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martedì 14 aprile 2009

LETTING DIE

SUL TESTAMENTO BIOLOGICO OVVERO IL LETTING DIE

Più di un quarto di secolo fa, fui il primo in Italia, io credo, a introdurre in sede medico legale la questione del letting die, vale a dire del lasciarsi morire – o se preferite di non curarsi, qualora le condizioni fisiche non consentissero di farlo senza una probabilità di successo (L’eutanasia: diritto di vivere/diritto di morire, CEDAM, 1983). Ero anche d’accordo con le posizioni del card. Franjo Sieper, che non riteneva obbligatorie le “cure sproporzionate” allo scopo, se lo scopo non aveva probabilità di essere raggiunto. In altri termini, ritenevo che un individuo, giunto quasi al punto estremo della vita, avesse il diritto/dovere di decidere che fare di sé, e cioè se contentarsi oppure no delle cure palliative, se non c’era possibilità di salvezza.
Sono stato anche il primo a portare a conoscenza dei medici legali italiani il Natural Death Act dello Stato di California (vedi la citazione sopra), nel quale- lo rammento agli smemorati- l’eutanasia attiva e l’eutanasia passiva erano proibite, erano cioè proibiti atti ed omissioni che fossero causalmente efficaci nel produrre la morte.
Il passare del tempo non ha stravolto le mie convinzioni.
E’ in atto in questo momento un’aspra polemica tra la Federazione degli Ordini dei Medici e la Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni, circa l’estensione da dare alla DAT (Dichiarazione anticipata di trattamento). Questa polemica non mi riguarda: sono invecchiato abbastanza da capire le ragioni degli uni e degli altri, e non voglio convincere nessuno della bontà di una o dell’altra tesi.
Voglio solo esprimere le mie personali Dichiarazioni anticipate di trattamento:
- Nel caso andassi incontro a morte cerebrale certa, per favore staccate la spina;
- Nel caso andassi incontro a morte corticale certa, per favore staccate la spina;
- Nel caso andassi incontro a stato vegetativo persistente, per favore staccate la spina, non fate trattamenti sproporzionati al fine da raggiungere, non nutritemi artificialmente, non datemi più liquidi, ma lasciatemi morire in pace.
- PS. Non espiantate i miei organi, sono troppo vecchi e acciaccati.
Giusto Giusti
Roma, 14 aprile 2009

giovedì 5 febbraio 2009

ELUANA

Il testo del decreto:

Questo è il testo: «In attesa dell'approvazione di una completa e organica disciplina legislativa in materia di fine vita, l'alimentazione e l'idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere rifiutate dai soggetti interessati o sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi».

Una cosa che fa ridere i polli: è come dire che non ci deve suicidare ("... rifiutate dai soggetti interesati" ...) nè si deve ammazzare ("... sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi"). La prima affermazione non è proponibile, la seconda la conoscevamo già.

Il fatto è che, allo stato attuale della legislazione, la morte cerebrale corrisponde alla morte fisica dell'individuo, e la morte cerebrale è definita per legge secondo determinati criteri, che NON corrispondono ai criteri clinici dello stato vegetativo persistente. Per legge, chi si trova in condizione di SVP non è morto. Di conseguenza, se lo fai morire, commetti un omicidio.

Per consentire, dunque, l'interruzione dell'alimentazione e dell'idratazione ad un soggetto in SVP, bisogna ammettere che questo soggetto sia morto, parificare cioè la morte cerebrale con lo SVP. Altrimenti è omicidio (se preferite, eutanasia).

In Italia, il rifiuto delle cure è ammesso, purchè la persona sia capace di intendere e di volere. Se non lo è, o non lo è più, il rifiuto delle cure non può essere ammesso, a meno che la persona, quando era capace di intendere e di volere, non abbia espresso senza equivoci e con testimonianze e per iscritto la propria volontà di non essere curata, trovandosi in certe condizioni.

Perciò, e per concludere, il caso di Eluana NON PUO' essere risolto se non cambiando la legislazione.

Il mio personale parere sul caso non ha alcuna rilevanza, perchè quello che conta è il parere della maggioranza del Parlamento, acquisito ed espresso nelle debite forme e nel rispetto delle leggi vigenti.

Adesso, sparatemi pure addosso.