Cassazione: «E' reato la coltivazione di cannabis per uso personale»
ROMA (24 aprile) - Rimane illecito penale coltivare qualche pianta di cannabis per uso personale. Lo hanno stabilito le sezioni unite della Cassazione, che ha sposato così la linea "dura" nel perseguire chi coltiva qualche piantina di marijuana sul balcone o nel giardino di casa. La Cassazione non ha dunque accolto la richiesta fatta stamani dal sostituto procuratore generale della Cassazione, Vittorio Esposito, che aveva invece chiesto di rendere non perseguibile penalmente chi coltiva qualche piantina di marijuana in casa. La questione della coltivazione di cannabis per uso personale è sempre stata controversa perché la stessa Cassazione in alcuni casi ha condannato la coltivazione e in altri, invece, l'ha ritenuta lecita. Proprio per risolvere questa oscillazione giurisprudenziale, il problema è stato sottoposto all'attenzione delle sezioni unite, presiedute dal primo presidente Vincenzo Carbone. I radicali italiani che da questa mattina stanno manifestazione in piazza Cavour insieme ale associazioni, ai partiti e ai movimenti anti proibizionisti, non saranno soddisfatti della decisione presa dalla Cassazione.L'antiproibizionista radicale, Rita Bernardini, commentando la requisitoria del Pg Esposito ha detto: «È una ottima cosa che la Procura della Cassazione, rappresentata da Vitagliano Esposito, si sia espressa a favore della non perseguibilità penale di chi coltiva qualche pianta di cannabis per uso personale: è una scelta di ragionevolezza in conformità a quanto prevedono le norme». «Sarebbe inoltre assurdo - prosegue Bernardini - se si considerasse illecita la coltivazione domestica a fronte della depenalizzazione della detenzione e del consumo personale di cannabis: se non si depenalizza la coltivazione ad uso personale si finisce per istigare chi consuma cannabis a rivolgersi al mercato criminale». (da ilmessaggero.it 24 aprile)
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giovedì 24 aprile 2008
venerdì 21 marzo 2008
FETI E RICERCA
Quando si cominciò a parlare di cellule staminali, disse subito e pubblicamente che si potevano utilizzare gli aborti, spontanei o provocati secondo legge, come fonte di cellule staminali per ricerca e terapia. Plaudo all'iniziativa del prof. Rebulla, e non capisco perchè il Comitato etico del suo ospedale gli abbia negato il permesso. A ben guardare, non si ledono diritti di alcuno, e se io voglio fare qualche ricerca su cadaveri non devo chiedere permessi a nessuno. Quanto alle restrizioni del CNB, esso è noto per porre restrizioni comunque, e i timori del presidente del CNB sono incomprensibili. Sono in assoluto accordo con il prof. Giuseppe Novelli. Meglio studiarli che buttarli tra i rifiuti ospedalieri, e perdonate la brutalità, ma così è.
Policlinico Milano: usare i feti per la ricercaIl Comitato di Bioetica: sì, ma con regole precise
ROMA (21 marzo) - Si accende il dibattito sul progetto di usare i feti degli aborti per la ricerca sulle cellule staminali. La proposta è stata fatta dal team guidato dall'ematologo Paolo Rebulla del Policlinico di Milano al Comitato di Bioetica dell'ospedale che, come riportato dal Corriere della sera, ha bloccato l'iniziativa. La proposta prevede la nascita di una Fetal Cell Bank, una banca di cellule fetali per la raccolta dei campioni di tessuto che derivano da interruzioni di gravidanza, sia spontanee sia volontarie, «per pubblicazioni di carattere scientifico e/o per lo sviluppo di prodotti commerciali e/o terapeutici». Rebulla: «Progetto lecito per Cnb». Rebulla ha spiegato che «il progetto non riguarda la legge 194» sull'interruzione volontaria di gravidanza, «ma solo l'utilizzo a scopo di ricerca dei tessuti fetali». «Sull'impiego di cellule, tessuti e organi del feto non esistono in Italia specifici testi normativi - ha precisato Rebulla - ma sotto il profilo etico l'impiego di tessuti di feti abortiti è stato già preso in considerazione dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb) e, in linea di principio, ritenuto lecito, quando sia giustificato da esclusivi fini di studio, di ricerca e di terapia». Il documento del 2005. Cinzia Caporale, componente del Cnb, ha affermato che il documento approvato all'unanimità nel 2005 dal Cnb apriva alla ricerca sulle cellule staminali prelevate da embrioni abortiti fissando però delle condizioni precise. «Si chiedeva innanzitutto - precisa Caporale - la piena indipendenza e separazione tra l'equipe che pratica l'aborto e l'equipe che fa ricerca; il consenso della donna all'utilizzo di materiali fetali a fini di ricerca deve essere chiesto solo dopo l'aborto, in modo che la donna non abbia alcuna compensazione morale dal fatto di sapere anticipatamente che il feto potrà essere impiegato per la ricerca; le modalità e procedure dell'intervento abortivo non devono essere cambiate in funzione delle finalità scientifiche; tutela della riservatezza; rilevanza scientifica degli esperimenti; valutazione del comitato etico caso per caso; donazione e non commercializzazione dei materiali fetali». Rocco Mangia, presidente del Comitato di bioetica, aveva commentato la proposta affermando che può comportare il rischio che «la donazione possa essere considerata dalle donne una sorta di compensazione del disvalore morale legato alla scelta di abortire». «Il pericolo - continua Mangia, intervistato dal Corriere - è di finire con l'incentivare, o quanto meno con il non disincentivare, le interruzioni di gravidanza». Secondo Rebulla il rischio potrebbe essere superato istituendo la figura dell'honest broker, «un garante super partes del rispetto dei diritti della donatrice e dell'adempimento dei doveri del ricercatore». Genetista Novelli: «Il no è antiscientifico». «Immotivato e, soprattutto, antiscientifico». Così il genetista Giuseppe Novelli, dell'Università Tor Vergata di Roma, giudica il no del Comitato etico. Si tratta, ha affermato Novelli, di uno «stop che lascia molto perplessi e che riflette una posizione nettamente antiscientifica, ma riflette anche una certa mancanza di informazione e aggiornamento da parte dei bioeticisti». Il genetista sottolinea che banche di tessuti fetali sono presenti in Europa fin dal 1993 e aggiunge che «in numerosi ospedali italiani ricerche su staminali prelevate da embrioni abortiti sono state già condotte previa l'autorizzazione, dei comitati etici e il consenso informato della donna». Il genetista ha sottolineato l'importanza di tali studi. La ricerca sulle cellule staminali fetali di tipo muscolare «potrebbero rivelarsi molto importanti per la cura di malattie come la distrofia muscolare». Inoltre si può arrivare «a curare in utero i feti gravemente malati». Tumulazione collettiva o inceneritore per feti morti. Gli embrioni abortiti negli ospedali vengono tumulati in tombe anonime o con nome e, quando l'età gestazionale è molto bassa, vengono inceneriti in qualità di rifiuti ospedalieri. Sulla base di questo il ginecologo e membro del direttivo dell'Associazione Coscioni Silvio Viale, ha affermato che «risulterebbe più sensato e utile se tali feti venissero invece utilizzati a scopo di ricerca». Sarebbe invece di «grandissima utilità pubblica» se invece di concludersi in un cimitero o in un inceneritore il feto approdasse in un laboratorio di ricerca, dove i feti abortiti potrebbero essere studiati. In tal modo, ma questo non è certamente l'aspetto più rilevante, tiene a precisare Viale, si taglierebbero anche dei «costi evitabili» legati alle procedure attualmente previste. (ilmessaggero.it 21.3.2008)
Policlinico Milano: usare i feti per la ricercaIl Comitato di Bioetica: sì, ma con regole precise
ROMA (21 marzo) - Si accende il dibattito sul progetto di usare i feti degli aborti per la ricerca sulle cellule staminali. La proposta è stata fatta dal team guidato dall'ematologo Paolo Rebulla del Policlinico di Milano al Comitato di Bioetica dell'ospedale che, come riportato dal Corriere della sera, ha bloccato l'iniziativa. La proposta prevede la nascita di una Fetal Cell Bank, una banca di cellule fetali per la raccolta dei campioni di tessuto che derivano da interruzioni di gravidanza, sia spontanee sia volontarie, «per pubblicazioni di carattere scientifico e/o per lo sviluppo di prodotti commerciali e/o terapeutici». Rebulla: «Progetto lecito per Cnb». Rebulla ha spiegato che «il progetto non riguarda la legge 194» sull'interruzione volontaria di gravidanza, «ma solo l'utilizzo a scopo di ricerca dei tessuti fetali». «Sull'impiego di cellule, tessuti e organi del feto non esistono in Italia specifici testi normativi - ha precisato Rebulla - ma sotto il profilo etico l'impiego di tessuti di feti abortiti è stato già preso in considerazione dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb) e, in linea di principio, ritenuto lecito, quando sia giustificato da esclusivi fini di studio, di ricerca e di terapia». Il documento del 2005. Cinzia Caporale, componente del Cnb, ha affermato che il documento approvato all'unanimità nel 2005 dal Cnb apriva alla ricerca sulle cellule staminali prelevate da embrioni abortiti fissando però delle condizioni precise. «Si chiedeva innanzitutto - precisa Caporale - la piena indipendenza e separazione tra l'equipe che pratica l'aborto e l'equipe che fa ricerca; il consenso della donna all'utilizzo di materiali fetali a fini di ricerca deve essere chiesto solo dopo l'aborto, in modo che la donna non abbia alcuna compensazione morale dal fatto di sapere anticipatamente che il feto potrà essere impiegato per la ricerca; le modalità e procedure dell'intervento abortivo non devono essere cambiate in funzione delle finalità scientifiche; tutela della riservatezza; rilevanza scientifica degli esperimenti; valutazione del comitato etico caso per caso; donazione e non commercializzazione dei materiali fetali». Rocco Mangia, presidente del Comitato di bioetica, aveva commentato la proposta affermando che può comportare il rischio che «la donazione possa essere considerata dalle donne una sorta di compensazione del disvalore morale legato alla scelta di abortire». «Il pericolo - continua Mangia, intervistato dal Corriere - è di finire con l'incentivare, o quanto meno con il non disincentivare, le interruzioni di gravidanza». Secondo Rebulla il rischio potrebbe essere superato istituendo la figura dell'honest broker, «un garante super partes del rispetto dei diritti della donatrice e dell'adempimento dei doveri del ricercatore». Genetista Novelli: «Il no è antiscientifico». «Immotivato e, soprattutto, antiscientifico». Così il genetista Giuseppe Novelli, dell'Università Tor Vergata di Roma, giudica il no del Comitato etico. Si tratta, ha affermato Novelli, di uno «stop che lascia molto perplessi e che riflette una posizione nettamente antiscientifica, ma riflette anche una certa mancanza di informazione e aggiornamento da parte dei bioeticisti». Il genetista sottolinea che banche di tessuti fetali sono presenti in Europa fin dal 1993 e aggiunge che «in numerosi ospedali italiani ricerche su staminali prelevate da embrioni abortiti sono state già condotte previa l'autorizzazione, dei comitati etici e il consenso informato della donna». Il genetista ha sottolineato l'importanza di tali studi. La ricerca sulle cellule staminali fetali di tipo muscolare «potrebbero rivelarsi molto importanti per la cura di malattie come la distrofia muscolare». Inoltre si può arrivare «a curare in utero i feti gravemente malati». Tumulazione collettiva o inceneritore per feti morti. Gli embrioni abortiti negli ospedali vengono tumulati in tombe anonime o con nome e, quando l'età gestazionale è molto bassa, vengono inceneriti in qualità di rifiuti ospedalieri. Sulla base di questo il ginecologo e membro del direttivo dell'Associazione Coscioni Silvio Viale, ha affermato che «risulterebbe più sensato e utile se tali feti venissero invece utilizzati a scopo di ricerca». Sarebbe invece di «grandissima utilità pubblica» se invece di concludersi in un cimitero o in un inceneritore il feto approdasse in un laboratorio di ricerca, dove i feti abortiti potrebbero essere studiati. In tal modo, ma questo non è certamente l'aspetto più rilevante, tiene a precisare Viale, si taglierebbero anche dei «costi evitabili» legati alle procedure attualmente previste. (ilmessaggero.it 21.3.2008)
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sabato 22 dicembre 2007
PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA
Firenze,giudice:ok test su embrioni
Sentenza su procreazione assistita
Se c'è il rischio di trasmettere una malattia genetica è lecito eseguire i test sugli embrioni da impiantare in una fecondazione assistita. Lo decide un giudice di Firenze con una ordinanza con valore di sentenza. Protagonista è una coppia 30enne milanese che ha presentato ricorso contro il Centro Demetra. Lei è portatrice della esostosi, che genera la crescita smisurata della cartilagine delle ossa, malattia con trasmissibilità superiore al 50%
"La decisione scardina la legge sulla fecondazione assistita", commenta l'avvocato Gianni Baldini, docente di biodiritto all'università di Firenze e legale dell'associazione "Madre provetta".Il giudice stabilisce anche che è lecito rifiutare il numero obbligatorio di tre embrioni se una gravidanza gemellare può mettere a rischio la salute della madre. "L'ordinanza non è revocabile - ha detto l' avvocato Baldini - quindi se il Centro Demetra non farà ricorso in appello diventerà esecutiva".Da parte sua il legale del Centro Demetra, Cristina Baldi, spiega che "il rifiuto di svolgere test sugli embrioni è avvenuto a norma di legge. Non si poteva decidere diversamente. In base alle più diffuse interpretazione di legge non era possibile dire si' a quella domanda".
(dal tgcom del 22.12.07)
Sentenza su procreazione assistita
Se c'è il rischio di trasmettere una malattia genetica è lecito eseguire i test sugli embrioni da impiantare in una fecondazione assistita. Lo decide un giudice di Firenze con una ordinanza con valore di sentenza. Protagonista è una coppia 30enne milanese che ha presentato ricorso contro il Centro Demetra. Lei è portatrice della esostosi, che genera la crescita smisurata della cartilagine delle ossa, malattia con trasmissibilità superiore al 50%
"La decisione scardina la legge sulla fecondazione assistita", commenta l'avvocato Gianni Baldini, docente di biodiritto all'università di Firenze e legale dell'associazione "Madre provetta".Il giudice stabilisce anche che è lecito rifiutare il numero obbligatorio di tre embrioni se una gravidanza gemellare può mettere a rischio la salute della madre. "L'ordinanza non è revocabile - ha detto l' avvocato Baldini - quindi se il Centro Demetra non farà ricorso in appello diventerà esecutiva".Da parte sua il legale del Centro Demetra, Cristina Baldi, spiega che "il rifiuto di svolgere test sugli embrioni è avvenuto a norma di legge. Non si poteva decidere diversamente. In base alle più diffuse interpretazione di legge non era possibile dire si' a quella domanda".
(dal tgcom del 22.12.07)
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