborato dal consorzio Almalaurea, entrambi presentati lunedì nella sede della Crui. Dal primo emerge che tutte le facoltà perdono iscrizioni (-5% nell'ultimo anno, -9,2% negli ultimi quattro), anche se le scientifiche tengono meglio e il Sud e il Centro Italia soffrono di più rispetto al Nord. Il dossier del Cun spiega anche che nel 2010 hanno scelto di proseguire gli studi all'università solo sei neodiplomati su dieci (il 62%, a fronte del 66% nel 2009, del 65% nel 2008 e del 68% nel 2007). In controtendenza gli atenei privati: un +2% di neoiscritti nel 2010 li porta dal 6,1% al 6,6% degli immatricolati totali in Italia negli ultimi quattro anni.
ARRETRANO I PICCOLI ATENEI - Sono i piccoli atenei (quelli cioè con diecimila iscritti) ad arretrare di più: le immatricolazioni dal 2009 al 2010 scendono dal 3,2% al 2,9%. Anche i medi atenei (fra i diecimila e i ventimila) passano dal 15,5% del 2009 al 15,3% del 2010. Tengono meglio i mega atenei (quelli cioè con più di quarantamila iscritti) con il 42,6% di immatricolazioni nel 2010 contro il 42,4 % nel 2009.
OCCUPAZIONE - Quanto all'occupazione, c'è da dire poi che in Italia i laureati sono ancora pochi, ma non vanno a ruba sul mercato del lavoro. Il dato emerge dal XIII rapporto Almalaurea. La laurea, è vero, continua a «pagare» visto che i laureati presentano un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati e che anche la retribuzione premia i titoli di studio superiori. È indubbio, però, che, anche se un po' meno rispetto all'anno passato, i laureati fanno ancora fatica a trovare lavoro dopo aver messo in tasca il titolo di studio. Considerando i laureati del 2009 emerge che la disoccupazione aumenta, seppure in misura inferiore all'anno scorso, fra i triennali: dal 15 al 16% (l'anno precedente l'incremento era stato intorno ai 4 punti percentuali). La disoccupazione cresce anche fra i laureati specialistici biennali, quelli con un percorso di studi più lungo: dal 16 al 18% (la precedente rilevazione aveva evidenziato una crescita di oltre 5 punti percentuali). Ma sale pure pure fra gli specialistici a ciclo unico: dal 14 al 16,5%. Dilatando l'arco temporale (2005-2010) la quota di laureati pre-riforma occupati a cinque anni ha subito una contrazione di quasi 6 punti percentuali.
LAVORO NERO - Desta preoccupazione, inoltre, un altro fenomeno, il «lavoro nero» tra i laureati. Quelli che lavorano senza contratto, a un anno dal conseguimento del titolo di studio, raddoppiano tra gli specialistici biennali raggiungendo il 7%; per i laureati di primo livello i «senza contratto» passano dal 3,8 al 6%; gli specialistici a ciclo unico (ovvero i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza), che registrano da sempre un valore più elevato, passano dall'8 a quasi l'11%. L'indagine mostra che a un anno dall'acquisizione del titolo, diminuisce il lavoro stabile in misura superiore alla contrazione registrata l'anno precedente per i laureati di ogni livello. Contemporaneamente si dilata la consistenza del lavoro atipico. La stabilit… riguarda cos il 46% dei laureati occupati di primo livello e il 35% dei laureati magistrali (con una riduzione, in entrambi i casi, di 3 punti percentuali rispetto all'indagine 2009).
Redazione online
07 marzo 2011
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lunedì 7 marzo 2011
domenica 24 ottobre 2010
università
UNIVERSITÀ E CATTIVA COSCIENZA
Un paese fuori corso
In questi giorni molti ragazzi iniziano l'università. Per alcune famiglie si tratta della prima generazione che può continuare gli studi dopo la scuola. Che immagine hanno questi ragazzi del Paese in cui diventano cittadini adulti? In molti atenei le lezioni non cominciano: interi corsi di laurea sono stati rinviati (per ora) al secondo semestre. Gli studenti si aggirano spaesati per aule vuote, preoccupati dall'incertezza che li attende.
Del disastro universitario siamo tutti responsabili. Baroni delle cattedre, politici cinici o ignoranti, una classe dirigente che guarda all'università con sufficienza e alla prima delusione manda i figli a studiare lontano dall'Italia. In tre anni 4.500 professori, il 12% del totale, sono andati in pensione. Molti dei corsi che insegnavano non ci sono più perché, tranne casi rari, chi è andato in pensione non è stato sostituito. Il motivo è che i tagli ai finanziamenti pubblici hanno fatto sì che nella quasi totalità degli atenei la spesa per stipendi oggi superi il 90% delle risorse, soglia al di sopra della quale non si può più assumere nessuno. I ricercatori sono 24 mila. Fino a ieri due su tre insegnavano, sebbene una legge sciocca ma ancora in vigore dica che dovrebbero fare solo ricerca, non insegnare. Quest'anno oltre un terzo dei ricercatori non farà lezione: altri corsi che non partono, spesso i più avanzati poiché i più vicini alla frontiera della ricerca.
Che nell'università ci siano troppi professori è un fatto. La responsabilità è di quei sindaci e presidenti di Provincia, di destra, di centro e di sinistra, che hanno ottenuto che si aprissero università ovunque, e che in ciascuna si avviassero corsi di triennio, biennio e dottorato. Se a errori ripetuti per decenni si vuol rimediare in un giorno c'è un solo modo: chiudere i corsi di laurea. È la strada che ha scelto il ministro dell'Economia che in nome del vincolo di bilancio ha deciso di sacrificare l'università. Se i ragazzi buttano al vento un anno della loro vita, poco male. Ma se davvero il vincolo di bilancio è così stretto, come mai nel primo semestre dell'anno il governo ha consentito che la spesa corrente al netto degli interessi, evidentemente in altri settori, aumentasse di 2.800 milioni? Chi sono i privilegiati? Possiamo permetterci di sprecare il nostro capitale umano? Non credo. Si poteva far meglio? Sì.
In luglio il Senato ha approvato la riforma dell'università. Non è una legge ideale, ma va dato atto al ministro Gelmini di aver fatto un importante passo avanti. La legge riconosce che i corsi devono essere ridotti, le università snellite, alcune chiuse. Ma si propone di farlo gradualmente, con un piano di sostituzioni solo parziali dei professori che vanno in pensione: altri 5.800 nei prossimi cinque anni. La Camera è pronta ad approvare la legge. I deputati della maggioranza non esigono che i tagli all'università (1.200 milioni, un ulteriore 15% in meno il prossimo anno) siano cancellati: chiedono che siano ridotti della metà, per consentire alle università di funzionare. Neppure questo è compatibile con i vincoli di bilancio? Allora si abbia il coraggio di spiegare alle famiglie che non possiamo più permetterci un'università quasi gratuita, cioè rette che coprono meno di un terzo del costo degli studi. Trovo terribile il cinismo di chi lascia una generazione allo sbando perché non ha il coraggio di dire la verità.
Francesco Giavazzi
24 ottobre 2010
Un paese fuori corso
In questi giorni molti ragazzi iniziano l'università. Per alcune famiglie si tratta della prima generazione che può continuare gli studi dopo la scuola. Che immagine hanno questi ragazzi del Paese in cui diventano cittadini adulti? In molti atenei le lezioni non cominciano: interi corsi di laurea sono stati rinviati (per ora) al secondo semestre. Gli studenti si aggirano spaesati per aule vuote, preoccupati dall'incertezza che li attende.
Del disastro universitario siamo tutti responsabili. Baroni delle cattedre, politici cinici o ignoranti, una classe dirigente che guarda all'università con sufficienza e alla prima delusione manda i figli a studiare lontano dall'Italia. In tre anni 4.500 professori, il 12% del totale, sono andati in pensione. Molti dei corsi che insegnavano non ci sono più perché, tranne casi rari, chi è andato in pensione non è stato sostituito. Il motivo è che i tagli ai finanziamenti pubblici hanno fatto sì che nella quasi totalità degli atenei la spesa per stipendi oggi superi il 90% delle risorse, soglia al di sopra della quale non si può più assumere nessuno. I ricercatori sono 24 mila. Fino a ieri due su tre insegnavano, sebbene una legge sciocca ma ancora in vigore dica che dovrebbero fare solo ricerca, non insegnare. Quest'anno oltre un terzo dei ricercatori non farà lezione: altri corsi che non partono, spesso i più avanzati poiché i più vicini alla frontiera della ricerca.
Che nell'università ci siano troppi professori è un fatto. La responsabilità è di quei sindaci e presidenti di Provincia, di destra, di centro e di sinistra, che hanno ottenuto che si aprissero università ovunque, e che in ciascuna si avviassero corsi di triennio, biennio e dottorato. Se a errori ripetuti per decenni si vuol rimediare in un giorno c'è un solo modo: chiudere i corsi di laurea. È la strada che ha scelto il ministro dell'Economia che in nome del vincolo di bilancio ha deciso di sacrificare l'università. Se i ragazzi buttano al vento un anno della loro vita, poco male. Ma se davvero il vincolo di bilancio è così stretto, come mai nel primo semestre dell'anno il governo ha consentito che la spesa corrente al netto degli interessi, evidentemente in altri settori, aumentasse di 2.800 milioni? Chi sono i privilegiati? Possiamo permetterci di sprecare il nostro capitale umano? Non credo. Si poteva far meglio? Sì.
In luglio il Senato ha approvato la riforma dell'università. Non è una legge ideale, ma va dato atto al ministro Gelmini di aver fatto un importante passo avanti. La legge riconosce che i corsi devono essere ridotti, le università snellite, alcune chiuse. Ma si propone di farlo gradualmente, con un piano di sostituzioni solo parziali dei professori che vanno in pensione: altri 5.800 nei prossimi cinque anni. La Camera è pronta ad approvare la legge. I deputati della maggioranza non esigono che i tagli all'università (1.200 milioni, un ulteriore 15% in meno il prossimo anno) siano cancellati: chiedono che siano ridotti della metà, per consentire alle università di funzionare. Neppure questo è compatibile con i vincoli di bilancio? Allora si abbia il coraggio di spiegare alle famiglie che non possiamo più permetterci un'università quasi gratuita, cioè rette che coprono meno di un terzo del costo degli studi. Trovo terribile il cinismo di chi lascia una generazione allo sbando perché non ha il coraggio di dire la verità.
Francesco Giavazzi
24 ottobre 2010
venerdì 2 maggio 2008
RICERCA SCIENTIFICA?
A quanto risulta, l'università di Napoli Federico II° avrebbe dato circa 8000 Euro per finanziare fotografie e calendari di studentesse della medesima università. Non è una grande cifra, ma è quello che serve annualmente a finire la quarta settimana di ogni mese dell'anno per chi ora non ci riesce. Peggio ancora, sono soldi pubblici, sprecati in frivolezze, con l'aria che tira.
Magnifico Rettore, sono consapevole che questi soldi saranno stati mascherati in chissà quale progetto di ricerca e che magari non ne hai avuto contezza, ma sono altrettanto consapevole che magari altri e più consistenti fondi saranno mascherati e nascosti in nebulosi progetti di ricerca. Voglio dire, che quei soldi escono dalle tasche quasi vuote della gente, e che se Tu li sprechi o permetti che vengano sprecati meglio faresti a dimetterti. http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/scuola_e_universita/servizi/polemica-federico-secondo/polemica-federico-secondo/polemica-federico-secondo.html
Magnifico Rettore, sono consapevole che questi soldi saranno stati mascherati in chissà quale progetto di ricerca e che magari non ne hai avuto contezza, ma sono altrettanto consapevole che magari altri e più consistenti fondi saranno mascherati e nascosti in nebulosi progetti di ricerca. Voglio dire, che quei soldi escono dalle tasche quasi vuote della gente, e che se Tu li sprechi o permetti che vengano sprecati meglio faresti a dimetterti. http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/scuola_e_universita/servizi/polemica-federico-secondo/polemica-federico-secondo/polemica-federico-secondo.html
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