martedì 27 marzo 2012

pena di morte


Pena di morte, solo un paese su 10 la usa ancora

PENA DI MORTE|
Afghanistan, Arabia Saudita,  Bangladesh, Bielorussia, Cina, Corea del Nord, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Malesia, Siria, Somalia, Striscia di Gaza, Stati Uniti d’America, Sud Sudan, Sudan, Taiwan, Vietnam, Yemen.
Benvenuti al club degli Amici della forca. Ha perso molti iscritti, un centinaio nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Ogni tanto, qualcuno dei vecchi soci torna a far visita ma da tempo non registra più nuove iscrizioni. È destinato a chiudere, prima o poi, per mancanza d’iscritti, e a depositare i suoi arredi e i suoi orridi stucchi nella cantina della storia.
I luoghi del mondo dove l’anno scorso vi sono state esecuzioni capitali, secondo il Rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte nel 2011, sono 20, oltre un terzo in meno rispetto a 10 anni fa. Visto dall’altra parte, l’anno scorso il 90 per cento degli stati membri delle Nazioni Unite non ha eseguito condanne a morte e, di questi, 141 paesi hanno abolito la pena di morte per legge o perseguono una consolidata prassi abolizionista: il più recente, e primo del 2012, è stato la Lettonia.
Grazie alla determinazione delle attiviste e degli attivisti per i diritti umani, al coraggio di leader politici che prendono decisioni che possono sembrare impopolari, all’onestà di avvocati e giornalisti che raccontano i fatti e, soprattutto, alla forza morale di un sempre maggior numero di familiari la cui vita è stata devastata dalla criminalità e che pretendono giustizia, sì, ma non predicano l’occhio per occhio dente per dente, la pena di morte è in ritirata.
Le politiche secondo cui è necessario uccidere chi ha ucciso per dimostrare che non si deve uccidere si svuotano ovunque di significato, restando patrimonio di una visione della giustizia basata sulla vendetta e sulla ritorsione.
Per non parlare di quei sistemi giuridici che tolgono la vita ad adulteri e omosessuali (Iran), ai blasfemi (Pakistan) o a chi predice il futuro (Arabia Saudita).
In quel 10 per cento di mondo dove si decapita, si fucila, s’avvelena e s’impicca, nel 2011 il boia ha agito 676 volte, 149 in più dell’anno precedente, a causa di un profondo aumento delle esecuzioni in due paesi: Arabia Saudita e Iran. In quest’ultimo paese, sono stati impiccati almeno tre minorenni. 
A quel numero, 676, frutto dei dati pubblici monitorati da Amnesty International, potrebbe mancare uno zero alla fine: quello delle svariate decine di esecuzioni segrete avvenute in Iran e, soprattutto, quello delle migliaia di condanne a morte eseguite in Cina.
Amnesty International ha cessato, da alcuni anni, di fornire dati basati su fonti pubbliche cinesi, poiché è probabile che sottostimino enormemente il numero effettivo delle esecuzioni. Anche nel rapporto odierno, l’organizzazione per i diritti umani chiede al governo della Cina di pubblicare i dati relativi alle condanne a morte e alle esecuzioni, per poter accertare se sia proprio vero che una serie di modifiche alle leggi e alle procedure, così come la cancellazione di 13 reati capitali, abbiano ridotto significativamente, negli ultimi quattro anni, l’uso della pena di morte.
Gli errori e gli orrori che caratterizzano i procedimenti giudiziari relativi alla pena capitale (confessioni estorte con la tortura, processi senza avvocato difensore, giurie razziste, familiari non avvisati, impiccagioni e decapitazioni sulla pubblica piazza, comuni cittadini che prendono parte all’esecuzione), sono descritti nel rapporto pubblicato questa mattina da Amnesty International.
Qui, voglio mettere in evidenza altre cose successe nel 2011: in 33 paesi vi sono stati provvedimenti di grazia o commutazioni nei confronti dei condannati a morte; Benin e Mongolia hanno fatto un passo avanti per aggiungersi ai paesi abolizionisti per legge; Sierra Leone e Nigeria hanno rispettivamente dichiarato e confermato la moratoria sulle esecuzioni; non ci sono state esecuzioni a Singapore e in Giappone (in questo paese, è stata la prima volta dopo 19 anni).
Negli Stati Uniti d’America, l’unico paese del continente americano a eseguire sentenze capitali (43 nel 2011, ma erano state 71 nel 2002), l’Illinois è diventato il 16° stato abolizionista della federazione e l’Oregon ha annunciato una moratoria.La sconvolgente vicenda di Troy Davis, l’ennesimo prigioniero messo a morte nonostante vi fossero dubbi sulla sua colpevolezza, ha rilanciato il dibattito e ha seminato ulteriori dubbi nell’opinione pubblica e nei giudici: le nuove condanne a morte emesse l’anno scorso sono state 78, un quarto rispetto agli anni Novanta.
Per chi si batte per l’abolizione della pena di morte, un’esecuzione in più è sempre un’esecuzione di troppo. I movimenti abolizionisti, quelli internazionali così come quelli regionali e locali, sanno che ci sono almeno 18.750 prigionieri in attesa d’esecuzione nel mondo. Il paradosso è che molti di loro non verranno messi a morte, condannati in base a una pena che, nei loro paesi, per prassi non viene ormai più usata.
Intanto, a due passi da qui, le madri di Uladzslau Kavalyou e Dzmitry Kanavalau aspettano i corpi dei loro figli, abbattuti con un colpo di pistola alla nuca a metà marzo, per poter celebrare il funerale. E’ accaduto nel cuore dell’Europa, in Bielorussia.

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