ZAPPATA
NOTE DEL PROF. GIUSTO GIUSTI
CTP PER ZAPPATA MIGUEL
Ho partecipato alle operazioni
peritali condotte dalla dott.ssa Arioni sulla persona di Zappata Miguel,
detenuto presso il carcere di Rebibbia.
Ho letto la relazione del perito
d’ufficio dott.ssa Arioni, e condivido quanto il Perito ha scritto
relativamente alla documentazione in atti e alla oggettività rilevata. Su
quest’ultimo punto, tuttavia, e non è semplice questione semantica, la
descrizione, peraltro assolutamente veridica, si appiattisce e non fa
comprendere lo stato psico- fisico del detenuto. Lo Zappata è persona che ha
perduto ogni slancio vitale, risponde solo se interrogato, a bassa voce e
impiegando il minimo possibile delle parole, non ti guarda in faccia, sta
sempre con gli occhi bassi, cammina a passi piccoli e lenti, ti descrive le sue
miserabili giornate come fossero giorni normali, non ha amici, non va all’aria,
non legge nulla, sta sempre in branda, ed è forse l’unico italiano che non
guarda la TV. Non ha alcuna prospettiva né un qualche progetto. Ha manifestato
pensieri di morte e idee di suicidio. E in otto mesi ha perduto circa 26 kg di
peso.
Risulta obiettivamente, da
analisi ripetutamente eseguite sui capelli, che lo Zappata ha consumato per
molto tempo quantità rilevanti di cocaina; dichiara di avere consumato anche
cannabis e alcolici.
La diagnosi che il Perito
d’ufficio pone è quella di disturbo dell’adattamento con umore depresso,
secondo i canoni del DSM IV, “per ora di entità non particolarmente grave, ma
da seguire clinicamente”. Senza dubbio alcuno possono esistere casi di disturbo
dell’adattamento più gravi di quello di cui ci stiamo occupando, ma di certo a
me pare sufficientemente grave da richiedere cure più efficaci di quelle che
sta praticando. Anche ammettendo che la diagnosi indicata, nella sua
genericità, sia giusta (e in effetti lo Zappata presenta un disturbo- che viene
riferito alla carcerazione- e presenta evidentissimi segni di depressione
importante), occorre fare riferimento alla terapia ed alla prognosi.
La terapia attualmente consiste
in un antidepressivo e tranquillanti; il carcere non è strutturalmente in grado
di fornire un supporto psicologico per chi ne abbia bisogno, anche se esiste un
servizio psichiatrico. Di fatto, lo Zappata non ha avuto alcun miglioramento,
e, se è lecito fare una prognosi, non potrà averlo nelle presenti condizioni.
Afferma il Perito che le condizioni neuropsichiche dello Zappata non risultano
al momento di gravità tale da ritenerle incompatibili con il regime carcerario,
e dice anche che “la detenzione svolge un ruolo causale nella suddetta
patologia, che è da considerarsi reattiva e pertanto non facilita la
risoluzione della patologia lamentata”. Secondo logica, questa affermazione,
che la detenzione svolge un ruolo causale nella suddetta patologia, significa
soltanto che essa patologia è incompatibile con il regime carcerario, perché
questo l’ha prodotta e la mantiene, e le terapie che vengono praticate non sono
utili.
Non si può dimenticare che lo
Zappata è un assuntore cronico di cocaina, e il carcere non può fare nulla per
offrire ai tossicodipendenti una prospettiva diversa. Non posso dimenticare di
essere medico per il solo fatto di essere un consulente di parte. Credo di
essere certo che lo Zappata, se per qualsiasi ragione uscisse ora dal carcere,
correrebbe a riempirsi le narici di cocaina. Ma questo non deve accadere,
perché lo Zappata è ancora giovane e può essere recuperato ad una vita attiva
in assenza di cocaina. La sua alternativa non può e non deve essere fra la
disperazione del carcere e l’effimera euforia della droga.
Per queste ragioni, e sulla base
di considerazioni di ordine medico, chiedo che il detenuto venga trasferito in
una comunità terapeutica chiusa, in cui sia curato, controllato, rieducato e da
cui non possa uscire, perché al momento questo sembra essere l’unico modo per
tenerlo lontano dalla droga. E perché tenerlo in carcere significa un immediato
ritorno alla cocaina, non appena ne abbia la disponibilità.
Roma, 14 luglio 2008
Prof.
dr Giusto Giusti
Ordinario
di Medicina legale
Università
di Roma "Tor Vergata"