Intervento chirurgico: per la Cassazione sui malati terminali è accanimento terapeutico
Operare un malato terminale è accanimento terapeutico che viola il codice deontologico del medico anche se c’è il consenso del paziente. Questo il succo della sentenza della Corte Suprema di Cassazione di Roma circa la condanna di tre medici. Il caso torna alla cronaca dopo tanto tempo e riguarda il famoso quanto discusso prof. Cristiano Huscher e la sua equipe, ritenuti dunque colpevoli di omicidio colposo nei confronti di una donna morta nel Dicembre 2011. Si chiamava Gina, aveva 44 anni ed era la mamma di due bambini.
Purtroppo era stata colpita da un tumore al pancreas, una forma neoplastica pericolosa, aggressiva, che aveva creato delle metastasi lasciandole solo 6 mesi di vita. Primario presso l’Ospedale san Giovanni Addolorata di Roma, Husher, chirurgo esperto in laparoscopia di fama indiscussa (e riconosciuta anche in sede processuale), rappresentava la possibilità di poter allungare la propria vita di qualche settimana. Bastava questa speranza per rischiare la sala operatoria e così la donna ha firmato il consenso all’intervento.
Ma le cose non sono andate come previsto. Nel corso dell’operazione, a quanto emerso dal dibattimento, è stata involontariamente recisa la milza. Il che, non rilevato al momento, ha provocato un’emorragia che non è stata poi individuata e trattata adeguatamente nel post operatorio: la giovane donna è morta la notte stessa. Ciò che fa discutere non sono questi errori medici.
La diatriba consiste nel fatto che nella sentenza si sottolinei come l’intervento chirurgico in un paziente considerato terminale non deve essere fatto: il medico è tenuto ad agire deve agire nel rispetto del codice deontologico e del principio che impone loro di comportarsi secondo “scienza e coscienza”. In più si legge nel documento motivazionale: “nel caso concreto attese le condizioni difficili indiscusse ed indiscutibili della paziente(….), non era possibile attendersi dall’intervento un beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della vita. I chirurghi pertanto avevano agito in dispregio al Codice deontologico che fa divieto di trattamenti informati a forme di inutile accanimento diagnostico-terapeutico”! Di fatto, i tre medici si erano opposti alla sentenza di condanna confermata dalla Corte d’Appello ed hanno fatto ricorso alla Cassazione per richiedere l’assoluzione. Nella sentenza diffusa ieri si legge che il caso è prescritto per decorrenza di termini e non sussistendo prove concrete a difesa degli imputati per rinviare ad nuovo dibattimento, tutto conferma quanto già detto: operare un malato terminale con tanto di consenso è accanimento terapeutico. E’ chiaro che il dibattito sul tema è ancora lungi da essere concluso.
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domenica 10 aprile 2011
sabato 10 febbraio 2007
MALATI TERMINALI: OPZIONI TERAPEUTICHE
Le opzioni terapeutiche nei malati terminali sono queste:
1) insistere ed incrementare gli accertamenti e la terapia (accanimento terapeutico);
2) insistere con la terapia;
3) limitarsi all'assistenza e alla terapia palliativa;
4) rinunciare a qualsiasi forma terapeutica;
5) accelerare la morte mediante farmaci consegnati direttamente al paziente o impiegati dal medico, o con altri mezzi.
L'opzione 1 configura l'accanimento terapeutico, che è vietato nel codice deontologico.
L'opzione 4 può configurare l'eutanasia passiva, vietata nel codice deontologico e nel codice penale.
L'opzione 5 configura il cosiddetto suicidio assistito ovvero l'eutanasia attiva su paziente consenziente o che non ha dato il consenso, per ragioni diverse. Questa opzione è vietata nel codice penale.
Soltanto le opzioni 2) e 3) non rappresentano un'attività medica vietata, dal codice deontologico e/o dal codice penale. Queste sono anche le opzioni accettate, o consigliate, dalle dottrine religiose, compreso l'insegnamento della Chiesa cattolica.
Il punto principale del dibattito etico attuale è rappresentato dall'opzione 4 e da parte dell'opzione 5, e cioè dalla liceità, in talune situazioni, dell'eutanasia passiva e/o attiva effettuata con farmaci. Nell'attuale dibattito, non si discute del suicidio assistito nè della eutanasia attiva con mezzi diversi dai farmaci. Si discute invece, in sostanza, se il malato terminale possa essere lasciato morire o aiutato a morire.
E' probabile che lasciar morire il malato (il "letting die" della letteratura anglo-americana) sia una pratica frequente negli ospedali, ed anche nei pazienti dimessi dall'ospedale per consentire loro di morire a casa, mentre a me sembra che l'aiuto a morire sia molto meno frequente in Italia. Dati certi non ve ne sono.
La mia personale posizione è che sia necessaria una disposizione di legge riguardante i malati terminali. Sono anche dell'avviso che essa debba essere meditata profondamente e che sia molto rigida.
Sul piano etico, il mio personale punto di vista è che il malato terminale debba essere lasciato in pace ("the right to be let alone") e non tormentato con terapie inutili, limitandosi il medico all'assistenza. Posso comprendere come, in rari casi, il malato possa essere aiutato a morire mediante la sottrazione/somministrazione di farmaci. Si tratta di una decisione dolorosa, ma che talvolta deve essere presa per non far soffrire troppo il malato. Ribadisco tuttavia la necessità di una disposizione di legge, la quale, tuttavia, non può riguardare quei casi in cui sia già stata accertata la morte cerebrale, perchè si tratta di soggetti già deceduti.
1) insistere ed incrementare gli accertamenti e la terapia (accanimento terapeutico);
2) insistere con la terapia;
3) limitarsi all'assistenza e alla terapia palliativa;
4) rinunciare a qualsiasi forma terapeutica;
5) accelerare la morte mediante farmaci consegnati direttamente al paziente o impiegati dal medico, o con altri mezzi.
L'opzione 1 configura l'accanimento terapeutico, che è vietato nel codice deontologico.
L'opzione 4 può configurare l'eutanasia passiva, vietata nel codice deontologico e nel codice penale.
L'opzione 5 configura il cosiddetto suicidio assistito ovvero l'eutanasia attiva su paziente consenziente o che non ha dato il consenso, per ragioni diverse. Questa opzione è vietata nel codice penale.
Soltanto le opzioni 2) e 3) non rappresentano un'attività medica vietata, dal codice deontologico e/o dal codice penale. Queste sono anche le opzioni accettate, o consigliate, dalle dottrine religiose, compreso l'insegnamento della Chiesa cattolica.
Il punto principale del dibattito etico attuale è rappresentato dall'opzione 4 e da parte dell'opzione 5, e cioè dalla liceità, in talune situazioni, dell'eutanasia passiva e/o attiva effettuata con farmaci. Nell'attuale dibattito, non si discute del suicidio assistito nè della eutanasia attiva con mezzi diversi dai farmaci. Si discute invece, in sostanza, se il malato terminale possa essere lasciato morire o aiutato a morire.
E' probabile che lasciar morire il malato (il "letting die" della letteratura anglo-americana) sia una pratica frequente negli ospedali, ed anche nei pazienti dimessi dall'ospedale per consentire loro di morire a casa, mentre a me sembra che l'aiuto a morire sia molto meno frequente in Italia. Dati certi non ve ne sono.
La mia personale posizione è che sia necessaria una disposizione di legge riguardante i malati terminali. Sono anche dell'avviso che essa debba essere meditata profondamente e che sia molto rigida.
Sul piano etico, il mio personale punto di vista è che il malato terminale debba essere lasciato in pace ("the right to be let alone") e non tormentato con terapie inutili, limitandosi il medico all'assistenza. Posso comprendere come, in rari casi, il malato possa essere aiutato a morire mediante la sottrazione/somministrazione di farmaci. Si tratta di una decisione dolorosa, ma che talvolta deve essere presa per non far soffrire troppo il malato. Ribadisco tuttavia la necessità di una disposizione di legge, la quale, tuttavia, non può riguardare quei casi in cui sia già stata accertata la morte cerebrale, perchè si tratta di soggetti già deceduti.
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