Visualizzazione post con etichetta certezza della pena. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta certezza della pena. Mostra tutti i post

giovedì 29 maggio 2008

IL CAPO DELLA POLIZIA

«al nord il 60-70% dei crimini commessi dagli immigrati clandestini
«In Italia c'è un indulto quotidiano»
Manganelli: ci troviamo in una situazione di «indulto quotidiano in cui tutti parlano, ma nessuno fa
ROMA - La certezza della pena non esiste più. Ci troviamo in una situazione di «indulto quotidiano», in cui tutti parlano ma nessuno fa. Il capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, non usa mezzi termini per definire lo stato della certezza della pena in Italia.
NON SI E' FATTO NULLA - «Viviamo una situazione di indulto quotidiano - dice alle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato - di cui tutti parlano. Ma su cui non si è fatto nulla negli ultimi anni».
Antonio Manganelli (Emblema)La pena, aggiunge Manganelli, «oggi è quando di più incerto esiste in Italia»; un qualcosa che rende «assolutamente inutile» la risposta dello Stato e «vanifica» gli sforzi di polizia e magistratura. «Non gioco a fare il giurista - prosegue il capo della Polizia - nè voglio entrare nelle prerogative del Parlamento, ma quella che abbiamo oggi è una situazione vergognosa».
CRIMINALITA' E CLANDESTINITA' - «La criminalità diffusa in Italia ha un segmento di fascia delinquenziale ben identificato che si chiama immigrazione clandestina» ha aggiunto il capo della polizia. «Il 30 per cento degli autori di reato di criminalità diffusa sono immigrati clandestini - ha spiegato ancora Manganelli - ma questa media nazionale del 30 per cento va disaggregata». Così, ha proseguito il capo della polizia, si scopre, che se al Sud i reati commessi da clandestini incidono relativamente poco («i reati compiuti da irregolari si attesta intorno al 30 per cento»), al Nord e in particolare nel Nord est «si toccano picchi del 60-70 per cento». La maggior parte degli immigrati clandestini, sottolinea poi Manganelli, entra in Italia non attraverso gli sbarchi ma con un visto turistico. «Solo il 10 per cento dei clandestini entra nel nostro Paese attraverso gli sbarchi a Lampedusa- dice il capo della polizia- mentre il 65-70 per cento arriva regolarmente e poi si intrattiene irregolarmente». E conclude: «Il 70 per cento di quei crimini commessi nel Nord est da irregolari è compiuta proprio da chi arriva con visto turistico e poi rimane clandestinamente sul nostro territorio». Per contrastare la clandetinità, riflette Manganelli, «occorre quindi non solo il contrasto all'ingresso, ma il controllo della permanenza sul territorio dei clandestini».
CPT - Dal primo gennaio a oggi, «le forze dell'ordine hanno fermato 10.500 immigrati clandestini per i quali è stata avviata la procedura di espulsione: ma solo 2.400 di loro hanno trovato posto nei Centri di permanenza temporanea» ha reso noto Manganelli. «È un dato che io trovo inquietante - ha ammesso Manganelli -, perchè significa che oltre 8 mila clandestini sono stati "perdonati" sul campo essendosi visti consegnare un foglietto su cui c'è scritto "devi andar via", che equivale a niente».«Noi forze dell'ordine diciamo che l'immigrazione clandestina va contrastata con rigore, ma di fatto rinunciamo già in partenza a qualsiasi possibilità di farlo» ha detto ancora Manganelli. In tutto il 2007 - ha spiegato Manganelli - «gli immigrati clandestini fermati e avviati ad espulsione sono stati 33.897, ma solo 6.366 di loro hanno trovato posto nei Cpt: di fatto, 27 mila sono stati destinatari di un ordine scritto (di allontanamento), naturalmente non accolto nella stragrande maggioranza, se non nella totalità, dei casi».
29 maggio 2008 (da corriere.it)

sabato 23 febbraio 2008

CERTEZZA DELLA PENA

Italia, giustizia malata cronica
Roberto Martinelli su Il Messaggero
Le spiegazioni che saranno date a chi pretenderà di sapere perché mai un pedofìlo, condannato a sei anni di reclusione per violenza carnale, è stato messo in libertà ed ha potuto stuprare un'altra bambina, sono le stesse di sempre. E cioè: che la lentezza della giustizia è causata dall'enorme carico di lavoro dei magistrati, dalle carenze delle strutture, dalle condizioni proibitive in cui lavorano gli operatori del diritto e via così. Le stesse risposte sono state date poche settimane fa ad una madre che si è vista uccidere la figlia da un uomo condannato e scarcerato per il medesimo meccanismo che ha aperto le porte del carcere al pedofilo: decorrenza dei termini. Questo istituto impone alla giustizia di rispettare i tempi che il codice prevede per concludere l'iter delle varie fasi giudiziarie cui è sottoposto l'imputato. Esso si applica sia alla fase preliminare delle indagini sia a quella che segue la celebrazione dei processi. E i tempi variano a seconda della gravità dei reati contestati.
Il pedofilo era stato riconosciuto colpevole e condannato ma la sentenza non era diventata definitiva perché si doveva ancora celebrare il processo di appello e poi quello di Cassazione. Il ritardo della macchina giudiziaria ha fatto scattare la norma che gli ha consentito di tornare in libertà con l'obbligo di firmare il registro dei sorvegliati. Una formalità assolutamente inutile come hanno dimostrato casi di rapinatori condannati e scarcerati per decorrenza dei termini, che dopo essersi sottoposti al ridicolo rituale della firma in caserma, saccheggiavano banche e negozi. Senza che nessuno sia mai preoccupato di disporre controlli seri e reali su persone sulle quali esisteva il ragionevole dubbio che potessero commettere reati analoghi a quelli per i quali erano stati condannati. Basta scorrere le cronache degli ultimi mesi per documentarsi su episodi di questo genere. Ma purtroppo accade che, dopo un primo momento di sconcerto e di sconforto per lo stato della giustizia, l'immaginario collettivo li cancella e li colloca nella soffitta della scomoda quotidianità da dimenticare. Nessuno infatti ha mai riflettuto seriamente sul fatto che nell'ultimo decennio sono 850 mila gli anni di detenzione inflitti e non scontati in carcere. Non solo, ma da rapporto tra gli anni di reclusione effettivamente scontati e quelli inflitti in via definitiva è stato possibile realizzare l'indice della "certezza della pena" nel nostro paese. La ricerca ha stabilito che la percentuale degli anni effettivamente trascorsi in carcere su quelli inflitti si è abbassata dal 44145 per cento della metà degli anni novanta a a137/38 degli anni duemila. Come dire che nel nostro paese non solo non c'è certezza della pena, ma quel che peggio si fa strada sempre più il fantasma della virtualità del processo. Infatti, secondo i dati più recenti resi dal Ministero della Giustizia, su 90 mila persone arrestate o condannate nel 2005, soltanto 4000 sono ancora in carcere e molte altre sono sul punto di tornare in libertà. (tgcom 23.2.08)