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venerdì 8 ottobre 2010

depressione

Savona, bimbo trovato morto
A ucciderlo la madre depressa
Il corpo di un bambino di 3 anni è stato ritrovato lungo la strada di San Bartolomeo del Bosco, sulle alture diSavona. A compiere l'omicidio la madre 36enne del piccolo, che ha confessato dopo un lungo interrogatorio.Elisabetta Bertolotto ha strangolato il figlioletto, Andrea, in preda a una crisi post partum, e poi ha tentato il suicidio lanciandosi con la propria auto da un dirupo. Adesso è piantonata, in stato di shock, all'ospedale San Paolo.

Secondo la confessione, la donna che era uscita di casa intorno all'alba con il primogenito, dopo aver vagato per ore nei boschi della zona, ha strangolato il piccolo e, prima di gettarsi da un dirupo con la macchina, ha chiamato il marito, Mauro Quagliati. Teatro della vicenda è il bivio di San Bartolomeo del Bosco tra Cimavalle e Naso di Gatto. Elisabetta Bertolotto soffriva di depressione post partum. Da 10 giorni aveva avuto infatti un altro bambino.

Secondo alcuni testimoni oculari, Quagliati quando è stato trovato dalla polizia era in lacrime, sdraiato a terra vicino al corpicino del figlio e stava tentando di rianimarlo. Il papà della vittima era appena arrivato in cima alla strada che da Savona sale lungo il bosco alla ricerca della moglie e del figlioletto.

A coordinare l'inchiesta sul ritrovamento del bambino di tre anni a San Bartolomeo del Bosco è il sostituto procuratore della Repubblica, Danilo Ceccarelli. Già disposta l'autopsia del piccolo. La donna, invece, ha confessato ed è in stato di arresto all'ospedale San Paolo.

Sul posto erano intervenuti i vigili del fuoco, il 118, gli agenti della squadra mobile e la polizia scientificaper i rilievi del caso.

lunedì 7 settembre 2009

DANNO DA DEPRESSIONE

Cassazione, 'ritocchi' sbagliati? Sì ai danni da depressione
Roma, 4 set. (Adnkronos Salute) - Ritocchi sbagliati? La Cassazione apre alla possibilità di ottenere i danni da depressione. Scrivono infatti gli 'ermellini' che non si può non tenere in considerazione "la presenza di un turbamento grave" dovuto alle "cicatrici deturpanti" conseguenza di un intervento di ritocco riuscito male. Applicando questo principio, la terza sezione civile (sentenza 18805) ha accolto il ricorso di una indossatrice lombarda, Selvaggia B., che all'età di 20 anni aveva deciso di rivolgersi a un chirurgo plastico per un intervento di ingrandimento del seno, per la liposuzione delle cosce e per una rinoplastica. Il primo degli interventi però, come ricostruisce la sentenza, aveva dato risultati negativi e così la ragazza si era ritrovata con "cicatrici deturpanti" che non era stato possibile eliminare nonostante due successivi interventi chirurgici riparatori.Va annotato che la Corte d'appello di Milano, nel 2003, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto all'indossatrice un risarcimento danni pari a circa 230 milioni di vecchie lire, le aveva riconosciuto altri 15 mila euro in risarcimento dei danni patrimoniali e 5.800 euro come rimborso dei costi dell'intervento chirurgico riparatore. La condanna era stata inflitta sia al chirurgo estetico che alla clinica San Carlo di Paderno Dugnano dove era avvenuto l'intervento. Un risarcimento che, a detta della ragazza, non teneva conto dei danni "non fisici", vale a dire dei danni alla vita di relazione, inclusi "i gravi turbamenti della sfera affettiva e sessuale". Da qui il ricorso in Cassazione di Selvaggia B. che lamentava che i giudici dei due precedenti gradi di giudizio le avevano attribuito un'unica somma come risarcimento dei danni fisici dovuti alle lesioni subite, alla malattia, agli interventi operatori, alla protesi ad un seno e un'infezione sviluppatasi nell'altro.Piazza Cavour ha accolto le lamentele dell'indossatrice e, bacchettando i giudici d'appello, ha sottolineato che "la presenza di cicatrici deturpanti non può considerarsi non funzionale allorché vengano in considerazione l'estetica e la sfera sessuale della persona". Selvaggia, infatti, dopo i ritocchi sbagliati era caduta in uno stato di depressione e per la Suprema Corte "il fatto stesso che si debba ricorrere ad una psicoterapia manifesta la presenza di un turbamento grave" che un giudice, nel caso di una causa di risarcimento danni, non può ignorare. Ecco perché i supremi giudici, rinviando la causa alla Corte d'appello di Milano, hanno evidenziato che "la Corte d'appello non ha verificato se l'unica somma da attribuire in risarcimento fosse adeguata alla reale consistenza dei danni non patrimoniali in considerazione della loro attinenza all'integrità fisica, alla sfera relazionale, psichica, sessuale, emotiva".

sabato 24 novembre 2007

SUICIDIO

Aprilia, Tiziana B., 35 anni, si è lanciata dal terzo piano con il bimbo di 3 annie la figlioletta di 7 che è in condizioni preoccupanti. Era in cura da tempo
Giù dal balcone con i figli in braccioTragedia della depressione a Latina
In casa c'era il marito che non si è accorto di nulla. La donna non ha lasciato alcun bigliettoAPRILIA (LATINA) - Un volo di circa dodici metri, con i figli in braccio. Si è tolta la vita così Tiziana B., 35 anni, mentre i bambini, un maschio di 3 anni e una femmina di 7, saranno trasferiti dall'Ares 118 al Cto di Roma. Le condizioni più preoccupanti sono quelle della piccola. E' accaduto poco dopo le 17,30 in pieno centro ad Aprilia, una popolosa città a nord di Latina. Secondo i primi riscontri dei carabinieri in casa al momento della tragedia c'era il marito della donna che però non si sarebbe accorto di nulla. Si cerca di capire il movente del gesto, la donna non avrebbe lasciato alcun biglietto. Sulla tragedia stanno svolgendo accertamenti i carabinieri. Secondo i primi accertamenti dei carabinieri, la donna soffriva di crisi depressive ed era seguita da tempo dal dipartimento di salute mentale. Nulla, finora, aveva fatto presagire un gesto del genere. Secondo la ricostruzione effettuata dai militari, Tiziana B. ha improvvisamente preso i figli, è uscita e si è lanciata dal terzo piano. (24 novembre 2007) (da repubblica.it)

Sono piuttosto numerosi i casi in cui un adulto si uccide per depressione e tenta di portare con sè altri membri della famiglia. Pare possibile che questi casi siano legati ad insufficiente terapia farmacologica. Di solito, gli psichiatri dicono che la persona non si era più fatta vedere da tempo. E' lecito immaginare che in questi periodi di assenza dal Centro di Igiene Mentale la terapia non sia stata assunta. Cosa volete che vi dica, a me questi fatti ricordano la parabola del Buon Pastore, che va in cerca della pecorella smarrita. Intendo dire, che la terapia psichiatrica non può essere lasciata al desiderio del paziente, di farla oppure no, ma il paziente deve essere controllato, in particolare nei periodi in cui non si fa vivo al CIM. Non ci sono assistenti sociali a dare una mano?