Peter, bimbo morto di indifferenza
Gb, ospedale tenta corrompere medico
Il Great Ormond Street Hospital è conosciuto come uno dei migliori ospedali pediatrici del mondo, potrebbe perdere questa pregiata etichetta se le accuse mosse dal Dottor Holt nei confronti della struttura sanitaria si rivelassero fondate. Dopo oltre due anni di indagini si è giunti ieri a scoprire una verità fatta di indifferenza, incapacità e superficialità. Retroscena shock di una storia costata la vita ad un bimbo.
Arriva ad un ormai probabile scioccante epilogo la storia di un bimbo inglese che la stampa britannica ha soprannominato “Baby P.”, il bimbo di 17 mesi morto durante l’agosto del 2007 a causa delle iterate violenze subite.
I principali quotidiani del Regno Unito hanno riportato uno stralcio dell’intervista rilasciata dal Dottor Kim Holt, impiegato presso il Great Ormon Street Hospital, che ha curato più volte il piccolo Peter. Il medico si era attenuto alle procedure, avvertendo la direzione dell’ospedale, chiedendo che venissero messe in atto le misure del caso: l’intervento delle forze dell’ordine e dei servizi sociali. Nessuno lo ha mai ascoltato. Nel 2007 il tragico epilogo: “Baby P.” è stato trovato morto nella sua culla. Aveva testa e schiena rotte, i denti scheggiati, un dito parzialmente amputato e il corpicino coperto di lividi.
La madre, il suo convivente e il proprietario della pensione in cui vivevano sono stati immediatamente arrestati. Le indagini hanno portato gli inquirenti a ricostruire che, durante i suoi infernali 17 mesi di vita, il bimbo era stato portato per ben 35 volte negli ospedali londinesi. I vertici del Great Ormond Street, secondo quanto detto alla stampa dal Dottor Holt, hanno cercato allora di compare il suo silenzio, offrendogli 120mila sterline (poco più di 130mila euro).
Già subito dopo la morte del piccolo, la direzione dell’ospedale pediatrico avevano ammesso una parziale responsabilità, sollevando però obiezioni di tipo sindacale, imputando alla mancanza di personale e ai turni stressanti di lavoro la mancata comuicazione dei fatti di violenza alle autorità.
Altri medici della stessa struttura si erano dimessi subito dopo lo scandalo. Tramite un portavoce, i dirigenti della struttura medica negano ogni addebito, ritrattando in parte quanto avevano sostenuto, dicendo di non avere mai ricevuto segnalazioni da parte dello staff.
Resta ancora da chiarire, in questa indagine che si profila ingarbugliata e complessa, perché davanti ad un simile orribile sospetto il Dottor Holt non abbia scavalcato la direzione del nosocomio, richiedendo in prima persona l’intervento delle autorità.
Giuditta Mosca
(DA TGCOM)
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martedì 8 dicembre 2009
venerdì 11 aprile 2008
NUOVI SCHIAVI
Roma, religiosa di origini filippine scappa dal conventoLa madre superiora sotto accusa nega e parla di una vendetta
Confessione choc di una suora"Io, trattata come una schiava"
Confessione choc di una suora"Io, trattata come una schiava"' src="http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/cronaca/suora-schiava/suora-schiava/fran_12693323_13510.jpg" width=230>
Il convento albergo delle suore dello Spirito Santodi MARINO BISSO e CARLO PICOZZA ROMA - Scappa dal convento e si rifugia in un centro contro la violenza alle donne. È la storia di una suora trattata come schiava. Vittima di ricatti psicologici, si sottopone a visita ginecologica per far certificare la sua verginità. Angherie e vessazioni: cure mediche negate, mortificazioni e punizioni come "il bacio al pavimento". Le accuse sono finite ora al centro di un'inchiesta della procura di Roma che ha iscritto la madre superiora nel registro degli indagati contestandole il reato di maltrattamenti. Il racconto choc della suora è stato confermato da due consorelle sentite ieri a palazzo di giustizia a Roma. L'inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore Nicola Maiorano che ha affidato le indagini alla polizia giudiziaria diretta dal vicequestore Orlando Parrella. Scenario dei presunti maltrattamenti è un convento, vicino all'ospedale Gemelli, della Congregazione dello Spirito Santo, che funziona da "albergo a una stella". Vittima, suor Maria (chiamiamola così), nata 48 anni fa nelle Filippine e sbarcata a Roma nel giugno del '97. Un anno fa, l'otto marzo giorno dedicato alle donne, la religiosa lo ricorda così: "Sono stata costretta ad allontanarmi dal convento perché gravemente ammalata e vittima di maltrattamenti da parte delle mie superiore". "Ora", continua, "ho trovato rifugio in un centro antiviolenza". Le sue sofferenze sono condensate in una denuncia presentata dall'avvocato Teresa Manente, dell'ufficio legale di "Differenza donna". Al centro antiviolenza era stata accompagnata da due connazionali dell'associazione "Donne filippine". Una ventina di giorni dopo, "colpita da una grave emorragia", era stata costretta a lasciare il centro alla volta dell'ospedale San Camillo per essere operata. "Nonostante fossi gravemente malata da tempo", racconta, "la madre superiora mi privava di qualsiasi cura e assistenza medica, delle medicine e mi ordinava di continuare a lavorare". Già, i lavori: "Quando sono arrivata a Roma con altre consorelle", ricorda suor Maria, "mi era stato detto che avrei dovuto imparare l'italiano e dedicarmi all'apostolato con periodi di formazione e meditazione". "Ma - continua - ho sempre e solo lavorato nel convento che, in realtà, è una pensione a una stella, "Albergo suore dello Spirito Santo", con oltre 50 stanze". All'inizio, "da sola, dovevo preparare ogni giorno colazione, pranzo e cena per almeno 15 persone: al lavoro alle 6 per far mangiare le consorelle; alle 6.30 preghiera e messa e alle 8.30 servivo le colazioni in refettorio. Poi di nuovo ai fornelli per il pranzo delle 12.30. Quindi rassettavo la cucina per tornarvi alle 17 a preparare la cena". "Tre giorni a settimana, tra le 15 e le 17, pulizie in chiesa".
Cinque mesi e, "nel dicembre 1997, mi comparvero spaccature della pelle sulle mani: "Dermatite grave", diagnosticò il dermatologo", invitandola a tenere al riparo le mani. Ma la superiora minimizza e prescrive un'altra terapia: "Crema e guanti di gomma". "Le ferite facevano molto male ma non avevo il coraggio di chiedere di cambiare mansioni per paura che la superiora si arrabbiasse e mi accusasse di non aver voglia di lavorare". Ma le piaghe si infettano. Arriva la febbre. "Allora mi accompagnò in ospedale: il dermatologo avvertì che l'infezione metteva a rischio le dita". A suor Maria viene assegnato un altro lavoro: "Lavare e stirare biancheria di consorelle e ospiti". Tra le mura della Congregazione, suor Maria viene "sottoposta a continue aggressioni e umiliazioni". "Mi venivano consegnati 20 euro al mese", racconta, "e di ogni acquisto dovevo mostrare alla superiora gli scontrini". Quest'ultima, alcune settimane fa, è stata interrogata. Assistita dall'avvocato Stefano Merlini ha negato gli addebiti dicendo di essere vittima di una vendetta e di accuse inventate dalle tre suore. (11 aprile 2008) (da repubblica.it)
Confessione choc di una suora"Io, trattata come una schiava"
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Il convento albergo delle suore dello Spirito Santodi MARINO BISSO e CARLO PICOZZA ROMA - Scappa dal convento e si rifugia in un centro contro la violenza alle donne. È la storia di una suora trattata come schiava. Vittima di ricatti psicologici, si sottopone a visita ginecologica per far certificare la sua verginità. Angherie e vessazioni: cure mediche negate, mortificazioni e punizioni come "il bacio al pavimento". Le accuse sono finite ora al centro di un'inchiesta della procura di Roma che ha iscritto la madre superiora nel registro degli indagati contestandole il reato di maltrattamenti. Il racconto choc della suora è stato confermato da due consorelle sentite ieri a palazzo di giustizia a Roma. L'inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore Nicola Maiorano che ha affidato le indagini alla polizia giudiziaria diretta dal vicequestore Orlando Parrella. Scenario dei presunti maltrattamenti è un convento, vicino all'ospedale Gemelli, della Congregazione dello Spirito Santo, che funziona da "albergo a una stella". Vittima, suor Maria (chiamiamola così), nata 48 anni fa nelle Filippine e sbarcata a Roma nel giugno del '97. Un anno fa, l'otto marzo giorno dedicato alle donne, la religiosa lo ricorda così: "Sono stata costretta ad allontanarmi dal convento perché gravemente ammalata e vittima di maltrattamenti da parte delle mie superiore". "Ora", continua, "ho trovato rifugio in un centro antiviolenza". Le sue sofferenze sono condensate in una denuncia presentata dall'avvocato Teresa Manente, dell'ufficio legale di "Differenza donna". Al centro antiviolenza era stata accompagnata da due connazionali dell'associazione "Donne filippine". Una ventina di giorni dopo, "colpita da una grave emorragia", era stata costretta a lasciare il centro alla volta dell'ospedale San Camillo per essere operata. "Nonostante fossi gravemente malata da tempo", racconta, "la madre superiora mi privava di qualsiasi cura e assistenza medica, delle medicine e mi ordinava di continuare a lavorare". Già, i lavori: "Quando sono arrivata a Roma con altre consorelle", ricorda suor Maria, "mi era stato detto che avrei dovuto imparare l'italiano e dedicarmi all'apostolato con periodi di formazione e meditazione". "Ma - continua - ho sempre e solo lavorato nel convento che, in realtà, è una pensione a una stella, "Albergo suore dello Spirito Santo", con oltre 50 stanze". All'inizio, "da sola, dovevo preparare ogni giorno colazione, pranzo e cena per almeno 15 persone: al lavoro alle 6 per far mangiare le consorelle; alle 6.30 preghiera e messa e alle 8.30 servivo le colazioni in refettorio. Poi di nuovo ai fornelli per il pranzo delle 12.30. Quindi rassettavo la cucina per tornarvi alle 17 a preparare la cena". "Tre giorni a settimana, tra le 15 e le 17, pulizie in chiesa".
Cinque mesi e, "nel dicembre 1997, mi comparvero spaccature della pelle sulle mani: "Dermatite grave", diagnosticò il dermatologo", invitandola a tenere al riparo le mani. Ma la superiora minimizza e prescrive un'altra terapia: "Crema e guanti di gomma". "Le ferite facevano molto male ma non avevo il coraggio di chiedere di cambiare mansioni per paura che la superiora si arrabbiasse e mi accusasse di non aver voglia di lavorare". Ma le piaghe si infettano. Arriva la febbre. "Allora mi accompagnò in ospedale: il dermatologo avvertì che l'infezione metteva a rischio le dita". A suor Maria viene assegnato un altro lavoro: "Lavare e stirare biancheria di consorelle e ospiti". Tra le mura della Congregazione, suor Maria viene "sottoposta a continue aggressioni e umiliazioni". "Mi venivano consegnati 20 euro al mese", racconta, "e di ogni acquisto dovevo mostrare alla superiora gli scontrini". Quest'ultima, alcune settimane fa, è stata interrogata. Assistita dall'avvocato Stefano Merlini ha negato gli addebiti dicendo di essere vittima di una vendetta e di accuse inventate dalle tre suore. (11 aprile 2008) (da repubblica.it)
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