venerdì 25 gennaio 2008

DURATA DEI PROCESSI

ROMA (25 gennaio) - La lunghezza dei processi in Italia è scandalosa. E crescono in maniera abnorme anche le spese che lo Stato deve fronteggiare per risarcire cittadini vittime di procedimenti lumaca. E' l'allarme lanciato oggi all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Durata processi scandalosa. La malattia fondamentale che colpisce il nostro sistema giudiziario è «l'abnorme e scandalosa durata dei nostri processi», ha affermato nell'intervento all'inaugurazione dell'anno giudiziario, il procuratore generale della Cassazione, Mario Delli Priscoli. Anche da tale punto di vista, secondo il pg, per quanto «necessariamente ancora provvisorio», il bilancio della riforma dell'ordinamento giudiziario «presenta luci e ombre». Servono, ha aggiunto, misure «radicali».Arretrati triplicati in vent'anni. «Negli ultimi vent'anni il numero delle cause civili arretrate si è pressochè triplicato; nel 2004, tra primo e secondo grado, ha superato i 3 milioni di procedimenti», ha sottolineato il primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone. Nello stesso periodo, ha proseguito, «i procedimenti penali pendenti in primo grado sono più che raddoppiati». Negli ultimi quattro anni, inoltre, il costo per il risarcimento per l'eccessiva durata dei processi è aumentato dell'800 per cento.Nel 2006 erano stati accordati 3.664 indennizzi, mentre nel 2007 gli indennizzi concessi sono stati 5.014 con un aumento di 1.350 decreti di accoglimento. Delli Priscoli segnala le «gravi conseguenze economiche per l'erario dello Stato» - conseguenti all'applicazione della legge Pinto - «anche per il numero sempre crescente dei giudizi instaurati». E la situazione «pare destinata ad aggravarsi, in quanto la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha, con recenti decisioni, affermato che l'indennizzo va commisurato non già con riferimento ai soli anni eccedenti la ragionevole durata, ma alla intera durata del processo».Prodi: momento travagliato. «L'inaugurazione dell'Anno giudiziario coincide questa volta con un momento particolarmente travagliato della nostra vita istituzionale», ha detto il premier dimissionario con l'interim alla Giustizia. Il premier parla del ruolo dei giudici: «Il compito dei magistrati è quello di applicare in modo imparziale la volontà della legge. C'è un principio fondamentale che va rispettato: i giudici sono soggetti solo alle leggi», ma «non sono semplicemente bocca della legge». «Se si verificasse che taluni magistrati utilizzano gli strumenti di una investigazione e dell'azione fuori dei casi strettamente previsti dalla legge, saremmo ben al di là di una ipotesi di supplenza; saremo di fronte a fenomeni assai più gravi di vera e propria distorsione per non dire di eversione del tessuto istituzionale». Politica non invochi immunità. «Chi è investito di compiti politici non può invocare esenzioni o prerogative di fronte alla giurisdizione diverse da quelle previste dalla Costituzione», ha detto ancora Prodi. «Peraltro - ha aggiunto il premier - va sempre ricordato che anche le immunità e le prerogative contenute nella Carta fondamentale devono essere considerate sempre come eccezioni rispetto al principio generale dell'eguaglianza di fronte alla legge stabilita dall' art. 3 della Costituzione. Proprio per questo esse devono essere applicate con criteri di tassatività. Ne è conferma la giurisprudenza della Corte Costituzionale che, proprio a questi principi ha tante volte dovuto censurare leggi di privilegio o annullare deliberazioni di organi politici ».Basta processi mediatici. «Non si può continuare ad assistere a processi mediatici, fuori del processo, che turbano la serenità e ostacolano la tempestività della Giustizia». E' l'avvertimento lanciato dal primo presidente della Cassazione nella sua relazione per l'inaugurazione dell'Anno Giudiziario a cui è intervenuto anche Romano Prodi. «I processi mediatici, e non la comunicazione dei fatti, sono dannosi e inutili: a un aumento dell'audience - ha osservato Carbone - non corrisponde un miglioramento del servizio della Giustizia e il conto lo paga tutta la collettività. Tutti, pertanto, dobbiamo fare un passo indietro perché il sistema possa fare un passo avanti di equilibrio, serenità, funzionalità».No a contrapposizione tra politica e giustizia. Il primo presidente della Suprema Corte di Cassazione ha poi ammonito a «rifiutare ogni contrapposizione tra politica e giustizia», ricordando che la Costituzione detta «il giudice soggetto solo alla legge». I magistrati devono resistere alla «tentazione» di svolgere funzioni di «supplenza» delle istituzioni anche se a ciò sono spinti dalle carenze del sistema, ha poi sottolineato il primo presidente della Cassazione. «All'impegno dei giudici deve anche corrispondere quello degli altri poteri pubblici a un migliore esercizio delle loro funzioni istituzionali. Perché, se la funzionalità di questi ultimi è carente, - sottolinea Carbone - se vi è un forte disagio nel funzionamento delle istituzioni il sistema tende a spingere i magistrati ad una impropria funzione di 'supplenzà. Il giudice deve resistere a questa tentazione. Ma non dovrebbe neppure esservi indotto». Mancino: non delegittimare giudici. «Un magistrato può sbagliare ed è giusto risponda degli errori commessi per dolo o grave negligenza». Ma questo non può «autorizzare nessuno a delegittimare quella stragrande maggioranza, spesso silenziosa, di magistrati che, pur nelle difficoltà del sistema-giustizia, lavorano con scrupolo, coscienza e rispetto della Legge». Il monito viene dal vicepresidente del Csm Nicola Mancino, nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell'Anno Giudiziario. «Sul conto dei magistrati c'è chi commentando anche alcuni recenti provvedimenti giurisdizionali, ha riesumato la parola emergenza. Quando vengono confusi gli effetti, senza tener conto delle cause, ci si comporta a volte - sottolinea ancora Mancino - come gli abitanti dei masi chiusi, che non comunicano e non ammettono interferenze. Non dobbiamo mai confondere la parte con il tutto e non dobbiamo commettere l'errore di attribuire al tutto la responsabilità della parte». (da ilmessaggero.it)

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