lunedì 16 luglio 2007

AMIANTO

L'amianto colpisce dopo molti anni, e non solo i lavoratori, ma anche le famiglie dei lavoratori (le mogli spazzolano i vestiti dei mariti che lavorano l'amianto)e gli abitanti dei luoghi. Casale Monferrato è la capitale del mesotelioma pleurico, oltre che sede dell' Eternit. La gente continua a morire anni dopo la chiusura della fabbrica. Leggi il corriere.it
16 luglio 2007
La storia della preside che ha fatto chiudere Eternit
Una vita contro l'amianto: «Malata anch'io»
A Casale Monferrato ci sono stati più di mille morti. Luisa Minazzi: «Non mi rassegno, lo Stato paghi le ricerche su questo tumore»
DAL NOSTRO INVIATO
CASALE MONFERRATO (Alessandria) — E quando succede, non sei mai pronto. Non puoi credere che sia davvero toccata a te. Una mattina di fine febbraio del 2006, la preside Luisa Minazzi si svegliò con un fastidioso mal di schiena, un dolore insistente appena sotto la scapola sinistra. Le tornò in mente l'operazione di scoliosi che aveva subito da piccola, si aggrappò a quello, che doveva fare. «È chiaro, avevo un pensiero che cercavo di ricacciare indietro. Mi sembrava una beffa cosmica. Pensavo che gli anni di lotta al "male grigio" producessero degli anticorpi. Che stupida».
Il mesotelioma pleurico se ne frega di chi sei. Qui a Casale Monferrato e nelle valli intorno alla colata di cemento che ha coperto l'Eternit, se ne frega di tutto. Con gli ultimi necrologi di luglio, sono stati superati i mille morti dall'inizio degli anni Ottanta. Una strage che passa sotto silenzio permanente. Luisa Minazzi siede dietro alla sua scrivania, da qualche mese è tornata al lavoro. Dirige le scuole elementari e dell'infanzia del secondo circolo di Casale. È una donna minuta, quasi austera nella sua sobrietà. Quella strage diluita nel tempo l'ha vissuta fin dall'inizio. «C'erano ex operai in pensione che mentre giocavano a bocce sentivano una fitta alla schiena. Andavano dal dottore e dicevano: "anduma propi mal". Già sapevano, rassegnati e increduli».
All'inizio degli anni Ottanta è stata una delle fondatrici di Legambiente a Casale. Cortei, picchetti e manifestazioni fino a quando, nel 1986, l'Eternit non venne chiusa. Nel 1995 divenne assessore all'Ambiente, e contribuì all'ordinanza con la quale si proibiva l'uso dei manufatti di Eternit sull'intero territorio. Nel casalese si continua a morire, oggi più di ieri. Se all'inizio erano solo gli ex operai Eternit, da un decennio il pulviscolo di amianto che galleggia nell'aria entra nei polmoni dei cittadini comuni. «Come quando in guerra cominciano a morire i civili», dice Bruno Pesce dell'Associazione vittime dell'amianto. Basta sfogliare il Monferrato, il bisettimanale locale che è costretto a tenere il conto. L'orafo di Valenza che una volta in pensione si era fatto la villa per far giocare i nipoti; la macellaia della frazione di Vignale che aveva passato la sua vita tra quarti di bue e campi; l'impiegato del Comune superstizioso che davanti all'Eternit non ci voleva passare, neppure dopo che nel 2001 è diventato un sarcofago di cemento. Gente che non centrava nulla con la fabbrica dei tumori. Solo, respirava quest'aria. Se ne sono andati con i polmoni pieni d'acqua, gonfi di morfina per non sentire il male.
Il mesotelioma ha anche trent'anni di latenza, ma quando arriva va di fretta. Nel 2005, il Senato francese ci ha messo solo quattro mesi per stilare un rapporto sulla catastrofe sanitaria dell'amianto, dicendo che il peggio deve arrivare, sborsando soldi per la ricerca sulle cure. Di questa catastrofe europea, Casale Monferrato è la capitale indiscussa. Ma non ne parla nessuno. È un silenzio, racconta Luisa Minazzi, che è penetrato nelle coscienze. «Ci sono indignazione e paura mischiate ad un atteggiamento fatalistico. Prima o poi arriva, e non ci si può fare niente».
Le statistiche dicono che nel Casalese una persona su tre sa di cosa morirà. Luisa ha seguito il suo personale calvario, tre biopsie, due cicli di chemio, asportazione della pleura e di un pezzo di polmone, altri cinque cicli di chemio. Alla fine di aprile ha finito le cure. E come prima cosa ha scritto al Monferrato. Una lettera per raccontare la malattia, e dire che non tutto è perduto. La donna che «combattendo il male credeva di averlo esorcizzato», si è messa a nudo in pubblico, per dare forza agli altri come lei. «L'ho fatto perché non è vero che si deve morire per forza. Lo so che non si guarisce, che ancora oggi ho un focolaio da tenere sotto controllo. Ma ci sono delle cure sperimentali, dei vaccini che in alcuni casi hanno già fatto scomparire del tutto il tumore. Servono i finanziamenti dello Stato per gli studi, e questo silenzio non aiuta certo a trovarli».
Il padre di Luisa faceva l'operaio alla Eternit. Se l'è cavata con l'asbestosi. Quand'era bambina, lei giocava in cortile con la sorella sui cumuli di polverino Eternit. «Chi poteva sapere? È una vergogna, quello che è stato fatto a Casale Monferrato. I responsabili dell'Eternit, che sapevano ma non hanno hanno fatto nulla, dovrebbero processarli all'Aja per crimini contro l'umanità ». Quest'anno, Luisa ha presentato denuncia al procuratore Raffaele Guariniello, che sta chiudendo un'inchiesta per disastro doloso nella quale sono indagati Thomas e Stefan Schmidhaeny, proprietari della multinazionale Eternit.
Ancora adesso, per alcuni è come se quei mille morti, amici, conoscenti, parenti, fossero figli di nessuno. I lavori di ricerca e rimozione del micidiale polverino e dei manufatti in Eternit ogni tanto si scontrano con piccinerie che sfociano nell'incoscienza. Il garage del palazzo dove vive Luisa ha ancora il suo bel tetto in Eternit. I condomini si sono opposti alla sua rimozione fino a quando non è arrivato il contributo del Comune. Prima, costava troppo. È contro tutto questo che Luisa ha voluto urlare. Ha accettato di mostrare il suo corpo, smagrito, ma ancora in forma. È tornata a scuola, lavora e combatte il male grigio. I finanziamenti pubblici per la sperimentazione sono la chiave per scardinare il silenzio, servono a dare una speranza, a lei e a chi vive tra queste colline.
«Il mesotelioma non è una piaga nazionale, è una piaga casalese. E allora cosa vogliamo fare? Andare avanti così, a contare i morti per i prossimi cinquant'anni, considerandoli come effetti collaterali e ineluttabili? Ci deve essere un'altra possibilità, non solo per me. Perché tutto deve finire con la morte? ». La domanda va girata a chi deve erogare questi finanziamenti. Lei si alza dalla cattedra con sguardo deciso, quasi aggressivo. «Lo so cosa pensa, è in imbarazzo. Non sa come salutarmi. Il mesotelioma, la diagnosi più infausta. Io credo che si debba combattere. Mi dica arrivederci, e non addio».

1 commento:

Anonimo ha detto...

La settimana scorsa a Vigevano è morto Roberto, a soli 35 anni. Roby era una ragazzo fantastico, faceva il carabiniere qui a Vigevano, dove era amato da tutti per la sua allegria e la sua generosità.... aveva un solo grande problema: era nato e cresciuto a pochi chilometri da Casale Monferrato e come molti da quelle parti aveva una "data di scadenza".... non è giusto.... Roberto credeva nella giustizia, ci credeva così tanto da averne fatto una scelta di vita. Spero che i mostri che hanno operato questo scempio non restino impuniti, la morte di Roby deve avere un senso in tutto questo.... altrimenti non mi resta più nulla in cui credere.