sabato 15 gennaio 2011
una storia
La Circe di Versailles
e l'agente innamorato
Bella e crudele seduce il direttore del carcere. Fino alla rovina
ALBERTO MATTIOLI
CORRISPONDENTE DA PARIGI
Un direttore di carcere che ha una relazione con una detenuta, le fornisce soldi, abiti e cellulari e le permette di spadroneggiare per tutta la prigione è già abbastanza scandaloso. Ma finisce in prima pagina se la detenuta in questione è stata la protagonista di una storiaccia di sangue e di sesso che ha indignato e commosso tutta la Francia. Tutto si svolge a Versailles. Lui è Florent Gonçalves, 41 anni, che dirige il piccolo carcere con solo ottanta detenuti. Ha una compagna, una figlia piccola e un ottimo curriculum: la carriera l’ha fatta dalla gavetta, iniziando da semplice sorvegliante, e lo descrivono serio, professionale, anzi rigido. Finché, nel 2009, non entra in una delle sue celle Emma.
Emma, 22 anni, è il nome che è stato attribuito alla protagonista, allora minorenne, dell’affare della «gang dei barbari». Siamo nel 2006 e i barbari sono una gang di giovani musulmani che sequestrano, non si è mai capito davvero se per odio religioso o per chiedere un riscatto, probabilmente per tutti e due insieme, il giovane ebreo Ilan Halimi. L’esca per attirarlo in trappola è proprio Emma. È lei che, istigata dal «cervello» (si fa per dire) della gang, Yussuf Fofana, convince il ventitreenne Ilan a seguirla.
Il ragazzo, un venditore di cellulari tutt’altro che ricco, verrà torturato selvaggiamente per ventiquattro giorni. Lo ritroveranno nudo, ustionato su tutto il corpo, ormai agonizzante. E morirà mentre lo trasportano in ospedale. I «barbari» vengono condannati all’ergastolo. A Emma, processata a porte chiuse perché under 18, toccano nove anni di galera. E qui comincia l’altra storia, una parentesi rosa dentro una vicenda nera. Le vicissitudini giudiziarie non hanno tolto a Emma il fascino: ha un bel fisico, capelli neri, «une forte poitrine» (traducibile come «un seno generoso») ed evidentemente la capacità di sedurre.
Gonçalves perde totalmente la testa. In poco tempo, in carcere è lei che comanda: «La cosa era così palese che i sorveglianti la soprannominavano la Direttrice», raccontano dei testimoni al Parisien che la svelato l’affaire. Quando una sorvegliante la rimprovera, la risposta della favorita è: «Lo dirò al direttore». Sotto il suo fascino cade anche un agente di 36 anni, cui peraltro lei non concede le sue grazie. Ma Gonçalves non è solo affascinato sessualmente: è proprio innamorato come un adolescente in piena tempesta ormonale.
Dirà poi, arrivato il momento della confessione, che aspettava la libertà condizionale di Emma, ormai imminente perché la ragazza aveva già scontato metà della pena, povero Gonçalves, «per rifarsi una vita» con la bella prigioniera. Invece se l’è rovinata. L’affare non poteva restare nascosto e infatti non lo è rimasto. Hanno cominciato a parlarne le altre detenute, poi la notizia è arrivata all’amministrazione penitenziaria e un’ispezione ha messo fine alla love story dietro le sbarre. Gonçalves è sotto inchiesta per «consegna illecita di una somma di denaro e di oggetti vietati a una detenuta» (gli oggetti vietati sono il cellulare e ricariche).
Rischia il posto, che formalmente non perderà finché non sarà condannato e, soprattutto, fino a tre anni di carcere. Proprio l’anno scorso, un «affaire» del genere era scoppiato nella prigione di Poissy, ma all’inverso: quella volta era stata una sorvegliante a far passare un cellulare a un detenuto con cui aveva dei rapporti sessuali. Ironia della sorte, venne scoperta quando i suoi colleghi iniziarono a stupirsi dell’ascendente che esercitava sul detenuto, giudicato ingovernabile. Quanto a Emma, il dibattito è aperto su chi sia realmente questa ragazza di origini iraniane. Secondo la maggior parte dei giornali, è una Circe che sfrutta il suo potere seduttivo per i suoi scopi, una mantide che prima attira gli uomini e poi li distrugge.
Le Monde racconta invece una storia di ordinario disagio, di un’Emma «sballottata dalla vita»: in Iran, l’abbandono del padre violento, le molestie da parte di uno zio, una sorella disabile; in Francia, dove la ragazza arriva a undici anni portando ancora il velo, le sue vicissitudini comprendono uno stupro da parte di tre ragazzi, un aborto, l’affidamento ai servizi sociali e tre tentativi di suicidio. Paradossalmente, per lei l’unico periodo di serenità è stato quello trascorso nel carcere di Versailles. Il «suo» carcere.
mercoledì 25 novembre 2009
MORTE PER EROINA IN CELLA
Ai familiari 182mila euro
L’associazione Antigone: «Sentenza storica»
Maurizio Freguia morì in carcere per overdose di eroina (web)
ROVIGO – «Un giudice civile di Padova ha con dannato il ministero della giustizia a risarcire con 182mila euro la sorella di un detenuto trenta cinquenne morto nel carcere di Rovigo per over dose». Patrizio Gonnella, presidente dell’associa zione Antigone, definisce la recente decisione «storica» paragonandola con quanto accaduto di recente a Diana Blefari. A ottenere il risarcimen to è stata la sorella di Maurizio Freguia, che il 27 dicembre del 2000 perse la vita in carcere. A stroncarlo, come accertato dall’autopsia, è stata una dose letale di eroina. La droga, per gli accer tamenti dell’epoca, potrebbe essergli stata conse gnata durante i colloqui coi detenuti anche se non si è mai arrivati a chiarire le circostanze. Non così, ad esempio, per il giudice patavino che nella sentenza ha parlato di sorveglianza ca rente, visto che sarebbe stato un compagno di cella a cedere l‘eroina al rodigino che era appena rientrato da un permesso premio. Freguia si sentì male la sera prima.
Curato nel l’infermeria del carcere, poi venne ricoverato in ospedale salvo poi rientrare in via Verdi. Quella mattina le sue condizioni peggiorarono fino al decesso. Giampietro Pegoraro, coordinatore de gli agenti penitenziari della Cgil, quel giorno era al lavoro. «Da parte nostra fu fatto tutto il possi bile per salvare Freguia – afferma – ma invano». Secondo il presidente di Antigone Gonnella «un tossicodipendente e alcolista, ha ragionato il giudice – afferma - affinché sia conservato, cu rato, tutelato, deve essere innanzitutto osserva to. Se si trascura di osservarlo, e si permette che si inietti una dose letale di eroina, il Ministero della Giustizia è corresponsabile della morte». Allo stesso modo, continua Gonnella, «si po trebbe usare questa argomentazione per sostene re che Diana Blefari, abbandonata a se stessa nel la propria cella singola nella quale non si alzava quasi più dalla branda, non è stata conservata, curata, tutelata dal nostro Ministero. E la stessa cosa si potrebbe dire per molte altre morti».
A.A.
24 novembre 2009 (da corrieredelveneto.it)
martedì 8 settembre 2009
SCIOPERO DELLA FAME IN CARCERE
Detenuto fa sciopero della fame e muore
Estrema protesta di un tunisino di 42 anni: ha smesso di nutrirsi dopo una condanna per violenza sessuale
MILANO - È morto dopo un lungo sciopero della fame, iniziato oltre un mese fa, un detenuto tunisino di 42 anni, che era rinchiuso nel carcere di Torre del Gallo a Pavia. L'uomo è deceduto due giorni fa al policlinico San Matteo, dove era stato ricoverato per l'aggravarsi delle sue condizioni.
PROTESTA ESTREMA - Il tunisino aveva deciso di intraprendere lo sciopero della fame dopo che aveva saputo di una nuova condanna emessa contro di lui per un'accusa di violenza sessuale. Una sentenza che il nordafricano ha contestato, sino a decidere di interrompere l'assunzione di cibo e bevande. Sono stati inutili i tentativi del responsabile del carcere di convincerlo a mangiare. Sulla vicenda sono ora in corso accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria.
08 settembre 2009 (da corriere.it)
lunedì 7 settembre 2009
INCOMPATIBILITA' CARCERARIA
Il concetto di “incompatibilità carceraria”, inteso come impossibilità di far sussistere insieme la patologia di un soggetto con la sua condizione di detenuto, senza che vi siano conseguenze dannose per la sua salute, è stato elaborato dagli studiosi del diritto proprio a garanzia del principio di cui all’art.32 Cost. Nel carcere il rapporto salute-sicurezza s’inverte, ovvero, l’esigenza della difesa sociale, realizzata con la pena inflitta, deve cedere il posto alla prioritaria assicurazione della salute individuale del detenuto ;quindi la pena detentiva, deve rispettare il senso di umanità invocato con l’art 27 della costituzione. Si deduce così, come lo stato della salute del detenuto, incida sulla possibilità del differimento della pena. Oltre alla detta condizione sanitaria del soggetto detenuto, affinché si realizzi la condizione d’incompatibilità, è necessaria anche la presenza di strutture sanitarie penitenziarie inidonee, incapaci di fronteggiare la situazione clinica del soggetto. Da quanto detto sì deduce, che in realtà sussiste una condizione di relativizzazione del concetto d’incompatibilità, che quindi è dipendente sia dalla condizione clinica osservata, che dalla capacità della struttura penitenziaria a garantire cure idonee. Il Giudice, quindi, deve verificare non solo l’entità della patologia e le conseguenze che da essa possono derivarne, ma anche se tale malattia sia curabile nella struttura sanitaria dell’Istituto di reclusione o in altro luogo esterno di cura. Inoltre, è bene ricordare, che per la Cassazione 7.7.1994, n.2080, le condizioni di guaribilità o di reversibilità della malattia, non sono elementi considerabili , infatti in tale sentenza si legge:"La guaribilità o reversibilità della malattia non sono requisiti richiesti dalla normativa vigente in tema di differimento dell'esecuzione della pena, per la cui concessione è sufficiente che l'infermità sia di tale rilevanza da far apparire l'espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità."
La sospensione della pena detentiva è prevista dagli artt 147 e 146 del c.p. L’art 147 prevede il differimento facoltativo della pena detentiva:
“1) se è presentata domanda di grazia, in tal caso l’esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore a sei mesi, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata;
2) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;
3) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni, ma il provvedimento sarà revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio”.
A questo punto è bene sottolineare, che la Corte costituzionale nella sentenza 114/79 ha chiarito il concetto di grave infermità fisica, espresso dall’ art. suddetto, intendendolo come condizione fisica "non suscettibile di guarigione mediante le cure o l'assistenza medica disponibili nel luogo di esecuzione”. L’art.147 trova le sue fondamenta nella sentenza di Cassazione penale del 4.2.1997, n.6283, Calzolaio,che afferma:”La ragione ispiratrice dell'art.147 è quella di evitare al condannato trattamenti inumani e la sua sottomissione ad una pena di fatto più grave di quella irrogatagli, in quanto espiata in uno stato di menomazione fisica di tale rilevanza da implicare necessariamente, oltre alla preoccupazione legata ad un eventuale giudizio di inadeguatezza dell'assistenza sanitaria, istituzionalmente garantita, anche il profondo disagio morale prodotto dal particolare tipo di vita imposto dal carcere a chi, non solo non può più approfittare dell'opportunità offertagli per la sua rieducazione, ma vede amplificarsi senza rimedio gli aspetti negativi: a tali criteri il giudice deve riferirsi ai fini della decisione".
L’art.146 c.p. prevede il differimento obbligatorio della pena detentiva:
1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta, in tal caso è prevista la revoca del differimento se la gravidanza s’ interrompe;
2) se deve aver luogo nei confronti di madre d’ infante di età inferiore ad anni uno, ma qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio, il differimento della pena viene revocato;
3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.
V.4.a. Affinché si configuri la “incompatibilità carceraria”, la giurisprudenza della Corte di Cassazione richiede il requisito della “grave infermità fisica” senza, peraltro, preoccuparsi di prevedere una incompatibilità derivante da infermità psichica o mentale nè di dare una interpretazione univoca del concetto in esame. In alcuni casi, la Corte ha dato una definizione molto ampia ed estensiva di “grave infermità fisica”. Tale orientamento emerge da una lunga serie di sentenze:
Cass. pen., sez.VI, 27 settembre 1986 (c.c. 6 agosto 1986, n. 1361), Celentano:”Ai fini del differimento dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale consentito ai sensi dell'articolo 147, primo comma n.2 codice penale, per chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, deve ritenersi grave non esclusivamente quello stato patologico del condannato che determina il pericolo di morte, ma pure ogni altro stato di infermità fisica che cagioni il pericolo di altre rilevanti conseguenze dannose o, quantomeno, esiga un trattamento che non si possa attuare in ambiente carcerario e che necessariamente abbia probabilità di regressione nel senso del recupero, totale o parziale, dello stato di salute".
Cass. pen., sez. I, 14 marzo 1987 (c.c. 15 dicembre 1986, n. 304), Messina:" Ai fini del differimento dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale ex articolo 147, con decreto pen., non è sufficiente che l'infermità fisica menomi in maniera anche rilevante la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà, ma è necessario invece, che l'infermità sia di tale gravità da far apparire l'espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma costituzionale. Neanche la prognosi infausta quoad vitam crea, automaticamente, un contrasto fra l'esecuzione della pena ed il senso di umanità né rende di per sé operativa la disposizione dell'articolo 147 n. 2 codice penale, ma occorre che la malattia sia, allo stato, di tale gravità da escludere, ad un tempo, la pericolosità del condannato e la sua capacità di avvertire l'effetto rieducativo del trattamento penitenziario."
Cassazione penale 26.10.87, Nuvoletta :"L'esecuzione della pena dovrà essere differita quando la struttura penitenziaria, tenuto anche conto della possibilità del ricovero esterno, non si riveli in grado di provvedere alla cura ed all'assistenza sanitaria adeguate all'obiettiva gravità del caso, sì che appaia fondata la previsione che si fatte carenze abbiano a determinare effetti dannosi sullo stato del condannato. Se così non fosse l'esecuzione della pena verrebbe illegittimamente ad incidere sul diritto alla salute costituzionalmente a tutti riconosciuto (art.32 Cost.) e si risolverebbe in un trattamento contrario al senso di umanità cui la stessa deve ispirarsi."
Cass. sez. I, 17 novembre 1989, Mondino, n. 2607 :" L'articolo 147, primo comma, n. 2, codice penale, non prevede il differimento dell'esecuzione della pena in presenza di una qualunque infermità ma richiede l'esistenza di una grave infermità e se è vero che la gravità va valutata non in assoluto ma in relazione al bisogno di cure e alla loro praticabilità nello stato di detenzione, è altresì vero che ciò che giustifica il differimento è l'impossibilità di praticare utilmente le cure nel corso dell'esecuzione e non la semplice possibilità di praticarle meglio fuori dall’ambiente carcerario”.
Cass. pen. Sez. I, 17 gennaio 1991, Cosentino, n. 4228.
" Ai fini del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena e nell'ipotesi di esecuzione di pena restrittiva della libertà personale nei confronti di chi si trova in condizione di grave infermità fisica, non assume rilevanza il carattere cronico ovvero inguaribile della malattia, atteso che il requisito della guaribilità o della reversibilità dell'infermità non è previsto dalla citata disposizione. È, invece, necessario che il giudice valuti se l'infermità fisica del soggetto abbia o meno la possibilità di trarre giovamento, nello stato di libertà, di cure e trattamento sostanzialmente diversi e più efficaci di quelli che possono essere prestati nelle apposite istituzioni e strutture sanitarie penitenziarie. La mera osservazione di compatibilità dell'infermità con il regime penitenziario non soddisfa, pertanto, l'obbligo di motivazione sulla sussistenza o meno del diritto al differimento dell'esecuzione della pena, mancando in tal caso l'esame e la valutazione dell'eventuale incidenza dell'infermità adotta, in caso di permanenza del regime carcerario , sulla salute del detenuto”.
Cass. Sez. I, 25 gennaio 1991, Racca,n. 4363:" Per la concessione del differimento della pena restrittiva della libertà personale che deve essere eseguito contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, occorre la sussistenza di una malattia grave, tale cioè da porre in pericolo la vita del condannato o provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa agevolmente attuare nello stato di detenzione. Il giudizio sulla gravità ha carattere relativo giacchè si fonda sul rapporto tra condizione individuale del soggetto e condizione dell'ambiente carcerario e, pertanto, l'accertata infermità costituirà causa possibile di differimento non solo perchè grave nel senso sopra indicato, ma soprattutto in quanto potenzialmente aggravata dalla condizione carceraria. Non può, invece, assumere rilevanza il carattere cronico ed inguaribile della malattia dato che il requisito della guaribilità o della reversibilità della infermità non è richiesto dalla norma”.
Cass. pen., sez.I, 3 marzo 1992, n. 358 (c.c. 27 gennaio 1992), Viola. " In tema di sospensione dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica la durata della pena da espiare è ininfluente ai fini della valutazione dei presupposti della sospensione. Quest'ultima invero si pone in rapporto alla necessità di evitare che l'esecuzione della pena si risolva in un inutile aggravio di sofferenza per il condannato, venendo in tal modo ad incidere su due principi di rilievo costituzionale, vale a dire il divieto dei trattamenti inumani e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; principi che vanno, però, comparati con quello della certezza dell'esecuzione della pena”.
Cass.pen., sez. I, 6 luglio 1992, n.2819, Piromalli." La potestà punitiva dello stato, che l'esecuzione della pena attua con la costrizione del condannato, ha un limite costituito dalla tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo (articolo 32 Costituzione), che neppure la generale inderogabilità dell'esecuzione della condanna può sopravanzare allorquando la pena, per le condizioni di grave infermità fisica del soggetto finisca per costituire un trattamento contrario al senso di umanità, così perdendo la tendenza alla rieducazione. Nella motivazione del potere di rinvio di esecuzione della pena, il giudice di merito deve dare ragione delle sue scelte, bilanciando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (articolo 3 Costit.) con quelli della tutela della salute (articolo 32 Costit.) e del senso di umanità (articolo 27 Costit.) che deve caratterizzare l'esecuzione della pena, per modo che in sede di legittimità se ne possa valutare la correttezza e la completezza.
Sentenza del 24.5.1995, n.4727 stabilisce: "è necessario che ci si trovi in presenza di prognosi infausta quoad vitam oppure che il soggetto abbia bisogno di cure e trattamenti indispensabili tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art.11 dell'ordinamento penitenziario"
Cass. Sez. I, 17 maggio 1997,n. 3046." Ai fini del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, nel caso previsto dall'articolo 147, 1ºc. n. 2, codice penale deve farsi riferimento soltanto alla oggettiva gravità dell'infermità fisica, la quale sia tale da dar luogo, cumulata alla ordinaria afflittività della restrizione della libertà, ad un trattamento contrario al senso di umanità e ad una sostanziale elusione del diritto individuale, costituzionalmente garantito, alla tutela della salute da parte dell’ordinamento”.
V.4.b. Un detenuto affetto da AIDS o le sue diverse manifestazioni cliniche: AIDS conclamato, Sindrome correlata all’AIDS (ARC), Linfoadenopatia persistente (LAS), determina numerose problematiche all’Amministrazione penitenziaria. Il paziente-detenuto deve eseguire periodicamente, controlli e accertamenti, con lo scopo di monitorizzare la patologia e di identificare precocemente eventuali infezioni opportunistiche, inoltre deve essere sottoposto a terapia antiretrovirale, con l’utilizzo di farmaci estremamente tossici che obbligano i detenuti a subire accertamenti diagnostici frequenti per poter monitorizzare l’effetto tossico subìto dall’organismo da dette somministrazioni. L’utilizzo dei farmaci antiretrovirali è limitato esclusivamente ai reparti di malattie infettive ospedaliere e universitarie o altri centri, dediti al trattamento dell’HIV, escludendo così la possibilità di trattare il detenuto malato nelle strutture di detenzione. Purtuttavia è obbligo dell’Amministrazione carceraria, tentare di garantire al detenuto le stesse possibilità terapeutiche del soggetto non detenuto, per cui i sanitari che lavorano nei penitenziari tentano comunque un approccio terapeutico.
E’ bene sottolineare, che in base n.135 del 05-06-1990, l’effettuazione del test dell’HIV deve essere rivolto solo ai soggetti consenzienti, per cui la maggior parte dei detenuti si oppongono allo screening infettivologico. Dalla situazione appena detta, emerge l’impossibilità di monitorizzare la situazione carceraria, sotto il profilo infettivo; tuttavia dei dati statistici ottenuti nel corso dell’anno 2002 (tabella sotto)ci possono approssimativamente far vedere la situazione infettivologica dell’ HIV, nelle carceri italiane.
DETENUTI SOTTOPOSTI AL TEST DELL’ HIV
sabato 30 maggio 2009
PROTOCOLLO DI ISTANBUL
domenica 29 marzo 2009
MORTE IN CELLA
Pavia: muore in cella, aperta inchiesta
29 mar 00:27 CRONACHE
VOGHERA (Pavia) - Un detenuto muore nel carcere di Voghera e la Procura della citta' del pavese apre un'inchiesta. A perdere la vita un 45enne, ucciso forse dai gas di una bomboletta che i carcerati utilizzano normalmente per cucinare in cella. Al momento sembra escluso che si tratti di un suicidio. (Agr)
venerdì 12 settembre 2008
MORTE IN CUSTODIA
Velletri, detenuto muore dopo violenze
Antigone: picchiato dalla polizia, fare chiarezza

ROMA (12 settembre) - Sarebbe stato picchiato dalla polizia municipale di Velletri. E poi condotto in carcere, con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Si tratta di un detenuto tossicodipendente malato di cirrosi. Secondo quanto denuncia l'associazione "Antigone", che si batte per i diritti nelle carceri, in cella le condizioni dell'uomo si sarebbero aggravate. Fino alla morte, sopraggiunta subito dopo il trasporto in ospedale.
L'arresto dell'uomo sarebbe avvenuto alcuni giorni fa. Dopo essere stato fermato, sostiene l'associazione, il giovane è stato violentemente picchiato. In carcere sarebbe anche stato visitato dal medico del penitenziario, il quale il giorno dopo avrebbe constatato l'aggravarsi del suo stato di salute.
Patrizio Gonnella, presidente di “Antigone", chiede con tono deciso «un intervento delle autorità amministrative affinché facciano chiarezza sull'episodio». E poi annuncia: «Segnaleremo il caso agli organismi internazionali che si occupano di tortura».
«Notizia di gravità inaudita». A raccogliere l'appello di Gonnella è Luigi Nieri, assessore al Bilancio, programmazione economico-finanziaria e partecipazione della Regione Lazio. «La notizia segnalata dall'associazione, se corrisponde al vero, è di gravità inaudita». Poi Nieri commenta: «E' dovere di chiunque abbia un ruolo istituzionale fornire chiarimenti sulla vicenda. Se i fatti corrispondessero a verità sarebbe evidente il nesso con un clima di violenza e di intolleranza che si respira nell'aria a causa di irresponsabili opzioni politiche della destra al governo. Auspico - conclude l'assessore - che si faccia luce sull'episodio, tanto più che come sempre la vittima non pare essere un pericoloso criminale, bensì una persona rispetto alla quale era prioritataria un'azione di sostegno sociale». (da ilmessaggero, 12 settembre)
mercoledì 3 settembre 2008
MORTE IMPROVVISA IN CARCERE
Monaco, 2 set. (Adnkronos Salute) - Quando ai polsi scattano le manette della polizia, anche un cuore sano può non reggere allo shock. La prova arriva dalla Spagna, dove negli ultimi 10 anni sono stati registrati 60 casi di morte improvvisa in carcere. Decessi che hanno fulminato i detenuti nelle prime 24 ore di reclusione. A scoprire la nuova sindrome, una sorta di 'crepacuore da prigione', è un gruppo coordinato da Manuel Martinez Selles, dell'Hospital Gregorio Maranon di Madrid, che ha presentato i suoi dati al Congresso 2008 della Società europea di cardiologia (Esc) in corso fino a domani a Monaco di Baviera. Maschio, giovane e con un cuore che non aveva mai mostrato prima segni di sofferenza. Questo l'identikit del detenuto a rischio di morte improvvisa, descritto dal team madrileno. Dei 60 casi riportati, infatti, soltanto uno riguardava una donna. Gli altri 59 morti dietro le sbarre erano invece uomini, in media 33enni e senza una storia di rischio cardiovascolare alle spalle. Nel 29% dei casi (17 decessi) la morte era immediata e si consumava sul posto, al momento dell'arresto. La nuova sindrome - spiegano gli autori - è la versione umana della morte improvvisa post-cattura, ben nota nel mondo animale. Ma assomiglia anche alla cosiddetta 'sindrome di Tako-Tsubo', attacco coronarico acuto legato a situazioni di forte stress e descritto per la prima volta in Giappone. In tutti queste forme, e probabilmente anche nel 'crepacuore da carcere' - si ipotizza - all'origine c'è un picco dei livelli di adrenalina o di altre catecolamine. (da IGN, 3 settembre 2008)
sabato 30 agosto 2008
SESSUALITA' CARCERARIA
Gay violentato dai compagni di cella«Sono sieropositivo». E gli altri lo pestano
Dopo le violenze in un carcere calabrese, l'uomo viene trasferito e rinchiuso con i condannati per reati sessuali
ROMA - Un omosessuale viene ripetutamente violentato dai compagni di cella. I quali, quando scoprono che è sieropositivo, lo picchiano e minacciano anche di ucciderlo. L’uomo, a questo punto, viene messo in isolamento in una cella con topi e scarafaggi. Fino a quando non lo trasferiscono nel carcere di un’altra regione, dove per alcuni giorni viene incredibilmente rinchiuso in un reparto riservato a detenuti condannati per reati sessuali. È l'odissea di un detenuto 40enne, arrestato per tentato furto lo scorso giugno. A raccontarla è Franco Corbelli, leader del Movimento dei diritti civili, che ha raccolto la sua testimonianza, ora che l’uomo ha lasciato il carcere e si trova agli arresti domiciliari. «È un episodio di una brutalità e disumanità inaudite», denuncia Corbelli: «L'uomo da qualche giorno agli arresti domiciliari mi ha raccontato per telefono la sua allucinante e dolorosa odissea». «Sono profondamente indignato - continua Corbelli - per quanto accaduto. Chiedo che venga fatta luce e giustizia su questo gravissimo episodio, accertate e perseguite le responsabilità a tutti i livelli. Quel giovane merita rispetto, solidarietà e giustizia. Naturalmente chiedo che in questo carcere venga fatto un attento esame per verificare se a seguito della violenza al giovane omosessuale sieropositivo si siano registrati casi di infezione da Hiv in altri detenuti che devono naturalmente essere seguiti con attenzione e curati adeguatamente per evitare il dilagare della malattia e per scongiurare che si diffonda in questa casa circondariale della Calabria la psicosi Aids».
ARCIGAY - La vicenda denunciata dal Movimento diritti civili, commenta l’Arcigay, «ripropone in modo clamoroso ciò che si sa da sempre: nelle carceri italiane è usuale la violenza sessuale tra uomini. Il vero problema è che moltissimi giovani gay o eterosessuali maschi vengono quotidianamente violentati da singoli o gruppi di detenuti anche a causa del fatto che in questo paese non è possibile discutere civilmente della sessualità delle persone detenute». (da corriere.it, 30 agosto 2008)
mercoledì 23 luglio 2008
BRUNO CONTRADA
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200807articoli/35039girata.asp
mercoledì 2 aprile 2008
SANITA' CARCERARIA
02 apr 13:06 Politica
ROMA - La tutela della salute dei detenuti nella carceri italiane passa al Servizio Sanitario Nazionale. L'Iter si e' perfezionato con il DPCM di attuazione dell'art. 2 (comma 283) della legge finanziaria 2008 sottoscritto ieri dal presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi e dai ministri proponenti Livia Turco e Luigi Scotti. Il principio costituzionale del fine rieducativo della pena diventa cosi' ancora piu' concreto: i detenuti, al pari dei cittadini liberi, hanno diritto ad ottenere un'assistenza sanitaria organizzata secondo un principio di globalita' degli interventi sulle cause che possono pregiudicare la salute, di unitarieta' dei servizi e delle prestazioni, di integrazione dell'assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuita' terapeutica. L'obiettivo e' di fornire una piu' efficace assistenza migliorando la qualita' delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione negli istituti penitenziari. (Agr)
mercoledì 19 marzo 2008
PSICOLOGI E CARCERE
di Silvia Nava ultima revisione: 18-03-2008
domenica 16 marzo 2008
CARCERE SENZA DETENUTE
GIAMPIERO CALAPÁ
FIRENZECome il tenente Drogo nel «Deserto dei tartari». Mentre svanisce l’effetto indulto e le carceri italiane tornano a scoppiare di detenuti c’è una prigione, una piccola prigione, completamente vuota. Dove le guardie fanno la guardia a se stesse. E dietro le sbarre ci sono solo brande, tavolini, lavabi. Solo fantasmi, ed echi di silenzio. Succede a Pontremoli, cittadina della Lunigiana ai piedi del Passo della Cisa. In bizzarra, assurda controtendenza rispetto alla situazione penitenziario nel resto del Paese. Una dopo l’altraLa struttura, un tempo era il «mandamentale» del Comune, cioè la galera gestita dal sindaco. E’ stata riaperta quattro anni fa come carcere femminile di piccola dimensione. In teoria non potrebbe ospitare più di venti persone, e dai tetti massimi è sempre stata lontana: il massimo affollamento è stato raggiunto, nell’estate 2006, quando dietro le sbarre erano in quindici. Ora, invece, non c’è più nessuno. Perché l’assegnazione delle detenute è stata sospesa. A fare la guardia al nulla sono rimaste in cinque. Nel 2004 le agenti penitenziarie, tutte donne e molto giovani, diverse alla prima esperienza, erano in ventisette, ufficiali comprese. Troppe per una casa circondariale piccola, con continui problemi all’impianto elettrico, alle tubature e alla rete fognaria. Tanto che diverse di loro erano costrette a trovar ospitalità nella vicina stazione della polizia stradale. Neppure un anno dopo le guardie sono rimaste in dodici. Ma intanto diminuivano anche le detenute. Dopo l’indulto, nell’agosto 2006, ne erano rimaste appena cinque. La scorsa estate è stata trasferita l’ultima prigioniera. E le guardie, sia pur poche, non hanno più nulla da fare quando a poche decine di chilometri ci sono carceri stracolme come quelle di Sollicciano, Prato, Livorno o Pisa. L’assurdità è stata denunciata da Franco Corleone, il garante per i diritti dei detenuti di Firenze, sottosegretario alla giustizia dal ‘96 al 2001: «E' una situazione insostenibile, perché a fronte di un nuovo sovraffollamento delle carceri non si possono tenere istituti vuoti. Proposi di destinarvi donne seminferme di mente, dal momento che là vicino c’è la clinica psichiatrica pubblica di Aulla». L’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) ha chiesto la chiusura della struttura di Pontremoli, per evitare di continuare a spendere a vuoto soldi pubblici che potrebbero esser impiegati in miglior modo. Oltre che per togliere da un imbarazzante limbo gli agenti rimasti ai piedi delle Apuane. Prova a gettare acqua sul fuoco il provveditore Maria Pia Giuffrida: «A Pontremoli la situazione è molto semplice: le donne detenute in regione sono poche. Le polemiche sono ingiustificate. Stiamo riconvertendo quel carcere per farne una sezione maschile di semilibertà, avverrà molto presto». Erano state prese in considerazione dall’amministrazione penitenziaria altre ipotesi, come quella di mandarci detenuti transessuali, «ma Pontremoli - ha chiarito Giuffrida - ci ha fatto capire di non essere d'accordo». Restano le guardie, che non saranno sommerse di lavoro ma neanche contente Per Amanda, 27 anni, laureanda in ingegneria, Pontremoli è stata la prima esperienza da agente penitenziaria. Si è fatta trasferire al Sud: «Era un vero incubo, con quelle celle vuote. Spero che non mi rimandino mai più lassù. Io credo nella mia professione, ma voglio lavorare in un vero carcere, non in una fortezza come quella di Buzzati in attesa dei tartari». (da lastampa.it, 16 marzo 2008)
sabato 23 febbraio 2008
CERTEZZA DELLA PENA
Roberto Martinelli su Il Messaggero
Le spiegazioni che saranno date a chi pretenderà di sapere perché mai un pedofìlo, condannato a sei anni di reclusione per violenza carnale, è stato messo in libertà ed ha potuto stuprare un'altra bambina, sono le stesse di sempre. E cioè: che la lentezza della giustizia è causata dall'enorme carico di lavoro dei magistrati, dalle carenze delle strutture, dalle condizioni proibitive in cui lavorano gli operatori del diritto e via così. Le stesse risposte sono state date poche settimane fa ad una madre che si è vista uccidere la figlia da un uomo condannato e scarcerato per il medesimo meccanismo che ha aperto le porte del carcere al pedofilo: decorrenza dei termini. Questo istituto impone alla giustizia di rispettare i tempi che il codice prevede per concludere l'iter delle varie fasi giudiziarie cui è sottoposto l'imputato. Esso si applica sia alla fase preliminare delle indagini sia a quella che segue la celebrazione dei processi. E i tempi variano a seconda della gravità dei reati contestati.
Il pedofilo era stato riconosciuto colpevole e condannato ma la sentenza non era diventata definitiva perché si doveva ancora celebrare il processo di appello e poi quello di Cassazione. Il ritardo della macchina giudiziaria ha fatto scattare la norma che gli ha consentito di tornare in libertà con l'obbligo di firmare il registro dei sorvegliati. Una formalità assolutamente inutile come hanno dimostrato casi di rapinatori condannati e scarcerati per decorrenza dei termini, che dopo essersi sottoposti al ridicolo rituale della firma in caserma, saccheggiavano banche e negozi. Senza che nessuno sia mai preoccupato di disporre controlli seri e reali su persone sulle quali esisteva il ragionevole dubbio che potessero commettere reati analoghi a quelli per i quali erano stati condannati. Basta scorrere le cronache degli ultimi mesi per documentarsi su episodi di questo genere. Ma purtroppo accade che, dopo un primo momento di sconcerto e di sconforto per lo stato della giustizia, l'immaginario collettivo li cancella e li colloca nella soffitta della scomoda quotidianità da dimenticare. Nessuno infatti ha mai riflettuto seriamente sul fatto che nell'ultimo decennio sono 850 mila gli anni di detenzione inflitti e non scontati in carcere. Non solo, ma da rapporto tra gli anni di reclusione effettivamente scontati e quelli inflitti in via definitiva è stato possibile realizzare l'indice della "certezza della pena" nel nostro paese. La ricerca ha stabilito che la percentuale degli anni effettivamente trascorsi in carcere su quelli inflitti si è abbassata dal 44145 per cento della metà degli anni novanta a a137/38 degli anni duemila. Come dire che nel nostro paese non solo non c'è certezza della pena, ma quel che peggio si fa strada sempre più il fantasma della virtualità del processo. Infatti, secondo i dati più recenti resi dal Ministero della Giustizia, su 90 mila persone arrestate o condannate nel 2005, soltanto 4000 sono ancora in carcere e molte altre sono sul punto di tornare in libertà. (tgcom 23.2.08)
giovedì 10 gennaio 2008
BRUNO CONTRADA
27-12-2007 - 15:36
BRUNO CONTRADA
Bruno Contrada ora ha 76 anni. Era un alto funzionario del SISDE, impegnato nella lotta alla mafia. E' stato accusato e condannato in via definitiva a 10 anni di detenzione per collusione con la mafia. Ora sta male (vedi sotto quel che dice l'avv. Lipera, suo difensore). Per l'età e per le sue patologie, a mente del codice, Contrada non dovrebbe stare in carcere. Si sta dibattendo chi dovrebbe muovere i primi passi per concedergli la grazia, dimenticando peraltro che per i condannati in via definitiva, quando il detenuto si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie nello stato di detenzione, basta il Tribunale di sorveglianza. Il Tribunale di sorveglianza può agire in base ad una relazione sanitaria del carcere, oppure, se ha dei dubbi, in base ad una perizia d'ufficio, che può disporre.
Fa parte dei nostri codici l'idea che l'interesse della salute dell'individuo e della collettività prevalga sull'interesse giudiziario, ma spesso accade che detenuti, che abbiano compiuto reati molto gravi o particolari, benchè seriamente malati, non escano dal carcere, e muoiano in carcere. Il caso di Contrada non è certamente unico, ne esistono molti di simili, dato che i codici lasciano ai magistrati una certa discrezionalità.
Il delitto compiuto da Contrada, del quale molti dubitano, è particolarmente odioso, ed è assimilabile al tradimento. Se l'ha compiuto.
Le sue condizioni sarebbero queste, secondo l'avv. Lipera (da corriere.it): Il legale di Contrada intanto, l'avvocato Giuseppe Lipera, fa sapere che «lo stato di salute» del suo assitito «si aggrava» ma che «ancora il magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere non ha deciso sulla richiesta di scarcerazione per motivi di salute: ogni ora di ritardo può essere letale». «Contrada - sottolinea il penalista - non riesce a dormire, nonostante assuma dei sonniferi, per lo stato di ansia e agitazione, che non riescono a calmare neppure le gocce di sedativo. È in forte stato di astenia perchè si alimenta pochissimo ed ha tachicardia e difficoltà a respirare».
29-12-2007 - 08:00
BRUNO CONTRADA
Contrada trasferito in ospedaleSu disposizione giudice di sorveglianza
Bruno Contrada è stato trasferito all'ospedale Cardarelli di Napoli su disposizione del giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere per motivi di salute. L'ex funzionario del Sisde è piantonato dai carabinieri. Lo ha reso noto il suo legale, l'avvocato Giuseppe Lipera, che ha dichiarato:"E' stato ricoverato perché è gravemente malato, adesso occorre fare presto per farlo tornare in famiglia".
"Adesso - ha aggiunto - spero che il ministero della Giustizia si attivi velocemente per le pratiche necessarie alla concessione della grazia per permettere a un servitore dello Stato gravemente malato di poter tornare a casa propria". In precedenza il Tribunale di sorveglianza di Napoli aveva deciso di anticipare al 10 gennaio prossimo l'udienza per trattare la richiesta di scarcerazione per motivi di salute.
Il funzionario del Sisde aveva inviato una lettera al Foglio per ribadire la sua innocenza e sottolineare che non ha mai chiesto nessun atto di clemenza: "All'inizio del 16.mo anno del mio calvario intendo urlare la totale estraneità alle accuse rivoltemi. Per questo motivo non ho chiesto la grazia, poichè questa riguarda i colpevoli". "Voglio rasserenare i parenti delle vittime della mafia che hanno manifestato le loro opinioni senza conoscere personalmente l'uomo Bruno Contrada", ha scritto. (da tgcom.it del 29 dic. 2007)
29-12-2007 - 17:27
BRUNO CONTRADA
da tgcom.it del 29.12.07
Napoli, Contrada torna in carcereHa firmato per lasciare l'ospedale
Bruno Contrada ha firmato, contro il parere dei medici dell'ospedale Cardarelli, la richiesta di dimissioni dalla struttura sanitaria dove era ricoverato da venerdì sera. L'ex dirigente del Sisde, dopo aver ultimato le formalità di rito, è uscito per fare ritorno nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Secondo i medici Contrada è affetto da ischemia cerebrale e versamento pleurico e sarebbero necessari altri accertamenti.
''Mio fratello non vuole più vivere''. Così la sorella dell'ex funzionario del Sisde (che ha inviato una lettera al Foglio) ha commentato la decisione del fratello di voler abbandonare l'ospedale per fare ritorno in carcere. ''Non vuole la libertà, ma il suo onore. Non so come non è morto ancora di dolore - ha proseguito Anna Contrada - Se tornasse a casa potrebbe lenire la sua sofferenza grazie all'affetto dei suoi nipoti''. ''Non ce la fa a stare là dentro - ha spiegato - E' stato sempre dalla parte della giustizia e ora è pieno di fango. Non riesce a sostenere la condizione di detenuto, è un attacco alla sua dignita', una cosa atroce per un uomo dello Stato". ''Sono sconvolta. Non riesco a spiegarmi il perché di questa scelta'', è la reazione della moglie Adriana.
Il ricovero del 76enne era stato disposto venerdì sera con una mossa inattesa dal magistrato di sorveglianza Daniela Della Pietra. "Provino il ministro della Salute Livia Turco e il ministro della Giustizia Clemente Mastella a farsi ricoverare per un'ora in un reparto detenuti", ha detto il suo legale, l'avvocato Lipera. Adducendo gravissime ragioni di salute, l'avvocato ha inviato nei giorni scorsi al presidente della Repubblica una "accorata supplica" affinché il capo dello Stato prenda in considerazione l'ipotesi di concedere la grazia a Contrada, anche in assenza di una domanda in tal senso. Contrada non ha infatti mai chiesto l'atto di clemenza, come è richiesto per la concessione della grazia, non ritenendosi colpevole.
Intanto si attende per il 10 gennaio l'udienza davanti al tribunale di sorveglianza di Napoli sul differimento della pena chiesto dal legale per "gravissimi motivi di salute", iter che viaggia separatamente rispetto a quello della clemenza. Sul caso il Guardasigilli Mastella, che nei giorni scorsi ha avviato l'istruttoria di rito relativa alla supplica di grazia, ha ricordato che "la decisione circa l'istanza di differimento della pena per ragioni di salute è di esclusiva competenza della magistratura di sorveglianza". Nel caso in cui i giudici dovessero dare ragione alla difesa, Contrada tornerebbe in libertà o eventualmente a casa agli arresti domiciliari.
30-12-2007 - 15:54
BRUNO CONTRADA
Bruno Contrada e' ancora ricoverato presso il padiglione Giulio Palermo dell'ospedale Cardarelli di Napoli. L'ex dirigente del Sisde, nonostante la sua richiesta di dimissione dal nosocomio per far ritorno al carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, e' ancora ricoverato per essere sottoposto ad una serie di accertamenti.
Il Tribunale di sorveglianza di Napoli gli ha infatti negato la possibilita' di ritornare in cella soprattutto per le sue condizioni di salute.
"Ho qui uno scritto di suo pugno - dice il suo legale Giuseppe Lipera - nel quale Contrada indica chiaramente che 'non ho chiesto ne' chiedo ne' chiedero' mai la grazia a quello Stato da cui mi sarei aspettato un grazie e non una grazia. Un grazie per tutto cio' che ho dato allo Stato e soprattutto alla polizia'.
Contrada ha chiesto di andare via, anche perche' questo non e' un ospedale militare e lui avrebbe diritto ad andare in quello del Celio". Lipera ribadisce inoltre l'intenzione del suo assistito di chiedere la revisione del processo, una istanza di revisione gia' pronta con un memoriale di sessanta pagine scritto dallo stesso Contrada cui sono allegati due volumi di documenti e una richiesta di acquisizione delle sentenze assolutorie nei confronti di Giulio Andreotti e Corrado Carnevale, pure indagati per concorso esterno alla mafia, e gli atti di un processo che si sta celebrando a Catania in cui si procede per calunnia aggravata con Contrada ammesso tra le parti civili".
Il legale sottolinea anche di aver telefonato ancora oggi al Tribunale di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere per ottenere risposte alla richiesta di Contrada di essere dimesso: "domani e' lunedi' - dice - il magistrato di sorveglianza non puo' negare la volonta' del detenuto/paziente di andare via. Chiunque ha il diritto di dire in ospedale non ci voglio stare". E poi conclude: "chiedero' un incontro con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella mia veste di cittadino, oltre che di legale di Contrada". (da RAINews24 del 30.12.07)
31-12-2007 - 19:42
BRUNO CONTRADA
«Vogliono che io muoia in carcere»Lo sfogo di Bruno Contrada contro il potere giudiziario.
NAPOLI - «Non mi faccio illusioni, perchè il potere giudiziario vuole che io muoia in carcere». Bruno Contrada, l'ex funzionario condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente ricoverato all'ospedale Cardarelli di Napoli, lo ha ripetuto più volte. Lo ha fatto nel corso di un incontro che avuto con il senatore di Forza Italia, Emiddio Novi, il quale ne riferisce i contenuti. «Non chiederò mai la grazia - ha ribadito Contrada - preferisco morire in carcere, nella consapevolezza di essere del tutto innocente».
«CREDONO PIU' AI PENTITI» - Per Contrada, l'Italia «è un paese in cui la giustizia crede più ai pentiti che agli uomini di polizia». Ecco perchè, dice, «il mio posto è in carcere». Lì dove, ha ammesso l'ex funzionario del Sisde, «sono convinto di morire». All'ospedale Cardarelli di Napoli, nel corso di un incontro con il senatore di Forza Italia, Emiddio Novi, si è definito, spesso, un «servitore dello Stato, vittima di una sentenza eversiva». «Questo è un paese in cui la giustizia crede a quattro pentiti e non a capi della polizia che quei pentiti li ha fatti arrestare, o a capi dei carabinieri», ha detto Contrada a Novi.
AL QUIRINALE - Intanto il legale di Contrada, l'avvocato Giuseppe Lipera, si è recato al Palazzo del Quirinale dove si è recato per «depositare atti e chiedere formalmente un incontro con il capo dello Stato, Giorgio Napolitano». «Sono stato ricevuto da Luigi D'Ambrosio, un magistrato, consigliere del presidente della Repubblica per gli affari della giustizia», ha detto l'avvocato. «A lui ho consegnato la documentazione relativa al caso Contrada, atti che ritengo utili all'attività istruttoria di questa pratica. Poi ho depositato un'istanza formale per parlare con il presidente Napolitano. Ora aspetto una risposta».
31 dicembre 2007 (da corriere.it)
03-01-2008 - 16:56
BRUNO CONTRADA
SANTA MARIA CAPUA VETERE (3 gennaio) - «Mi ha abbracciato e mi ha stretto forte in silenzio, l'ho visto molto agitato e la cosa mi ha ulteriormente ferito». Sono le parole pronunciate da Vittorio Contrada all'uscita del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) dopo la visita al fratello Bruno, l'ex dirigente del Sisde che sta scontando una condanna a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Con Vittorio, commercialista, c'era anche la sorella Ida, il marito di quest'ultima, Giancarlo Tirri, generale a riposo e un nipote. La visita è durata poco più di un'ora. «All'ospedale Cardarelli - ha commentato Vittorio Contrada - volevano fargli una radiografia con le manette dopo averlo rinchiuso 24 ore su 24 in una stanzetta angusta. Questa non è detenzione, lo stanno trattando peggio del 41 bis. Io parlo da familiare - ha aggiunto il fratello di Bruno Contrada - è uno sfogo da familiare che mi è permesso e mi è dovuto, se neanche questo posso fare... Qui tutti possono parlare e noi non possiamo dire mai niente. È una vicenda assurda». «Queste sono torture - ha concluso - non sono punizioni per detenuti, ma punizioni psicologiche». Richiesta scarcerazione. Una nuova istanza di scarcerazione o, in alternativa, la detenzione domiciliare è stata intanto chiesta dal legale di contrada, Giuseppe Lipera, dopo la consulenza del medico legale Carlo Torre che ribadisce le precarie condizioni di salute dell'ex 007. Giovedì sera Contrada è rientrato in carcere dopo alcuni giorni trascorsi all'ospedale Cardarelli di Napoli. L'ex poliziotto era stato ricoverato su disposizione della magistratura per eseguire esami clinici. È stato lo stesso Contrada a chiedere di lasciare l'ospedale in anticipo e di tornare in carcere perché, a suo dire, veniva «trattato come Riina o Provenzano». Le condizioni di salute dell'ex funzionario del Sisde, secondo la perizia di parte del prof. Torre, docente di Medicina legale all'università di Torino, sarebbero incompatibili con la detenzione e Contrada corre il «grave rischio» di «nuovi fatti ischemici cerebrali». Il docente nella consulenza ribadisce poi che Contrada «è depresso» e che «non può restare in carcere». (da ilmessaggero.it)
05-01-2008 - 10:53
CONTRADA
ROMA (4 gennaio) - Come anticipato ieri via fax, la difesa di Bruno Contrada ha depositato nella cancelleria del magistrato di sorveglianza, a Santa Maria Capua Vetere, l'istanza di scarcerazione per l'ex dirigente del Sisde. L'istanza è stata presentata dall'avvocato Grazia Coco, sostituto del legale Giuseppe Lipera. Dopo aver depositato la richiesta, l'avvocato Coco ha avuto un colloquio nel carcere con lo stesso Contrada. Per conoscenza l'istanza è stata trasmessa al Csm, al ministro Mastella e al Procuratore Generale della Corte Suprema di Cassazione. Ieri Bruno Contrada era stato visitato in carcere dal fratello Vittorio, che aveva parlato di vera e propria tortura alla quale viene sottoposto l'ex dirigente del Sisde. (da ilmessaggero.it)
08-01-2008 - 17:27
CONTRADA
Santa Maria Capua Vetere - Il magistrato di sorveglianza, dopo aver esaminato le consulenze sanitarie sullo stato di salute di Bruno Contrada, depositate dalla difesa dell’ex funzionario dei servizi segreti, condannato a dieci anni per associazione mafiosa, ritiene che "non ricorrono tuttora i presupposti per accedere al differimento dell’esecuzione della pena. Nulla quaestio in merito - si legge nel provvedimento del giudice - all’istanza di detenzione domiciliare, misura che nel caso in specie può essere concessa esclusivamente dal tribunale di sorveglianza".
Uscite le motivazioni della sentenza Sono molte e ricche di riscontri le testimonianze dei pentiti contro l'ex dirigente del Sisde, testimonianze che hanno avuto un peso decisivo sulla sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, pronunciata dalla Corte d’appello di Palermo a febbraio del 2006 e poi confermata poco più di un anno dopo dalla Cassazione. Non solo. Contro di lui non c’è stata nessuna cospirazione per incastrarlo. Ecco perché il 10 maggio scorso, la sesta sezione penale della Suprema corte ha confermato la condanna all’ex numero due del Sisde. Le motivazioni sono state rese note soltanto oggi con il deposito della sentenza 542.
Contrada: "Io, un simbolo attaccato dalle istituzioni" "Ho avuto il torto di diventare il simbolo della polizia giudiziaria a Palermo in un trentennio di attività contro la mafia, un periodo in cui lo Stato veniva accusato di avere rapporti con la mafia. Che poi era anche vero, ma la cosa non riguardava certo il settore della polizia". L’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada racconta la sua verità a Sky Tg24: "In tutta la mia vicenda processuale, dall’inizio, mi sono ripromesso un impegno fatto a me stesso: di difendermi e non accusare mai nessuno, e l’ho mantenuto. L’attacco è venuto da una parte che non mi aspettavo, le Istituzioni".
"Vorrei che ci fosse verità sulla mia vicenda: è vero che sono stato condannato con sentenza definitiva, ma - spiega - sono convinto che la mia vicenda giudiziaria non si chiude con questo processo. Sono convinto della necessità di una verità storica, oltre che giudiziaria. Sarebbe opportuno che una commissione parlamentare potesse fare un lavoro approfondito, degli accertamenti: so che ci sono delle proposte da parte di parlamentari per creare una commissione che tratti non solo della mia posizione ma, in generale, dei pentiti, di come sono stati gestiti e arruolati. Credo - ammette però - che sarà difficile, ci sono molti interessi contrari, principalmente della magistratura: sono sicuro che verrebbero fuori dei fatti non edificanti". (da ilgiornale.it)
martedì 1 gennaio 2008
MORTE IN CUSTODIA
Quest’anno sono aumentati anche i suicidi (92 casi per una popolazione carceraria di circa 80.000 persone). Si ritiene, in genere, che il sovraffollamento sia la causa dei suicidi in carcere. Vedi qui http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/7166763.stm Le cifre che trovate si riferiscono solo a Inghilterra e Galles.
Volendo fare qualche confronto, appare encomiabile che già il primo dell’anno siano disponibili cifre accurate: quanto a noi, chissà se mai le vedremo, le nostre. La popolazione di Inghilterra e Galles è numericamente inferiore alla popolazione italiana, ma la popolazione carceraria è assai superiore (circa 80.000 contro circa 50.000 attualmente, e salvi errori). Anche il numero di suicidi è superiore, ancorché il tasso per 100.000 sia approssimativamente eguale (in Italia, una sessantina di casi per 50.000 detenuti). Questo tenderebbe a dimostrare che è la carcerazione in sé il fattore causale del suicidio, anche per il fatto che la composizione della popolazione carceraria potrebbe essere alquanto differente, prevalendo in Inghilterra i cd. “definitivi” e in Italia i cd. “detenuti in attesa di giudizio”. Ma sono dati che non sono per me disponibili.
venerdì 23 novembre 2007
FIGLI DI PUTTANA!
Una minorenne rinchiusa in una cella e violentata per un mese in cambio di cibo
Il governatore dello Stato di Parà, Ana Julia CarepaBRASILIA - A quindici anni è stata rinchiusa in cella per più di un mese assieme ad oltre 20 uomini che l'hanno stuprata ripetutamente, costringendola a subire gli abusi in cambio di cibo. È scandalo in Brasile per una vicenda emersa in seguito alla denuncia dell'organizzazione umanitaria 'Children and Adolescent Defense Center' (Cedeca). Un caso che ha scosso l'opinione pubblica, tanto che il governatore locale, Ana Julia Carepa, ha richiesto «punizioni esemplari» per i responsabili, annunciando l'apertura immediata di un'inchiestaNESSUNA GIUSTIFICAZIONE - Una storia agghiacciante, stando alle ricostruzioni che sono emerse. La giovane sarebbe finita in carcere per un furto (anche se le accuse nei suoi confronti non sarebbero ancoa del tutto chiare). La cosa certa è che il suo ingresso in una prigione dello stato di Parà si è tramutato da subito in un incubo peggiore di quanto potesse immaginare. «È stata stuprata dal primo giorno dai suoi compagni di cella che avevano da 20 a 34 anni», racconta il Cedeca. La giovane era stata arrestata nella capitale di Parà, Abaetetuba, il 21 ottobre, ed era finita in guardina fino a quando qualcuno non ha informato con una soffiata la stampa. La polizia, secondo il legale dell'adolescente, non ha saputo indicare per quale caso di furto fosse stata imprigionata e si è difesa affermando che non si erano accorti che fosse minorenne. «Ma questa non è una giustificazione. Se avesse avuto 15, 20, 50, 80 o 100 anni non doveva essere rinchiusa con altri uomini», ha dichiarato il governatore. PRECEDENTI - I media brasiliani riferiscono però che non si tratta del primo caso del genere: in precedenza una ragazza di 23 anni era stata sbattuta in un altro carcere dello stesso Stato per un mese, stavolta con 70 uomini.
23 novembre 2007