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lunedì 7 settembre 2009

DANNO DA DEPRESSIONE

Cassazione, 'ritocchi' sbagliati? Sì ai danni da depressione
Roma, 4 set. (Adnkronos Salute) - Ritocchi sbagliati? La Cassazione apre alla possibilità di ottenere i danni da depressione. Scrivono infatti gli 'ermellini' che non si può non tenere in considerazione "la presenza di un turbamento grave" dovuto alle "cicatrici deturpanti" conseguenza di un intervento di ritocco riuscito male. Applicando questo principio, la terza sezione civile (sentenza 18805) ha accolto il ricorso di una indossatrice lombarda, Selvaggia B., che all'età di 20 anni aveva deciso di rivolgersi a un chirurgo plastico per un intervento di ingrandimento del seno, per la liposuzione delle cosce e per una rinoplastica. Il primo degli interventi però, come ricostruisce la sentenza, aveva dato risultati negativi e così la ragazza si era ritrovata con "cicatrici deturpanti" che non era stato possibile eliminare nonostante due successivi interventi chirurgici riparatori.Va annotato che la Corte d'appello di Milano, nel 2003, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto all'indossatrice un risarcimento danni pari a circa 230 milioni di vecchie lire, le aveva riconosciuto altri 15 mila euro in risarcimento dei danni patrimoniali e 5.800 euro come rimborso dei costi dell'intervento chirurgico riparatore. La condanna era stata inflitta sia al chirurgo estetico che alla clinica San Carlo di Paderno Dugnano dove era avvenuto l'intervento. Un risarcimento che, a detta della ragazza, non teneva conto dei danni "non fisici", vale a dire dei danni alla vita di relazione, inclusi "i gravi turbamenti della sfera affettiva e sessuale". Da qui il ricorso in Cassazione di Selvaggia B. che lamentava che i giudici dei due precedenti gradi di giudizio le avevano attribuito un'unica somma come risarcimento dei danni fisici dovuti alle lesioni subite, alla malattia, agli interventi operatori, alla protesi ad un seno e un'infezione sviluppatasi nell'altro.Piazza Cavour ha accolto le lamentele dell'indossatrice e, bacchettando i giudici d'appello, ha sottolineato che "la presenza di cicatrici deturpanti non può considerarsi non funzionale allorché vengano in considerazione l'estetica e la sfera sessuale della persona". Selvaggia, infatti, dopo i ritocchi sbagliati era caduta in uno stato di depressione e per la Suprema Corte "il fatto stesso che si debba ricorrere ad una psicoterapia manifesta la presenza di un turbamento grave" che un giudice, nel caso di una causa di risarcimento danni, non può ignorare. Ecco perché i supremi giudici, rinviando la causa alla Corte d'appello di Milano, hanno evidenziato che "la Corte d'appello non ha verificato se l'unica somma da attribuire in risarcimento fosse adeguata alla reale consistenza dei danni non patrimoniali in considerazione della loro attinenza all'integrità fisica, alla sfera relazionale, psichica, sessuale, emotiva".

venerdì 10 aprile 2009

SCATOLA NERA

giovedì 09 aprile 2009, 07:00
Nelle sale operatorie degli ospedali laziali arriva la scatola nera
di Giuseppe Taccini
ilGiornale.it
Camici bianchi, niente paura. L’introduzione della scatola nera in sala operatoria, in discussione al Consiglio regionale del Lazio, è quanto di più lontano dall’essere una sorta di «grande fratello» che controlla l’operato dei chirurghi.
Piuttosto si tratta di «un supporto utile al lavoro dell’équipe medica» e «un mezzo per evitare errori e rischi». Parola del consigliere del Pdl, Erder Mazzocchi, firmatario unico della proposta di legge regionale numero 475 del 30 marzo 2009.
Quali cambiamenti andranno a rivoluzionare i meccanismi operatori di tutte le strutture sanitarie del Lazio se la Pisana dovesse dare il via libera al provvedimento? Presto detto. «La medicina non è una scienza esatta e c’è sempre un margine di errore insopprimibile, legato all’essere umano, l’importante è capire perché si è sbagliato ed evitare che quell’errore si ripeta» è la premessa di Mazzocchi.
Veniamo ora alle funzioni del nuovo strumento. «Con la scatola nera sarà possibile effettuare un’analisi dettagliata su eventi avversi o inattesi intra-operatori e un’analisi a posteriori - si legge nella proposta - tramite una comparazione degli interventi omogenei, per quanto concerne il presentarsi di eventi avversi, per poter scegliere le strategie anestesiologiche e chirurgiche più adeguate al caso».
Il nuovo apparecchio, che effettuerà videoregistrazioni sincronizzate degli atti dell’èquipe chirurgica e dei parametri vitali del paziente solo con telecamere ambientali a tutela della privacy, avrà soprattutto finalità scientifiche e didattiche, permettendo quindi il controllo qualità sul quadro clinico.
Ma non solo. Servirà anche a valutare eventi di danno sospetto, previo provvedimento dell’autorità giudiziaria. Negli ultimi anni parenti e ammalati si rivolgono sempre più spesso a studi legali o associazioni che si occupano di malasanità per gridare la propria rabbia per veri o presunti danni medici subiti. Il filmato completo, che permette di controllare ciò che fa il chirurgo e contemporaneamente ciò che accade nel corpo del paziente, direbbe la verità anche in tal caso.
«La scatola nera da un lato rappresenterebbe una sicurezza per il paziente poiché l’intervento sarebbe completamente monitorato - spiega il consigliere regionale del Pdl -. Dall’altro servirebbe a evitare richieste di risarcimento danni nei confronti delle strutture sanitarie in caso di denunce senza fondato motivo».
I medici, ove chiamati in giudizio per risarcire i danni patiti dal paziente, devono poter contare su un’adeguata difesa medico-legale per dimostrare al giudice l’impossibilità di prevenire l’evento dannoso. In questi casi, questa nuova strategia potrebbe risultare una soluzione decisiva nella controversia.
Lo strumento sarà gestito esclusivamente da personale autorizzato, individuato da un’apposita commissione tecnica nominata dalla giunta regionale. I file verranno conservati in un server di ciascuna azienda sanitaria locale di competenza, mentre i dati registrati dal sistema saranno raccolti in un archivio informatico su cui vigilerà il direttore sanitario.
«L'introduzione di questa innovazione, pur gravando sul bilancio regionale in modo non lieve, deve essere vista non come una semplice spesa ma come un investimento» conclude Mazzocchi. La cosa che a questo punto ci si domanda è se per ottenere una copia della registrazione in caso di necessità, il paziente debba attendere mesi e mesi come spesso avviene in alcune strutture sanitarie quando si richiede una cartella clinica.

venerdì 19 dicembre 2008

MEDICINA DIFENSIVA

(ASCA) - Roma, 19 dic - Paura di contenziosi legali, paura di eventi imprevisti nel corso dell'atto medico pericolosi per il paziente, paura di curare pazienti ''difficili'': il 77,9% dei medici italiani, come i colleghi d'oltre oceano, lavora sotto la scure del rischio di controversie legali medico-paziente e praticano la medicina difensiva. E' quanto emerso da un'indagine promossa dalla Societa' Italiana di Chirurgia (Sic), coordinata dai professori Gabrio Forti, Ordinario di Diritto penale e Criminologia presso la Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' Cattolica del S.C. di Milano, Direttore del Centro Studi ''Federico Stella'' sulla Giustizia penale e la Politica criminale, Maurizio Catino, Associato di Sociologia dell'organizzazione presso la Facolta' di Sociologia dell'Universita' di Milano - Bicocca, Condirettore della rivista ''Studi Organizzativi'', e condotta dall'avvocato Paola Cattorini e dalla dottoressa Chiara Locatelli. Dall'indagine e' emerso che, tra i medici che hanno assunto una condotta difensiva durante l'ultimo mese di lavoro, l'82,8% ha inserito in cartella clinica annotazioni evitabili, il 69,8% ha proposto il ricovero di un paziente gestibile ambulatorialmente, il 61,3% ha prescritto un numero maggiore di esami diagnostici rispetto a quello necessario, il 58,6% ha richiesto un consulto non necessario di altri specialisti ed infine il 26,2% ha escluso pazienti a ''rischio'' da alcuni trattamenti. Ad avere piu' paura sono i medici piu' giovani che dichiarano in misura maggiore di adottare comportamenti difensivi: la percentuale di coloro che ammette di ricorrere ad atteggiamenti difensivi raggiunge il 92,3% all'interno della classe di soggetti che hanno tra i 32 e i 42 anni di eta', contro il 67,4% dei soggetti aventi tra i 63 e i 72 anni. ''Preoccupata dal possibile evolversi del fenomeno della medicina difensiva nel nostro paese e del rischio ad esso connesso in termini di qualita' di cura - ha spiegato il presidente Sic Enrico De Antoni - la Societa' di Chirurgia ha commissionato questa ricerca all'Universita' Cattolica. Il pericolo e' che si arrivi a una chirurgia finalizzata a ridurre il rischio contenzioso piuttosto che a curare il paziente in modo ottimale''.

lunedì 12 novembre 2007

MALASANITA': PENE PESANTI

DA ILMESSAGGERO.IT
Morti sospette in sala operatoria: cinque anni
al cardiochirurgo per duplice omicidio colposo

ROMA (12 novembre) - Cinque anni di reclusione per duplice omicidio colposo: è la condanna inflitta oggi dalla seconda Corte di Assise di Roma presieduta da Mario D'Andria al cardiochirurgo Tiziano Huscher che però potrà usufruire di un condono di tre anni. Al professor Huscher era stata contestata l'accusa di omicidio colposo in seguito alla morte della paziente Marisa Egidi avvenuta il 14 marzo del 2001 dopo un intervento chirurgico e di omicidio preterintenzionale per la morte di Federica Toninelli, avvenuta il 29 aprile del 2000, per aver sottoposto quest'ultima ad un intervento a grande rischio senza aver chiesto alla paziente il suo consenso e senza informarla dei rischi che correva. Ma anche per questo secondo caso l'imputazione è stata ridimensionata in omicidio colposo e perciò è stata ridimensionata la richiesta di condanna di Huscher a 14 anni e sei mesi di reclusione complessivi fatta dai pubblici ministeri Mirella Cervadoro ed Elisabetta Cennicola.

Per quanto riguarda la morte di Marisa Egidi insieme con Huscher erano stati rinviati a giudizio quattro suoi assistenti: Marco Maria Lirici e Andrea Mereu sono stati condannati a 8 mesi di reclusione ciascuno; mentre gli altri, Pietro Dell'Agli Domenico Ipri sono stati assolti perché i fatti contestati non sussistono.

Il processo che si è concluso oggi in Corte d'Assise era nato da una serie di denunce presentate dai parenti di diversi pazienti. Alcune delle denunce furono però ritenute infondate, mentre rimasero valide quelle relative alla morte della Toninelli e
della Egidi.

Per quanto riguarda la prima al primario, unico imputato, era stato contestato tra l'altro di aver disposto l'intervento chirurgico che non era urgente in maniera altamente demolitiva con asportazione di organi vitali tra cui l'intestino senza concrete indicazioni. Alla paziente poi non sarebbe stato richiesto alcun consenso.

Quanto alla Egidi sottoposta ad intervento di colecistectomia per via laparoscopica, l'operazione sarebbe proseguita nonostante l'insorgere di una situazione patologica sfociata poi in una peritonite diffusa estesa post operatoria diagnosticata in ritardo. Contro la sentenza i difensori hanno già preannunciato appello.