sabato 31 gennaio 2009

LO STATO DELA GIUSTIZIA

Qui c'è la relazione del PG della Cassazione sullo stato della Giustizia. E' doverosamente lunghissima, ma ciascuno di noi potrebbe allungarla ancora. Mandate i vostri commenti. http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=87176&idCat=120

domenica 18 gennaio 2009

ESCHE AVVELENATE

In seguito al dilagare del fenomeno di uccisione e maltrattamento di animali mediante la disseminazione nell’ambiente di esche o bocconi avvelenati, che rappresenta un serio rischio per la popolazione umana, in particolare per i bambini e per l’ambiente, il Sottosegretario alla Salute Francesca Martini ha firmato un’Ordinanza recante norme sul "Divieto di utilizzo e di detenzione di esche o bocconi avvelenati".
L'Ordinanza, inviata alla Corte dei Conti per la registrazione, entrerà in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Il provvedimento ha lo scopo di prevenire i rischi diretti per la salute dell’uomo e degli animali nonché quelli derivanti dalla contaminazione ambientale.
In particolare il provvedimento ai fini della tutela della salute pubblica, della salvaguardia e dell’incolumità delle persone, degli animali e dell’ambiente, vieta di utilizzare in modo improprio, di preparare, miscelare e abbandonare esche e bocconi avvelenati o contenenti sostanze tossiche o nocivi, compresi plastiche e metalli. L’ordinanza vieta, altresì, la detenzione, l’utilizzo e l’abbandono di qualsiasi alimento preparato in maniera tale da poter causare intossicazioni o lesioni al soggetto che le ingerisce e prevede l’obbligo per il proprietario o il responsabile dell’animale deceduto a causa di esche o bocconi avvelenati di darne segnalazione alle autorità competenti. In caso di operazioni di derattizzazione e di disinfestazione è posto l’obbligo di affiggere nelle zone interessate, con almeno cinque giorni lavorativi di anticipo, avvisi idonei ad informare delle operazioni che saranno effettuate.

L’ordinanza dispone, inoltre, che il medico veterinario, qualora sulla base di una sintomatologia conclamata emetta diagnosi di sospetto avvelenamento o venga a conoscenza di un caso di avvelenamento di un animale domestico o selvatico, deve darne immediata comunicazione al sindaco e al servizio veterinario della Azienda sanitaria locale territorialmente competente.
In caso di decesso dell’animale il veterinario deve inviare le spoglie e ogni altro campione utile all’identificazione del veleno o della sostanza che ne ha provocato la morte all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale competente per territorio. Gli Istituti Zooprofilattici devono sottoporre ad autopsia l’animale ed effettuare entro trenta giorni analisi sui campioni pervenuti o prelevati durante l’autopsia e comunicarne gli esiti al medico veterinario che ha inviato i campioni, al sevizio veterinario della ASL competente e, qualora le analisi siano positive, all’autorità giudiziaria.

I sindaci ai quali siano pervenute segnalazioni di sospetti avvelenamenti devono disporre l’immediata apertura di un'indagine e provvedere ad attivare le iniziative necessarie alla bonifica dell’area interessata nonché segnalare l’area con un apposita cartellonistica. Viene, inoltre, attivato presso ciascuna Prefettura un "tavolo di coordinamento" per la gestione degli interventi da effettuare e per il monitoraggio del fenomeno.

I produttori di presidi medico-chirurgici di prodotti fito-sanitari e di sostanze pericolose appartenenti alle categorie dei topicidi, ratticidi, lumachicidi e nematocidi ad uso domestico, civile ed agricolo, hanno l’obbligo di aggiungere al prodotto una sostanza amaricante che lo renda sgradevole ai bambini e agli animali. Nel caso in cui la forma commerciale sia un’esca deve essere previsto un contenitore con accesso solo all’animale "bersaglio".

ministerosalute.it - 24 dicembre 2008

TRASFUSIONE DI SANGUE

Muore dopo la trasfuzione forzata
Medici condannati: "Violata la Costituzione"
"C’è una dignità anche nel processo del morire" ed è la Costituzione a garantirlo. Una sentenza del tribunale civile di Milano condanna un ospedale e quattro medici a risarcire la vedova di un paziente per danni morali e biologici: suo marito, testimone di Geova, morì durante una trasfusione di sangue che aveva rifiutato. E il pensiero va a Eluana Englaro
di Oriana Liso

"C’è una dignità anche nel processo del morire" ed è la Costituzione a garantirlo. Una dignità che nessun medico, anche se spinto dalle migliori intenzioni di cura e salvezza del paziente, può dimenticare. C’è una dignità nel morire e c’è un diritto a rifiutare un tipo di cura pur volendo continuare a vivere. Se questo diritto viene negato, qualcuno ne deve rispondere perché si scongiuri il rischio "che nell’intervento terapeutico l’attenzione si sposti dalla cura della persona alla cura in quanto tale".

La sentenza del tribunale civile di Milano che condanna un ospedale e quattro medici a risarcire la vedova di un paziente per danni morali e biologici è di un mese fa. Un uomo si ammala di tumore, una neoplasia gastrica maligna. Viene ricoverato in un ospedale milanese, i medici gli spiegano che sarà necessaria una trasfusione: ma lui è ministro di culto dei Testimoni di Geova, la sua religione non consente le trasfusioni. Così si fa trasferire in un’altra struttura, sempre a Milano. Qui — come riassume il giudice Iole Fontanella — ha rassicurazioni che la sua volontà — messa anche per iscritto — verrà rispettata. Ma tutto precipita in pochi giorni: l’uomo sta molto male, serve una trasfusione a cui lui, i suoi familiari e i suoi amici si oppongono.

"I sanitari chiedono un consulto psichiatrico da cui non emerge alcuna alterazione mentale". L’ospedale allora si fa autorizzare dal magistrato e pratica al paziente un trattamento sanitario obbligatorio che segna l’epilogo drammatico della storia. La polizia allontana i parenti e gli amici, l’uomo viene bloccato a letto e, mentre si dimena, grida che non vuole la trasfusione, prega i medici, gli vengono somministrate due sacche di sangue. Si sta per procedere con la terza ma il cuore dell’uomo cede. Un infarto.

La denuncia penale si risolve con una archiviazione perché non c’è reato. Ma il punto, nel processo civile, è un altro, e viene affrontato dal giudice anche e soprattutto alla luce della sentenza 21748 della Cassazione. La sentenza su Eluana. "Il collegio dei periti — scrive il giudice — che non ha avuto alcun dubbio nel riconoscere che la trasfusione era l’unica scelta praticabile, ha invece espresso sconcerto e imbarazzante perplessità di fronte a un comportamento dei sanitari così palesemente inadeguato e brutale", perché lo stress della trasfusione coatta "ha avuto senz’altro un ruolo concausale nel del decesso".

E ancora: "I sanitari hanno violato elementari precetti deontologici e del vivere civile. C’è una dignità anche nel processo del morire che al paziente è stata negata: tutto ciò non ha niente a che fare con i concetti di cura e di prestazione sanitaria salvavita". Per il giudice Fontanella l’errore dei medici non sta nell’aver valutato la trasfusione come unico modo per salvare la vita al loro paziente. Ma nell’aver imposto quella decisione senza pensare alla "proporzionalità e l’adeguatezza" dell’ azione rispetto al fine.
(17 gennaio 2009) (da repubblica.it di Milano)

domenica 11 gennaio 2009

INAIL

VI convegno nazionale sulla medicina legale previdenziale

Online gli atti del convegno svoltosi nel 2006

Sono disponibili sul sito dell'Inail gli atti del VI convegno nazionale di medicina legale previdenziale che si è tenuto nell'ottobre del 2006 a Cagliari. Il volume, consultabile solo in rete a questo indirizzo www.inail.it..., è formato da tre volumi contenenti tutte le relazioni che si sono tenute durante l'evento.

Per informazioni e richieste: sovrintendenzamedica@inail.it

Fonte: inail.it
26 gennaio 2008

sabato 10 gennaio 2009

NUOVI SCHIAVI

Dipendenti come schiavi, 3 arresti
Cinesi sfruttati in azienda di Modena
Lavorare 18 ore al giorno per guadagnare 25 euro al mese. Succede a Modena dove i carabinieri hanno arrestato tre cinesi titolari di un'azienda tessile, accusati di reati di riduzione in schiavitù, sequestro di persona ed estorsione ai danni di connazionali. I tre costringevano i lavoratori a turni massacranti, rinchiusi per ore nel laboratorio anche in condizioni di salute precarie, e riforniti con cibo di scarsa qualità.

La ricostruzione della vicenda è stata formulata dal Pm della Dda di Bologna Lucia Musti e che ha portato all'emissione da parte del Gup Gabriella Castore di un'ordinanza di custodia cautelare a carico di tre cittadini cinesi residenti nel Modenese. Si tratta di padre, figlio e la moglie di quest'ultimo, gestori di un laboratorio tessile a Cavezzo (Modena), per i reati di riduzione in schiavitù, sequestro di persona ed estorsione ai danni di connazionali. Per il figlio la custodia è stata disposta in carcere, per gli altri due ai domiciliari. Sequestrata anche l'azienda.(da tgcom)

giovedì 8 gennaio 2009

UNA BRUTTA STORIA

Vibo Valentia, quando un giudice finisce sulla graticola
Scritto da Luigi Palamara in data gennaio 8th, 2009 Nessun Commento Versione-Stampabile
Gravi profili d’incompatibilità. La palla al balzo, ma si potrebbe dire anche la “patata bollente” passa ora nelle mani della Commissione Disciplinare del C.S.M. che sabato prossimo 10 gennaio 2009, alle ore 9,30, andrà a pronunciarsi. Pesantissime le accuse riguardanti il comportamento tenuto nelle indagini per la morte di Federica Monteleone, una giovane studentessa, operata d’appendicite, deceduta in sala operatoria nell’ospedale Iazzolino di Vibo Valentia, ufficialmente l 26 gennaio del 2007.
Secondo l’accusa, il dottor Alfredo Laudonio, difeso dagli avvocati Buno Anello e Pietro Proto, avrebbe consentito che le indagini su quel fatto venissero inquinate, omettendo atti del suo ufficio ed ostacolando l’attività della polizia giudiziaria e dei suoi sostituti. Inoltre, secondo i giudici di Salerno, che indagano, i luoghi furono alterati, la sala operatoria manomessa per far sparire le prove a carico dei responsabili del decesso della ragazza


VIBO VALENTIA, IL CASO DELLA STUDENTESSA FEDERICA MONTELEONE (7 FEBBRAIO 1991-26 GENNAIO 2007) “UCCISA”… DUE VOLTE: QUANDO GIUNSE A COSENZA ERA GIA’ MORTA. PER L’EX PROCURATORE DELLA REPUBBLICA ALFREDO LAUDONIO, LA PROCURA GENERALE DELLA CASSAZIONE, HA CHIESTO LA SOSPENSIONE IMMEDIATA DALLE FUNZIONI E DALLO STIPENDIO E LA COLLOCAZIONE FUORI DAI RUOLI DELLA MAGISTRATURA, MA LUI SI DIFENDE : “SONO DEL TUTTO SERENO DI AVERE LA CERTEZZA DI POTERE FINALMENTE DIMOSTRARE IN MANIERA INCONFUTABILE, DAVANTI A UN GIUDICE NEL QUALE HO PIENA E INCONDIZIONATA FIDUCIA, L’ASSOLUTA INFONDATEZZA DELLE ACCUSE, FRUTTO DI INSINUAZIONI TEMERARIE, CALUNNIOSE E FALSE”.

La notizia ripresa e diramata dalle agenzie di stampa Ansa, AGI, ADN Kronos, Apcom e dalle altre, ha fatto subito il giro. In passato, per un piccolo”indicente di percorso”, il CSM negò al dottor Alfredo Laudonia, la Procura della Repubblica di Cosenza, assegnata poi, al giudice Dario Granieri. A settembre 2008, ha dovuto cedere, per fine mandato (14 anni) al suo collega Mario Spagnolo, il posto di Procuratore Capo della Repubblica di Vibo Valentia. Ed ora questo fulmine a ciel sereno. La richiesta di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio con collocamento fuori dai ruoli della magistratura, formalizzata ieri dalla Procura generale della Corte di Cassazione. Le prime indagini sulla morte di Federica vennero condotte da Fabrizio Garofalo e dal procuratore di Vibo, Alfredo Laudonio. In particolare, Garofalo e Laudonio, un giorno prima del decesso di Federica, condussero l’interrogatorio nei confronti del medico anestesista. Secondo Garofalo, la consulenza medico legale ha accertato che l’impianto elettrico non era a norma, tanto che la ragazza fu colpita da una scarica elettrica. Circostanza, però, che non era stata evidenziata dagli accertamenti sull’impianto elettrico e sugli apparecchi elettromedicali

Domenico Salvatore

VIBO VALENTIA-Calabria terra di terremoti politici, economici, finanziari, amministrativi, mafiosi, giornalistici, giudiziari, sportivi e chi più ne ha, più ne metta.
Stavolta nell’occhio del ciclone, suo malgrado, c’è finto un pezzo grosso della magistratura: l’ex procuratore Capo della Repubblica di Vibo Valentia; una delle procure più tormentate del Bruzio. Il dottor Alfredo Laudonio 58 anni, in magistratura da oltre trenta. Aveva cominciato come pretore. Fino a bruciare le tappe ed a diventare Capo di un ufficio importantissimo. Una delle tante storie di malasanità, accadute in Calabria e non solo, che risale ad un paio di anni fa.
Ma Federica Monteleone morì a Vibo Valentia, non a Cosenza. L’ Apcom, riporta una sintesi dei servizi di Calabria Ora, diretto da Paolo Pollichieni…”Agghiacciante”. Inizia così l’articolo-shock sulla morte di Federica Monteleone che Calabria Ora pubblica oggi in esclusiva a firma del suo direttore. Il giornale afferma che la versione ufficiale, secondo la quale la 16enne, sarebbe morta il 24 gennaio del 2008 nell’ospedale di Cosenza dopo una settimana di coma per la scarica elettrica che la colpì su un tavolo operatorio dell’ospedale di Vibo Valentia durante una operazione di appendicite, è falsa. “Federica, di fatto è morta in sala operatoria a Vibo. Dalla sala uscì con assoluta cessazione di ogni attività celebrale, tenuta in vita solo meccanicamente attraverso la respirazione artificiale… la sala operatoria venne immediatamente manomessa … per depistare le indagini si sarebbe fatto ricorso all’azienda che aveva la manutenzione della sala operatoria… a spingere perchè venissero alterati i luoghi nel senso indicato da chi voleva sottrarsi alle indagini o comunque inquinarle sarebbero stati elementi di un clan mafioso egemone a Vibo Valentia”.
I magistrati inquirenti, si sono posti una domanda semplice, quasi banale: “Perchè si fece di tutto per trasferire Federica, praticamente già cadavere, dall’ospedale di Vibo a quello di Cosenza? La risposta è stata: “perchè dovevamo avere una risonanza magnetica che all’ospedale di Vibo Valentia non era possibile effettuare”. Ma, a Vibo esiste una clinica privata che ha la risonanza magnetica. Ce l’ha anche il vicino ospedale di Lamezia Terme. Perchè non lì? “Il perchè lo scopriranno gli inquirenti quando si ritroveranno in mano una cartella clinica palesemente falsificata. Responsabili delle falsificazioni sarebbero due sanitari cosentini ora iscritti nel registro degli indagati. Anche i protagonisti dell’inchiesta giudiziaria avevano come obiettivo quello di spostare la competenza delle indagini dalla Procura di Vibo a quella di Cosenza”.
Ancora l’Apcom.sull’argomento… L’ex procuratore capo di Vibo Valentia, Alfredo Laudonio, in una nota diffusa tramite i suoi legali, in relazione alla richiesta di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio con collocamento fuori dai ruoli della magistratura, formalizzata ieri dalla Procura generale della Corte di Cassazione, afferma di essere “del tutto sereno di avere la certezza di potere finalmente dimostrare in maniera inconfutabile, davanti a un giudice nel quale ho piana e incondizionata fiducia, l’assoluta infondatezza delle accuse, frutto di insinuazioni temerarie, calunniose e false”. In merito ecco una nota dell’anno scorso… 21 mag 08. Lo stato della sala operatoria dell’ospedale di Vibo Valentia in cui fu sottoposta ad intervento chirurgico Federica Monteleone, la sedicenne che entrò in coma e morì dopo una settimana, fu modificato dopo l’intervento e prima dell’ispezione dei magistrati. Lo sostiene il sostituto procuratore di Vibo Valentia, Fabrizio Garofalo, nell’avviso di conclusione indagini notificato a nove persone. Garofalo, nei mesi scorsi, ipotizzando presunte omissioni da parte di un magistrato nella fase iniziale delle indagini, aveva trasmesso gli atti dell’inchiesta alla Procura di Salerno, competente a valutare il comportamento dei magistrati del distretto della Corte d’appello di Catanzaro. Le prime indagini sulla morte di Federica vennero condotte dallo stesso Garofalo e dal procuratore di Vibo, Alfredo Laudonio. In particolare, Garofalo e Laudonio, un giorno prima del decesso di Federica, condussero l’interrogatorio nei confronti del medico anestesista. Secondo Garofalo, la consulenza medico legale ha accertato che l’impianto elettrico non era a norma, tanto che la ragazza fu colpita da una scarica elettrica. Circostanza, però, che non era stata evidenziata dagli accertamenti sull’impianto elettrico e sugli apparecchi elettromedicali “fatto da cui si desume inequivocabilmente che durante il lasso di tempo intercorso fra l’intervento e l’ispezione, lo stato dei luoghi sono stati artificiosamente modificati”.
Tutti gli indagati sono nove: Antonio Bruni, consulente dell’ex Azienda sanitaria locale di Vibo incaricato di seguire l’esecuzione dei lavori relativi alla realizzazione dell’impianto elettrico nella sala operatoria; Matteo Cautadella, medico con compiti di direzione sanitaria dei presidi ospedalieri dell’Asl; l’ex direttore generale dell’Azienda sanitaria, Francesco Talarico; Alfonso Luciano, ex direttore sanitario; Pietro Schirripa, direttore sanitario dell’ospedale Iazzolino; Roberto De Vincentis, che all’epoca dei fatti era direttore dei servizi tecnici dell’Azienda; Nicola Gradia, responsabile di un settore dei servizi tecnici; Antonino Stuppia, titolare dell’impresa che ha eseguito lavori di ristrutturazione nella sala operatoria; Francesco Costa, il medico anestesista che assisteva Federica nel corso dell’intervento di appendicite. Per tutti l’accusa è omicidio colposo. A Talarico viene contestata anche l’istigazione alla corruzione, mentre Stuppia é accusato anche di falsità ideologica per avere “dichiarato falsamente” l’esecuzione di alcuni lavori.
Due nuovi avvisi di garanzia sono stati emessi dalla Procura di Vibo Valentia a conclusioni delle indagini per nove persone in relazione alla morte di Federica Monteleone, la sedicenne deceduta il 26 gennaio 2007 dopo essere entrata in coma in seguito ad un black out nella sala operatoria dell’ospedale di Vibo Valentia. I nuovi indagati sono Antonio Bruni, consulente dell’ex Azienda sanitaria locale di Vibo e Matteo Cautadella, medico. L’avviso di conclusione indagini e stato notificato anche agli altri sette indagati tra cui l’ l’ex direttore generale dell’Azienda sanitaria, Francesco Talarico. Per tutti l’ipotesi accusatoria è omicidio colposo, ma a Talarico viene contestata anche l’istigazione alla corruzione, perché avrebbe offerto al dirigente dell’Unità operativa di medicina del lavoro dell’Asl, Cesare Pasqua, la nomina a capo dipartimento nella stessa Azienda, allo scopo di ottenere il parere positivo alla sussistenza dei requisiti minimi di adeguatezza della sala operatoria a prescindere dall’effettiva sussistenza dei requisiti stessi. La morte di Federica, secondo l’accusa, fu provocata da una scossa elettrica determinata dal contatto di un elettrodo con la gamba sinistra della giovane che le provocò “un arresto del circolo ematico”. Contestualmente si verificò anche un black out in sala operatoria e lo spegnimento sia del respiratore automatico, sia dei monitor con i parametri vitali della ragazza che non erano alimentate da un circuito di sicurezza. Nonostante il passaggio “tempestivo” alla ventilazione manuale, è la tesi dell’accusa, solo dopo dieci minuti, quando i monitor si riaccesero, i medici si accorsero del blocco ematico. La ragazza andò quindi in arresto cardiaco e fu rianimata, ma i dieci minuti di blocco ematico avevano provocato una insufficienza cerebrale grave che determinò la morte di Federica elettroencefalogramma piatto. Le accuse mosse al sostituto procuratore della repubblica di Vibo Valentia, Alfredo Laudonio sono thrilling e mozzafiato. Roba da gelare il sangue nelle vene. Lungi da noi voler prendere le difese di nessuno. Specialmente in questo momento così delicato. Al tempo stesso non faremo neanche i forcaioli od i giustizialisti. Non possiamo e non vogliamo influire nè influenzare nessuno in alcun modo. Perciò aspettiamo che sia l’organo competente del C.S.M. a compiere ed a completare il suo percorso istituzionale. E dopo faremo conoscere la nostra opinione, alla quale non rinunziamo certamente, per nessunissima ragione al mondo.
Domenico Salvatore (da melitoonline, 8 gennaio 2009)

CAPPELLANO CONDANNATO

Condanne pesanti per sacerdoti che chiedono sesso a detenuti

(ANSA)- ROMA, 7 GEN- Condanne pesanti per i sacerdoti che molestano sessualmente i detenuti. Lo sottolinea una sentenza della Cassazione.La Suprema Corte ha confermato la condanna a 3 anni e 10 mesi per un ex cappellano del carcere di Sanremo,accusato di concussione per aver preteso dai carcerati prestazioni sessuali in cambio del miglioramento delle condizioni.La Corte ha rilevato infatti che il cappellano, per la troppo timida riforma carceraria del 1975, svolge ancora un servizio pubblico. Ha quindi respinto la posizione del religioso che aveva sostenuto, innanzi ai Supremi giudici, di non poter essere condannato per concussione in quanto, dopo la riforma del 1975, che ha ridimensionato il ruolo e il potere dei cappellani nelle carceri, non poteva piu' essere considerato un incaricato di pubblico servizio. Piazza Cavour gli ha dato torto e ha rilevato che quella riforma 'ha tradito in parte i propositi di laicizzazione della vita pubblica e continua a prevedere che il trattamento del condannato sia svolto avvalendosi anche della religione e a tal fine mantiene il servizio di assistenza cattolica come servizio stabile'.(ANSA).