Qualcuno di voi può pensare che talvolta esagero con le questioni concernenti la cd. compatibilità carceraria. Leggi quel che è accaduto a questo vecchietto di 89 anni.
CARCERI: GARANTE LAZIO, MUORE DETENUTO 89ENNE
(AGI) - Roma, 26 set. - E' morto a 89 anni in una clinica di Roma - dove era ricoverato per gravissimi motivi di salute che avevano indotto i giudici a concedere il differimento della pena - nella vana attesa dell'autorizzazione a scontare il resto della pena in Canada, dove risiede la sua famiglia.
Protagonista della storia - segnalata dal Garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni - un cittadino canadese di origine italiana, Antonino Patafi, morto il 19 settembre. Nato in Calabria nel 1921, emigrato negli anni '50 in Canada in cerca di fortuna, l'uomo era stato arrestato nel 1997 per un duplice omicidio, commesso in eta' avanzata in Calabria, legato a questioni patrimoniali. Patafi e' stato detenuto a Rebibbia e Regina Coeli per scontare una pena a 24 anni di reclusione che sarebbe scaduta nel 2016. Senza parenti in Italia (il figlio Francesco ha sempre vissuto in Canada), dal 2008 Patafi aveva presentato domanda per scontare la pena in Canada. Vista l'eta' avanzata, a Regina Coeli Antonino aveva una cella con il campanello; negli anni aveva socializzato con i detenuti e con il personale che garantivano anche un controllo sulla sua salute. A febbraio il Tribunale ha disposto il differimento della pena per gravi motivi di salute. Fuori dal carcere Patafi si e' trovato senza sistemazione, ne' cure mediche. Con una carta d'identita' italiana scaduta nel 1957, per i servizi territoriali era, infatti, inesistente. Per questo il Garante si e' adoperato per assicurargli un documento d'identita' necessario ad iscriverlo al Servizio Sanitario Regionale. A giugno, dopo vari ricoveri tra Caritas, ospedali, centri di accoglienza e strutture onlus, Patafi entrava in una clinica privata a spese della famiglia. Dal punto di vista giudiziario dopo il nulla osta, lo scorso aprile, del Canada al suo trasferimento, il Ministero della Giustizia - sollecitato da Garante, Ambasciata canadese e avvocato - a giugno dava il suo parere favorevole. Per far tornare Antonino in Canada mancava solo il nulla osta del Tribunale di Reggio Calabria. L'udienza e' stata fissata il 1 ottobre. Troppo tardi per Antonino, morto il 19 settembre. "Aveva 89 anni e, nelle condizioni di salute in cui si trovava, non credo potesse piu' nuocere alla societa', eppure a quest'uomo e' stata negata la possibilita' di morire col conforto dei familiari - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni. - Questo ufficio,l'ambasciata canadese, i volontari hanno fatto di tutto per consentirgli di vivere dignitosamente questi mesi di attesa. Autorizzarlo a tornare, peraltro in carcere, sarebbe stato un gesto di umana pieta' che, purtroppo, le lungaggini burocratiche hanno impedito di compiere. Un finale ancor piu' beffardo se si considera che, contro il sovraffollamento, si invoca il trasferimento dei detenuti stranieri nei loro Paesi di origine.
Qui c'era un uomo che lo aveva chiesto, non solo bastati mesi per accontentarlo".
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sabato 26 settembre 2009
CARCERE INUMANO
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lunedì 7 settembre 2009
INCOMPATIBILITA' CARCERARIA
INCOMPATIBILITA’ CARCERARIA
Il concetto di “incompatibilità carceraria”, inteso come impossibilità di far sussistere insieme la patologia di un soggetto con la sua condizione di detenuto, senza che vi siano conseguenze dannose per la sua salute, è stato elaborato dagli studiosi del diritto proprio a garanzia del principio di cui all’art.32 Cost. Nel carcere il rapporto salute-sicurezza s’inverte, ovvero, l’esigenza della difesa sociale, realizzata con la pena inflitta, deve cedere il posto alla prioritaria assicurazione della salute individuale del detenuto ;quindi la pena detentiva, deve rispettare il senso di umanità invocato con l’art 27 della costituzione. Si deduce così, come lo stato della salute del detenuto, incida sulla possibilità del differimento della pena. Oltre alla detta condizione sanitaria del soggetto detenuto, affinché si realizzi la condizione d’incompatibilità, è necessaria anche la presenza di strutture sanitarie penitenziarie inidonee, incapaci di fronteggiare la situazione clinica del soggetto. Da quanto detto sì deduce, che in realtà sussiste una condizione di relativizzazione del concetto d’incompatibilità, che quindi è dipendente sia dalla condizione clinica osservata, che dalla capacità della struttura penitenziaria a garantire cure idonee. Il Giudice, quindi, deve verificare non solo l’entità della patologia e le conseguenze che da essa possono derivarne, ma anche se tale malattia sia curabile nella struttura sanitaria dell’Istituto di reclusione o in altro luogo esterno di cura. Inoltre, è bene ricordare, che per la Cassazione 7.7.1994, n.2080, le condizioni di guaribilità o di reversibilità della malattia, non sono elementi considerabili , infatti in tale sentenza si legge:"La guaribilità o reversibilità della malattia non sono requisiti richiesti dalla normativa vigente in tema di differimento dell'esecuzione della pena, per la cui concessione è sufficiente che l'infermità sia di tale rilevanza da far apparire l'espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità."
La sospensione della pena detentiva è prevista dagli artt 147 e 146 del c.p. L’art 147 prevede il differimento facoltativo della pena detentiva:
“1) se è presentata domanda di grazia, in tal caso l’esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore a sei mesi, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata;
2) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;
3) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni, ma il provvedimento sarà revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio”.
A questo punto è bene sottolineare, che la Corte costituzionale nella sentenza 114/79 ha chiarito il concetto di grave infermità fisica, espresso dall’ art. suddetto, intendendolo come condizione fisica "non suscettibile di guarigione mediante le cure o l'assistenza medica disponibili nel luogo di esecuzione”. L’art.147 trova le sue fondamenta nella sentenza di Cassazione penale del 4.2.1997, n.6283, Calzolaio,che afferma:”La ragione ispiratrice dell'art.147 è quella di evitare al condannato trattamenti inumani e la sua sottomissione ad una pena di fatto più grave di quella irrogatagli, in quanto espiata in uno stato di menomazione fisica di tale rilevanza da implicare necessariamente, oltre alla preoccupazione legata ad un eventuale giudizio di inadeguatezza dell'assistenza sanitaria, istituzionalmente garantita, anche il profondo disagio morale prodotto dal particolare tipo di vita imposto dal carcere a chi, non solo non può più approfittare dell'opportunità offertagli per la sua rieducazione, ma vede amplificarsi senza rimedio gli aspetti negativi: a tali criteri il giudice deve riferirsi ai fini della decisione".
L’art.146 c.p. prevede il differimento obbligatorio della pena detentiva:
1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta, in tal caso è prevista la revoca del differimento se la gravidanza s’ interrompe;
2) se deve aver luogo nei confronti di madre d’ infante di età inferiore ad anni uno, ma qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio, il differimento della pena viene revocato;
3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.
V.4.a. Affinché si configuri la “incompatibilità carceraria”, la giurisprudenza della Corte di Cassazione richiede il requisito della “grave infermità fisica” senza, peraltro, preoccuparsi di prevedere una incompatibilità derivante da infermità psichica o mentale nè di dare una interpretazione univoca del concetto in esame. In alcuni casi, la Corte ha dato una definizione molto ampia ed estensiva di “grave infermità fisica”. Tale orientamento emerge da una lunga serie di sentenze:
Cass. pen., sez.VI, 27 settembre 1986 (c.c. 6 agosto 1986, n. 1361), Celentano:”Ai fini del differimento dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale consentito ai sensi dell'articolo 147, primo comma n.2 codice penale, per chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, deve ritenersi grave non esclusivamente quello stato patologico del condannato che determina il pericolo di morte, ma pure ogni altro stato di infermità fisica che cagioni il pericolo di altre rilevanti conseguenze dannose o, quantomeno, esiga un trattamento che non si possa attuare in ambiente carcerario e che necessariamente abbia probabilità di regressione nel senso del recupero, totale o parziale, dello stato di salute".
Cass. pen., sez. I, 14 marzo 1987 (c.c. 15 dicembre 1986, n. 304), Messina:" Ai fini del differimento dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale ex articolo 147, con decreto pen., non è sufficiente che l'infermità fisica menomi in maniera anche rilevante la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà, ma è necessario invece, che l'infermità sia di tale gravità da far apparire l'espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma costituzionale. Neanche la prognosi infausta quoad vitam crea, automaticamente, un contrasto fra l'esecuzione della pena ed il senso di umanità né rende di per sé operativa la disposizione dell'articolo 147 n. 2 codice penale, ma occorre che la malattia sia, allo stato, di tale gravità da escludere, ad un tempo, la pericolosità del condannato e la sua capacità di avvertire l'effetto rieducativo del trattamento penitenziario."
Cassazione penale 26.10.87, Nuvoletta :"L'esecuzione della pena dovrà essere differita quando la struttura penitenziaria, tenuto anche conto della possibilità del ricovero esterno, non si riveli in grado di provvedere alla cura ed all'assistenza sanitaria adeguate all'obiettiva gravità del caso, sì che appaia fondata la previsione che si fatte carenze abbiano a determinare effetti dannosi sullo stato del condannato. Se così non fosse l'esecuzione della pena verrebbe illegittimamente ad incidere sul diritto alla salute costituzionalmente a tutti riconosciuto (art.32 Cost.) e si risolverebbe in un trattamento contrario al senso di umanità cui la stessa deve ispirarsi."
Cass. sez. I, 17 novembre 1989, Mondino, n. 2607 :" L'articolo 147, primo comma, n. 2, codice penale, non prevede il differimento dell'esecuzione della pena in presenza di una qualunque infermità ma richiede l'esistenza di una grave infermità e se è vero che la gravità va valutata non in assoluto ma in relazione al bisogno di cure e alla loro praticabilità nello stato di detenzione, è altresì vero che ciò che giustifica il differimento è l'impossibilità di praticare utilmente le cure nel corso dell'esecuzione e non la semplice possibilità di praticarle meglio fuori dall’ambiente carcerario”.
Cass. pen. Sez. I, 17 gennaio 1991, Cosentino, n. 4228.
" Ai fini del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena e nell'ipotesi di esecuzione di pena restrittiva della libertà personale nei confronti di chi si trova in condizione di grave infermità fisica, non assume rilevanza il carattere cronico ovvero inguaribile della malattia, atteso che il requisito della guaribilità o della reversibilità dell'infermità non è previsto dalla citata disposizione. È, invece, necessario che il giudice valuti se l'infermità fisica del soggetto abbia o meno la possibilità di trarre giovamento, nello stato di libertà, di cure e trattamento sostanzialmente diversi e più efficaci di quelli che possono essere prestati nelle apposite istituzioni e strutture sanitarie penitenziarie. La mera osservazione di compatibilità dell'infermità con il regime penitenziario non soddisfa, pertanto, l'obbligo di motivazione sulla sussistenza o meno del diritto al differimento dell'esecuzione della pena, mancando in tal caso l'esame e la valutazione dell'eventuale incidenza dell'infermità adotta, in caso di permanenza del regime carcerario , sulla salute del detenuto”.
Cass. Sez. I, 25 gennaio 1991, Racca,n. 4363:" Per la concessione del differimento della pena restrittiva della libertà personale che deve essere eseguito contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, occorre la sussistenza di una malattia grave, tale cioè da porre in pericolo la vita del condannato o provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa agevolmente attuare nello stato di detenzione. Il giudizio sulla gravità ha carattere relativo giacchè si fonda sul rapporto tra condizione individuale del soggetto e condizione dell'ambiente carcerario e, pertanto, l'accertata infermità costituirà causa possibile di differimento non solo perchè grave nel senso sopra indicato, ma soprattutto in quanto potenzialmente aggravata dalla condizione carceraria. Non può, invece, assumere rilevanza il carattere cronico ed inguaribile della malattia dato che il requisito della guaribilità o della reversibilità della infermità non è richiesto dalla norma”.
Cass. pen., sez.I, 3 marzo 1992, n. 358 (c.c. 27 gennaio 1992), Viola. " In tema di sospensione dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica la durata della pena da espiare è ininfluente ai fini della valutazione dei presupposti della sospensione. Quest'ultima invero si pone in rapporto alla necessità di evitare che l'esecuzione della pena si risolva in un inutile aggravio di sofferenza per il condannato, venendo in tal modo ad incidere su due principi di rilievo costituzionale, vale a dire il divieto dei trattamenti inumani e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; principi che vanno, però, comparati con quello della certezza dell'esecuzione della pena”.
Cass.pen., sez. I, 6 luglio 1992, n.2819, Piromalli." La potestà punitiva dello stato, che l'esecuzione della pena attua con la costrizione del condannato, ha un limite costituito dalla tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo (articolo 32 Costituzione), che neppure la generale inderogabilità dell'esecuzione della condanna può sopravanzare allorquando la pena, per le condizioni di grave infermità fisica del soggetto finisca per costituire un trattamento contrario al senso di umanità, così perdendo la tendenza alla rieducazione. Nella motivazione del potere di rinvio di esecuzione della pena, il giudice di merito deve dare ragione delle sue scelte, bilanciando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (articolo 3 Costit.) con quelli della tutela della salute (articolo 32 Costit.) e del senso di umanità (articolo 27 Costit.) che deve caratterizzare l'esecuzione della pena, per modo che in sede di legittimità se ne possa valutare la correttezza e la completezza.
Sentenza del 24.5.1995, n.4727 stabilisce: "è necessario che ci si trovi in presenza di prognosi infausta quoad vitam oppure che il soggetto abbia bisogno di cure e trattamenti indispensabili tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art.11 dell'ordinamento penitenziario"
Cass. Sez. I, 17 maggio 1997,n. 3046." Ai fini del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, nel caso previsto dall'articolo 147, 1ºc. n. 2, codice penale deve farsi riferimento soltanto alla oggettiva gravità dell'infermità fisica, la quale sia tale da dar luogo, cumulata alla ordinaria afflittività della restrizione della libertà, ad un trattamento contrario al senso di umanità e ad una sostanziale elusione del diritto individuale, costituzionalmente garantito, alla tutela della salute da parte dell’ordinamento”.
V.4.b. Un detenuto affetto da AIDS o le sue diverse manifestazioni cliniche: AIDS conclamato, Sindrome correlata all’AIDS (ARC), Linfoadenopatia persistente (LAS), determina numerose problematiche all’Amministrazione penitenziaria. Il paziente-detenuto deve eseguire periodicamente, controlli e accertamenti, con lo scopo di monitorizzare la patologia e di identificare precocemente eventuali infezioni opportunistiche, inoltre deve essere sottoposto a terapia antiretrovirale, con l’utilizzo di farmaci estremamente tossici che obbligano i detenuti a subire accertamenti diagnostici frequenti per poter monitorizzare l’effetto tossico subìto dall’organismo da dette somministrazioni. L’utilizzo dei farmaci antiretrovirali è limitato esclusivamente ai reparti di malattie infettive ospedaliere e universitarie o altri centri, dediti al trattamento dell’HIV, escludendo così la possibilità di trattare il detenuto malato nelle strutture di detenzione. Purtuttavia è obbligo dell’Amministrazione carceraria, tentare di garantire al detenuto le stesse possibilità terapeutiche del soggetto non detenuto, per cui i sanitari che lavorano nei penitenziari tentano comunque un approccio terapeutico.
E’ bene sottolineare, che in base n.135 del 05-06-1990, l’effettuazione del test dell’HIV deve essere rivolto solo ai soggetti consenzienti, per cui la maggior parte dei detenuti si oppongono allo screening infettivologico. Dalla situazione appena detta, emerge l’impossibilità di monitorizzare la situazione carceraria, sotto il profilo infettivo; tuttavia dei dati statistici ottenuti nel corso dell’anno 2002 (tabella sotto)ci possono approssimativamente far vedere la situazione infettivologica dell’ HIV, nelle carceri italiane.
DETENUTI SOTTOPOSTI AL TEST DELL’ HIV
Il concetto di “incompatibilità carceraria”, inteso come impossibilità di far sussistere insieme la patologia di un soggetto con la sua condizione di detenuto, senza che vi siano conseguenze dannose per la sua salute, è stato elaborato dagli studiosi del diritto proprio a garanzia del principio di cui all’art.32 Cost. Nel carcere il rapporto salute-sicurezza s’inverte, ovvero, l’esigenza della difesa sociale, realizzata con la pena inflitta, deve cedere il posto alla prioritaria assicurazione della salute individuale del detenuto ;quindi la pena detentiva, deve rispettare il senso di umanità invocato con l’art 27 della costituzione. Si deduce così, come lo stato della salute del detenuto, incida sulla possibilità del differimento della pena. Oltre alla detta condizione sanitaria del soggetto detenuto, affinché si realizzi la condizione d’incompatibilità, è necessaria anche la presenza di strutture sanitarie penitenziarie inidonee, incapaci di fronteggiare la situazione clinica del soggetto. Da quanto detto sì deduce, che in realtà sussiste una condizione di relativizzazione del concetto d’incompatibilità, che quindi è dipendente sia dalla condizione clinica osservata, che dalla capacità della struttura penitenziaria a garantire cure idonee. Il Giudice, quindi, deve verificare non solo l’entità della patologia e le conseguenze che da essa possono derivarne, ma anche se tale malattia sia curabile nella struttura sanitaria dell’Istituto di reclusione o in altro luogo esterno di cura. Inoltre, è bene ricordare, che per la Cassazione 7.7.1994, n.2080, le condizioni di guaribilità o di reversibilità della malattia, non sono elementi considerabili , infatti in tale sentenza si legge:"La guaribilità o reversibilità della malattia non sono requisiti richiesti dalla normativa vigente in tema di differimento dell'esecuzione della pena, per la cui concessione è sufficiente che l'infermità sia di tale rilevanza da far apparire l'espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità."
La sospensione della pena detentiva è prevista dagli artt 147 e 146 del c.p. L’art 147 prevede il differimento facoltativo della pena detentiva:
“1) se è presentata domanda di grazia, in tal caso l’esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore a sei mesi, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata;
2) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;
3) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni, ma il provvedimento sarà revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio”.
A questo punto è bene sottolineare, che la Corte costituzionale nella sentenza 114/79 ha chiarito il concetto di grave infermità fisica, espresso dall’ art. suddetto, intendendolo come condizione fisica "non suscettibile di guarigione mediante le cure o l'assistenza medica disponibili nel luogo di esecuzione”. L’art.147 trova le sue fondamenta nella sentenza di Cassazione penale del 4.2.1997, n.6283, Calzolaio,che afferma:”La ragione ispiratrice dell'art.147 è quella di evitare al condannato trattamenti inumani e la sua sottomissione ad una pena di fatto più grave di quella irrogatagli, in quanto espiata in uno stato di menomazione fisica di tale rilevanza da implicare necessariamente, oltre alla preoccupazione legata ad un eventuale giudizio di inadeguatezza dell'assistenza sanitaria, istituzionalmente garantita, anche il profondo disagio morale prodotto dal particolare tipo di vita imposto dal carcere a chi, non solo non può più approfittare dell'opportunità offertagli per la sua rieducazione, ma vede amplificarsi senza rimedio gli aspetti negativi: a tali criteri il giudice deve riferirsi ai fini della decisione".
L’art.146 c.p. prevede il differimento obbligatorio della pena detentiva:
1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta, in tal caso è prevista la revoca del differimento se la gravidanza s’ interrompe;
2) se deve aver luogo nei confronti di madre d’ infante di età inferiore ad anni uno, ma qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio, il differimento della pena viene revocato;
3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.
V.4.a. Affinché si configuri la “incompatibilità carceraria”, la giurisprudenza della Corte di Cassazione richiede il requisito della “grave infermità fisica” senza, peraltro, preoccuparsi di prevedere una incompatibilità derivante da infermità psichica o mentale nè di dare una interpretazione univoca del concetto in esame. In alcuni casi, la Corte ha dato una definizione molto ampia ed estensiva di “grave infermità fisica”. Tale orientamento emerge da una lunga serie di sentenze:
Cass. pen., sez.VI, 27 settembre 1986 (c.c. 6 agosto 1986, n. 1361), Celentano:”Ai fini del differimento dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale consentito ai sensi dell'articolo 147, primo comma n.2 codice penale, per chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, deve ritenersi grave non esclusivamente quello stato patologico del condannato che determina il pericolo di morte, ma pure ogni altro stato di infermità fisica che cagioni il pericolo di altre rilevanti conseguenze dannose o, quantomeno, esiga un trattamento che non si possa attuare in ambiente carcerario e che necessariamente abbia probabilità di regressione nel senso del recupero, totale o parziale, dello stato di salute".
Cass. pen., sez. I, 14 marzo 1987 (c.c. 15 dicembre 1986, n. 304), Messina:" Ai fini del differimento dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale ex articolo 147, con decreto pen., non è sufficiente che l'infermità fisica menomi in maniera anche rilevante la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà, ma è necessario invece, che l'infermità sia di tale gravità da far apparire l'espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma costituzionale. Neanche la prognosi infausta quoad vitam crea, automaticamente, un contrasto fra l'esecuzione della pena ed il senso di umanità né rende di per sé operativa la disposizione dell'articolo 147 n. 2 codice penale, ma occorre che la malattia sia, allo stato, di tale gravità da escludere, ad un tempo, la pericolosità del condannato e la sua capacità di avvertire l'effetto rieducativo del trattamento penitenziario."
Cassazione penale 26.10.87, Nuvoletta :"L'esecuzione della pena dovrà essere differita quando la struttura penitenziaria, tenuto anche conto della possibilità del ricovero esterno, non si riveli in grado di provvedere alla cura ed all'assistenza sanitaria adeguate all'obiettiva gravità del caso, sì che appaia fondata la previsione che si fatte carenze abbiano a determinare effetti dannosi sullo stato del condannato. Se così non fosse l'esecuzione della pena verrebbe illegittimamente ad incidere sul diritto alla salute costituzionalmente a tutti riconosciuto (art.32 Cost.) e si risolverebbe in un trattamento contrario al senso di umanità cui la stessa deve ispirarsi."
Cass. sez. I, 17 novembre 1989, Mondino, n. 2607 :" L'articolo 147, primo comma, n. 2, codice penale, non prevede il differimento dell'esecuzione della pena in presenza di una qualunque infermità ma richiede l'esistenza di una grave infermità e se è vero che la gravità va valutata non in assoluto ma in relazione al bisogno di cure e alla loro praticabilità nello stato di detenzione, è altresì vero che ciò che giustifica il differimento è l'impossibilità di praticare utilmente le cure nel corso dell'esecuzione e non la semplice possibilità di praticarle meglio fuori dall’ambiente carcerario”.
Cass. pen. Sez. I, 17 gennaio 1991, Cosentino, n. 4228.
" Ai fini del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena e nell'ipotesi di esecuzione di pena restrittiva della libertà personale nei confronti di chi si trova in condizione di grave infermità fisica, non assume rilevanza il carattere cronico ovvero inguaribile della malattia, atteso che il requisito della guaribilità o della reversibilità dell'infermità non è previsto dalla citata disposizione. È, invece, necessario che il giudice valuti se l'infermità fisica del soggetto abbia o meno la possibilità di trarre giovamento, nello stato di libertà, di cure e trattamento sostanzialmente diversi e più efficaci di quelli che possono essere prestati nelle apposite istituzioni e strutture sanitarie penitenziarie. La mera osservazione di compatibilità dell'infermità con il regime penitenziario non soddisfa, pertanto, l'obbligo di motivazione sulla sussistenza o meno del diritto al differimento dell'esecuzione della pena, mancando in tal caso l'esame e la valutazione dell'eventuale incidenza dell'infermità adotta, in caso di permanenza del regime carcerario , sulla salute del detenuto”.
Cass. Sez. I, 25 gennaio 1991, Racca,n. 4363:" Per la concessione del differimento della pena restrittiva della libertà personale che deve essere eseguito contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, occorre la sussistenza di una malattia grave, tale cioè da porre in pericolo la vita del condannato o provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa agevolmente attuare nello stato di detenzione. Il giudizio sulla gravità ha carattere relativo giacchè si fonda sul rapporto tra condizione individuale del soggetto e condizione dell'ambiente carcerario e, pertanto, l'accertata infermità costituirà causa possibile di differimento non solo perchè grave nel senso sopra indicato, ma soprattutto in quanto potenzialmente aggravata dalla condizione carceraria. Non può, invece, assumere rilevanza il carattere cronico ed inguaribile della malattia dato che il requisito della guaribilità o della reversibilità della infermità non è richiesto dalla norma”.
Cass. pen., sez.I, 3 marzo 1992, n. 358 (c.c. 27 gennaio 1992), Viola. " In tema di sospensione dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica la durata della pena da espiare è ininfluente ai fini della valutazione dei presupposti della sospensione. Quest'ultima invero si pone in rapporto alla necessità di evitare che l'esecuzione della pena si risolva in un inutile aggravio di sofferenza per il condannato, venendo in tal modo ad incidere su due principi di rilievo costituzionale, vale a dire il divieto dei trattamenti inumani e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; principi che vanno, però, comparati con quello della certezza dell'esecuzione della pena”.
Cass.pen., sez. I, 6 luglio 1992, n.2819, Piromalli." La potestà punitiva dello stato, che l'esecuzione della pena attua con la costrizione del condannato, ha un limite costituito dalla tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo (articolo 32 Costituzione), che neppure la generale inderogabilità dell'esecuzione della condanna può sopravanzare allorquando la pena, per le condizioni di grave infermità fisica del soggetto finisca per costituire un trattamento contrario al senso di umanità, così perdendo la tendenza alla rieducazione. Nella motivazione del potere di rinvio di esecuzione della pena, il giudice di merito deve dare ragione delle sue scelte, bilanciando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (articolo 3 Costit.) con quelli della tutela della salute (articolo 32 Costit.) e del senso di umanità (articolo 27 Costit.) che deve caratterizzare l'esecuzione della pena, per modo che in sede di legittimità se ne possa valutare la correttezza e la completezza.
Sentenza del 24.5.1995, n.4727 stabilisce: "è necessario che ci si trovi in presenza di prognosi infausta quoad vitam oppure che il soggetto abbia bisogno di cure e trattamenti indispensabili tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art.11 dell'ordinamento penitenziario"
Cass. Sez. I, 17 maggio 1997,n. 3046." Ai fini del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, nel caso previsto dall'articolo 147, 1ºc. n. 2, codice penale deve farsi riferimento soltanto alla oggettiva gravità dell'infermità fisica, la quale sia tale da dar luogo, cumulata alla ordinaria afflittività della restrizione della libertà, ad un trattamento contrario al senso di umanità e ad una sostanziale elusione del diritto individuale, costituzionalmente garantito, alla tutela della salute da parte dell’ordinamento”.
V.4.b. Un detenuto affetto da AIDS o le sue diverse manifestazioni cliniche: AIDS conclamato, Sindrome correlata all’AIDS (ARC), Linfoadenopatia persistente (LAS), determina numerose problematiche all’Amministrazione penitenziaria. Il paziente-detenuto deve eseguire periodicamente, controlli e accertamenti, con lo scopo di monitorizzare la patologia e di identificare precocemente eventuali infezioni opportunistiche, inoltre deve essere sottoposto a terapia antiretrovirale, con l’utilizzo di farmaci estremamente tossici che obbligano i detenuti a subire accertamenti diagnostici frequenti per poter monitorizzare l’effetto tossico subìto dall’organismo da dette somministrazioni. L’utilizzo dei farmaci antiretrovirali è limitato esclusivamente ai reparti di malattie infettive ospedaliere e universitarie o altri centri, dediti al trattamento dell’HIV, escludendo così la possibilità di trattare il detenuto malato nelle strutture di detenzione. Purtuttavia è obbligo dell’Amministrazione carceraria, tentare di garantire al detenuto le stesse possibilità terapeutiche del soggetto non detenuto, per cui i sanitari che lavorano nei penitenziari tentano comunque un approccio terapeutico.
E’ bene sottolineare, che in base n.135 del 05-06-1990, l’effettuazione del test dell’HIV deve essere rivolto solo ai soggetti consenzienti, per cui la maggior parte dei detenuti si oppongono allo screening infettivologico. Dalla situazione appena detta, emerge l’impossibilità di monitorizzare la situazione carceraria, sotto il profilo infettivo; tuttavia dei dati statistici ottenuti nel corso dell’anno 2002 (tabella sotto)ci possono approssimativamente far vedere la situazione infettivologica dell’ HIV, nelle carceri italiane.
DETENUTI SOTTOPOSTI AL TEST DELL’ HIV
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venerdì 29 maggio 2009
COMPATIBILITA' CARCERARIA E TORTURA
Napoli, 28 mag. (Adnkronos) - Portato via da casa sua e' stato trasferito nel carcere napoletano di Poggioreale per scontare una pena detentiva diventata definitiva per un reato commesso nel 1995. Ma e' diventato tetraplegico, costretto a stare a letto da anni. E' Stefano Anastasia, difensore civico di 'Antigone', l'associazione che si batte per i diritti nelle carceri a denunciare la vicenda dell'uomo, condannato a sette anni e sei mesi per ricettazione e riciclaggio. "Gia' non e' tanto normale andare in carcere quattordici anni dopo. Ma - afferma Anastasia - in Italia succede". Stupisce invece, rileva, il fatto di "portare in carcere un tetraplegico. Come fa un uomo in quelle condizioni ad affrontare una carcerazione neanche tanto breve (piu' di quattro anni, grazie al benedetto indulto)?''.
Anastasia racconta che e' stata "avanzata domanda di scarcerazione per motivi di salute: sospensione della pena o detenzione domiciliare, ma il Tribunale di sorveglianza nell'udienza fissata al 25 maggio non decise. Non puo' farlo. Manca la perizia richiesta alla direzione sanitaria dell'Istituto penitenziario''. ''E' passato un mese dalla carcerazione di quest'uomo - conclude - e il Tribunale si aggiorna al 22 di giugno: un altro mese, in carcere, da tetraplegico''.
Se le cose stanno come detto nella nota di Adnkronos, non esito ad affermare che siamo di fronte ad un atto di tortura. Un tetraplegico infatti è persona che non è in grado di usare tutti e quattro gli arti, e che ovviamente ha assoluto bisogno dell'aiuto altrui. Il Tribunale di Sorveglianza deve fare un esame di coscienza e decidere di conseguenza, e nei tempi più stretti, di mandare a casa questo disgraziato, che è già stato punito abbastanza.
Anastasia racconta che e' stata "avanzata domanda di scarcerazione per motivi di salute: sospensione della pena o detenzione domiciliare, ma il Tribunale di sorveglianza nell'udienza fissata al 25 maggio non decise. Non puo' farlo. Manca la perizia richiesta alla direzione sanitaria dell'Istituto penitenziario''. ''E' passato un mese dalla carcerazione di quest'uomo - conclude - e il Tribunale si aggiorna al 22 di giugno: un altro mese, in carcere, da tetraplegico''.
Se le cose stanno come detto nella nota di Adnkronos, non esito ad affermare che siamo di fronte ad un atto di tortura. Un tetraplegico infatti è persona che non è in grado di usare tutti e quattro gli arti, e che ovviamente ha assoluto bisogno dell'aiuto altrui. Il Tribunale di Sorveglianza deve fare un esame di coscienza e decidere di conseguenza, e nei tempi più stretti, di mandare a casa questo disgraziato, che è già stato punito abbastanza.
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mercoledì 23 luglio 2008
BRUNO CONTRADA
La Procura generale finalmente approva il differimento della pena per Bruno Contrada. Leggi
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200807articoli/35039girata.asp
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200807articoli/35039girata.asp
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lunedì 7 luglio 2008
COMPATIBILITA' CARCERARIA
Fino a 5.000 euro per attestazioni che avvaloravano incompatibilità con la detenzioneTra i fermati un dottore del Policlinico Gemelli. Beneficiari noti esponenti della malavita
Roma, scarcerati con falsi certificatiDodici arresti, 2 medici in manette
La conferenza stampa della squadra mobileROMA - Fino a 5.000 euro per ottenere un falso certificato medico che riapriva le porte del carcere. Arrestate a Roma 12 persone, tra le quali due medici. Avvaloravano tossicodipendenze e alcolismo per consentire ai detenuti di tornare in libertà. Dietro compenso, i medici compiacenti certificavano pure la frequenza ai programmi di riabilitazione. In manette anche Armando Colombo Taranto, medico responsabile dell'ambulatorio psichiatrico per alcolisti e tossicodipendenti del Policlinico Gemelli, e l'assistente sociale Paola Di Nasci, in servizio al day hospital di psichiatria dell'ospedale. Arrestato anche un secondo medico, libero professionista. Per poter ricostruire il giro dei falsi certificati, la polizia ha sequestrato decine di cartelle cliniche custodite negli archivi della struttura sanitaria. "Ma l'ospedale - tengono a precisare i magistrati - non c'entra. Il procedimento penale è indirizzato contro medici del Policlinico, non contro la struttura sanitaria". Dei vantaggi offerti dai medici compiacenti usufruivano noti esponenti della malavita. Anche il cammorista Giorgio Lago, esponente dell'omonimo clan, avrebbe beneficiato dei falsi certificati. Secondo la polizia, si sarebbe costituito a Rebibbia già sicuro di riottenere la libertà con l'attestazione fasulla. I medici avvaloravano depressioni, stati di alcolismo e tossicodipendenza che venivano utilizzati per legittimare l'incompatibilità con il regime carcerario. I reati contestati agli indagati, a seconda delle posizioni, vanno dalla corruzione al falso in atto pubblico, dal falso in atti destinati all'autorità giudiziaria all'abuso d'ufficio. (7 luglio 2008) (da repubblica.it)
Roma, scarcerati con falsi certificatiDodici arresti, 2 medici in manette
La conferenza stampa della squadra mobileROMA - Fino a 5.000 euro per ottenere un falso certificato medico che riapriva le porte del carcere. Arrestate a Roma 12 persone, tra le quali due medici. Avvaloravano tossicodipendenze e alcolismo per consentire ai detenuti di tornare in libertà. Dietro compenso, i medici compiacenti certificavano pure la frequenza ai programmi di riabilitazione. In manette anche Armando Colombo Taranto, medico responsabile dell'ambulatorio psichiatrico per alcolisti e tossicodipendenti del Policlinico Gemelli, e l'assistente sociale Paola Di Nasci, in servizio al day hospital di psichiatria dell'ospedale. Arrestato anche un secondo medico, libero professionista. Per poter ricostruire il giro dei falsi certificati, la polizia ha sequestrato decine di cartelle cliniche custodite negli archivi della struttura sanitaria. "Ma l'ospedale - tengono a precisare i magistrati - non c'entra. Il procedimento penale è indirizzato contro medici del Policlinico, non contro la struttura sanitaria". Dei vantaggi offerti dai medici compiacenti usufruivano noti esponenti della malavita. Anche il cammorista Giorgio Lago, esponente dell'omonimo clan, avrebbe beneficiato dei falsi certificati. Secondo la polizia, si sarebbe costituito a Rebibbia già sicuro di riottenere la libertà con l'attestazione fasulla. I medici avvaloravano depressioni, stati di alcolismo e tossicodipendenza che venivano utilizzati per legittimare l'incompatibilità con il regime carcerario. I reati contestati agli indagati, a seconda delle posizioni, vanno dalla corruzione al falso in atto pubblico, dal falso in atti destinati all'autorità giudiziaria all'abuso d'ufficio. (7 luglio 2008) (da repubblica.it)
mercoledì 25 giugno 2008
BRUNO CONTRADA
Palermo, 25 giu. (Apcom) - "Se ancora la medicina non ha stabilito 'i limiti dell'umana tollerabilità' del regime carcerario, esisterà pure un limite, per qualcuno, all'umana disumanità". Si chiude così la relazione del consulente di parte, dottoressa Agnesina Pozzi, che ha visitato in carcere l'ex numero tre del Sisde, Bruno Contrada.
Per il medico legale Contrada è completamente incompatibile con qualunque regime detentivo. "La sua ulteriore permanenza in carcere, non solo peggiora le sue già gravi condizioni (prova ne è l'abbassamento delle piastrine, del ferro e la proteinuria sopraggiunti) ma lo mette a serio rischio di vita. Di tanto accanimento si dovrà rispondere non tanto davanti agli uomini, quanto davanti a Dio, Giudice Supremo."
"Egregi Avvocati - scrive La Pozzi ai difensori Giuseppe Lipera e Graziella Coco - vi esorto a porre in essere tutte le azioni possibili per interrompere con ogni mezzo ed in tempi brevi il supplizio inferto a Bruno Contrada. Che cessi!"
Per il medico legale Contrada è completamente incompatibile con qualunque regime detentivo. "La sua ulteriore permanenza in carcere, non solo peggiora le sue già gravi condizioni (prova ne è l'abbassamento delle piastrine, del ferro e la proteinuria sopraggiunti) ma lo mette a serio rischio di vita. Di tanto accanimento si dovrà rispondere non tanto davanti agli uomini, quanto davanti a Dio, Giudice Supremo."
"Egregi Avvocati - scrive La Pozzi ai difensori Giuseppe Lipera e Graziella Coco - vi esorto a porre in essere tutte le azioni possibili per interrompere con ogni mezzo ed in tempi brevi il supplizio inferto a Bruno Contrada. Che cessi!"
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sabato 19 aprile 2008
BRUNO CONTRADA
Contro l'accanimento carcerario Contrada chiede di morire
di Lillo Maiolino
Article content:
Ormai debole e provato sia nel fisico che nella volontà, Bruno Contrada aspetta con rassegnazione, ma probabilmente anche come liberazione dal suo lungo calvario giudiziario, la “sentenza” di Dio. Attraverso la sorella, infatti, l’ex dirigente del SISDE ha chiesto l’autorizzazione all’eutanasia.
“È l’unico modo per mettere fine alle sue pene – ha dichiarato la sorella Anna Contrada – la quale ha presentato al giudice tutelare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere la “formale autorizzazione per uccidere legalmente il fratello”.
A depositare la richiesta è stato l’avvocato di Contrada, Giuseppe Lipera, che in tutti questi mesi si è adoperato con ogni forza affinché fosse trovata una soluzione fuori dal carcere, per gli ultimi anni, o forse mesi di vita, che rimangono all’ex poliziotto.
Alla fine, però, con l’opinione divisa tra favorevoli e contrari alla richiesta di grazia o comunque di prosecuzione della pena fuori dal carcere, Bruno Contrada seriamente malato, continua a rimanere dietro le sbarre.
L’ex dirigente del SISDE, infatti, sconta una pena di 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo un lungo calvario processuale e la testimonianza di numerosi pentiti di mafia - alcuni dei quali fatti arrestare da Contrada stesso negli anni di servizio al SISDE -; durante i processi ha subito una condanna in primo grado, l’assoluzione in appello, e successivamente, con l’annullamento da parte della Cassazione della sentenza d’appello, un nuovo processo che l’ha portato alla condanna che sta scontando.
Bruno Contrada ha ormai 76 anni ed è segnato dal diabete e dal pericolo di attacchi ischemici. A dirlo non sono solo i familiari e il suo legale. Pochi mesi fa, infatti, una perizia di parte ha stabilito che le sue condizioni risultano critiche. Il prof. Carlo Torre, docente di Medicina legale all’Università di Torino, ha scritto che “esiste il pericolo di possibili nuovi attacchi ischemici cerebrali e le condizioni di salute dell’ex dirigente del SISDE non sono compatibili con il regime carcerario”.
Inoltre, nella perizia di parte, il prof. Torre fa riferimento a come la situazione medica di Contrada sia stata monitorata dal dott. Francesco Cariello, ufficiale medico presso il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove Contrada è rinchiuso.
Le relazioni vanno dal 31 ottobre al 27 dicembre 2007. “All’interno di queste – ribadisce Torre nella sua consulenza sono spiegate le gravi e varie patologie delle quali è affetto Contrada e permettono di capire quanto negativamente stia pesando il regime carcerario sulle condizioni di salute dell’ex poliziotto.
Ma tutto questo fin adesso non è servito e non è stato consentito – perché di questo si tratta – a un uomo di avere la dignità di morire fuori dal carcere. Adesso ha deciso lui per tutti, chiede di “scomparire”.
No
18 Aprile 2008 eutanasia giustizia Italia (da l'occidentale, 19 aprile)
di Lillo Maiolino
Article content:
Ormai debole e provato sia nel fisico che nella volontà, Bruno Contrada aspetta con rassegnazione, ma probabilmente anche come liberazione dal suo lungo calvario giudiziario, la “sentenza” di Dio. Attraverso la sorella, infatti, l’ex dirigente del SISDE ha chiesto l’autorizzazione all’eutanasia.
“È l’unico modo per mettere fine alle sue pene – ha dichiarato la sorella Anna Contrada – la quale ha presentato al giudice tutelare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere la “formale autorizzazione per uccidere legalmente il fratello”.
A depositare la richiesta è stato l’avvocato di Contrada, Giuseppe Lipera, che in tutti questi mesi si è adoperato con ogni forza affinché fosse trovata una soluzione fuori dal carcere, per gli ultimi anni, o forse mesi di vita, che rimangono all’ex poliziotto.
Alla fine, però, con l’opinione divisa tra favorevoli e contrari alla richiesta di grazia o comunque di prosecuzione della pena fuori dal carcere, Bruno Contrada seriamente malato, continua a rimanere dietro le sbarre.
L’ex dirigente del SISDE, infatti, sconta una pena di 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo un lungo calvario processuale e la testimonianza di numerosi pentiti di mafia - alcuni dei quali fatti arrestare da Contrada stesso negli anni di servizio al SISDE -; durante i processi ha subito una condanna in primo grado, l’assoluzione in appello, e successivamente, con l’annullamento da parte della Cassazione della sentenza d’appello, un nuovo processo che l’ha portato alla condanna che sta scontando.
Bruno Contrada ha ormai 76 anni ed è segnato dal diabete e dal pericolo di attacchi ischemici. A dirlo non sono solo i familiari e il suo legale. Pochi mesi fa, infatti, una perizia di parte ha stabilito che le sue condizioni risultano critiche. Il prof. Carlo Torre, docente di Medicina legale all’Università di Torino, ha scritto che “esiste il pericolo di possibili nuovi attacchi ischemici cerebrali e le condizioni di salute dell’ex dirigente del SISDE non sono compatibili con il regime carcerario”.
Inoltre, nella perizia di parte, il prof. Torre fa riferimento a come la situazione medica di Contrada sia stata monitorata dal dott. Francesco Cariello, ufficiale medico presso il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove Contrada è rinchiuso.
Le relazioni vanno dal 31 ottobre al 27 dicembre 2007. “All’interno di queste – ribadisce Torre nella sua consulenza sono spiegate le gravi e varie patologie delle quali è affetto Contrada e permettono di capire quanto negativamente stia pesando il regime carcerario sulle condizioni di salute dell’ex poliziotto.
Ma tutto questo fin adesso non è servito e non è stato consentito – perché di questo si tratta – a un uomo di avere la dignità di morire fuori dal carcere. Adesso ha deciso lui per tutti, chiede di “scomparire”.
No
18 Aprile 2008 eutanasia giustizia Italia (da l'occidentale, 19 aprile)
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giovedì 17 aprile 2008
CONTRADA
Quest'uomo morirà in carcere, anche se il suo stato di salute e l'età sono incompatibili con la detenzione.
Napoli - L’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada è stato trasferito dal carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove sconta una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, nell’ospedale della stessa città. Lo ha reso noto il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Lipera, secondo il quale Contrada è stato colpito da una ischemia cerebrale. (da ilgiornale, 17 aprile 2008)
Napoli - L’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada è stato trasferito dal carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove sconta una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, nell’ospedale della stessa città. Lo ha reso noto il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Lipera, secondo il quale Contrada è stato colpito da una ischemia cerebrale. (da ilgiornale, 17 aprile 2008)
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giovedì 13 marzo 2008
COMPATIBILITA' CARCERARIA
(ANSA) - PALERMO, 12 MAR - E' troppo grasso per stare in carcere. Per questo a Salvatore Ferranti, 36 anni, sono stati concessi gli arresti domiciliari. Con i suoi 210 chili - racconta il Giornale di Sicilia -, l'uomo del clan mafioso palermitano dei Lo Piccolo, detenuto per associazione mafiosa, non passa dalla porta del bagno, il letto della cella non lo regge e, addirittura nell'istituto di pena di Pesaro, dove e' stato detenuto per un po', non avevano neppure una bilancia alla sua portata.
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giovedì 6 marzo 2008
CONTRADA
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA
PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
N. 5778/2007 R.G. Cass. Pen. Prot. P.G. n. 502/2 anno 2007
Il Procuratore Generale
Letti gli atti relativi al ricorso proposto nell’interesse di CONTRADA Bruno avverso l’ordinanza in data 10/1/08 con la quale il Tribunale di Sorveglianza di Napoli ha rigettato tre istanze di rinvio dell’esecuzione della pena ex art. 147 c.p.;
rilevato che negli stringati motivi di ricorso è dato leggere: “erra il Tribunale di Sorveglianza quando nel valutare lo stato di salute del dott. Bruno Contrada attraverso la lettura delle relazioni rilasciate dai medici che lo hanno visitato, procede con un’analisi analitica elencando le singole patologie che lo affliggono … , mentre se si allarga la visione all’insieme delle malattie, … una tale richiesta (di differimento pena – n.d.r.) sarebbe stata accolta, apparendo evidente in tutta la sua gravità la condizione in cui versa il suo stato di salute”;
ritenuto che in effetti una valutazione di sintesi e complessiva dello stato di salute del ricorrente non risulta essere stata compiuta dal Tribunale di Sorveglianza;
che tale valutazione si rende necessaria anche perché le conclusioni dell’organo giudicante divergono dalle conclusioni mediche sia delle strutture sanitarie (carcerarie ed ospedaliere) sia dei consulenti di parte, che ritengono versare il Contrada in condizioni di salute incompatibili con il regime carcerario;
ritenuto che il sussistente vizio di motivazione risulta ancora più evidente se si tiene conto che nel provvedimento impugnato non si fa alcun riferimento alla attuale pericolosità sociale del ricorrente, valutato il percorso di reinserimento sociale all’interno della struttura carceraria e tenuto conto dell’età avanzata del ricorrente: Contrada Bruno è nato il 2/9/1931;
che sotto quest’ultimo aspetto conserva ancora validità (anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 7 L. 5/12/2005 n. 251) quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., Sez. I 12/02 – 20/04/2001 n. 16183 RV. 218640) sia pure in relazione ad altra fattispecie, ma con riferimento all’istituto in esame, e cioè che:
“E’ immanente al vigente sistema normativo una sorta d’incompatibilità presunta con il regime carcerario per il soggetto che abbia compiuto i settanta anni, sicché, nell’ipotesi di esecuzione della pena detentiva che lo riguardi, in presenza di un’istanza di differimento per motivi di salute o, in alternativa, di detenzione domiciliare, l’indagine del giudice in ordine alla gravità delle infermità che lo affliggono e alla loro compatibilità con lo stato detentivo non è decisiva, pur se utile, mentre è determinante l’accertamento della sussistenza di circostanze eccezionali, tali da imporre l’inderogabilità dell’esecuzione stessa ovvero da contrastare con la possibilità di renderla meno afflittiva, ricorrendone le condizioni di legge, mediante la detenzione domiciliare”;
che, inoltre, il giudice in casi quale quello in esame deve tenere conto che “il divieto di concessione del beneficio della detenzione domiciliare ai condannati per i reati di cui all’art. 4 bis della legge n. 354 del 1975 non è applicabile nel caso in cui sussistano le condizioni di grave infermità fisica che giustificherebbero il rinvio dell’esecuzione della pena ex art. 147 c.p., atteso che l’applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare in siffatta ipotesi costituisce un contemperamento tra le esigenze di tutela della collettività (in relazione alla pericolosità del soggetto) ed il rispetto del principio di umanità della pena, sotto il profilo della sua abnorme afflittività nel caso di accertata grave infermità fisica” (si veda Cass. Pen., Sez. I, 19/02 – 28/04/2001 n. 17208, RV. 218762);
ritenuto, infine, che debba disporsi la riduzione dei termini per il giudizio stante la motivata richiesta del ricorrente il tal senso;
visti gli artt. 611, 623, c.p.p., 169 disp. att. c.p.p.;
chiede
che il Sig. Presidente della Corte di Cassazione disponga la riduzione dei termini stabiliti per il giudizio di legittimità;
che la Corte di Cassazione annulli l’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Napoli.
Roma 27 febbraio 2008
Il Sostituto Procuratore Dott. Tindari Baglione
La decisione del ricorso proposto dall’Avv. Giuseppe Lipera nell’interesse di Bruno Contrada avverso la ordinanza del 10/1/20O8 del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, che ha negato la liberazione o la detenzione domiciliare per gravissimi motivi di salute, è stata fissata per l’udienza del 27 marzo 2008, avanti la prima sezione penale della Corte Suprema di Cassazione.
Con decreto 29/2/08, il Presidente della prima sezione penale, ai sensi dell’art.169 disp. att. del codice di procedura penale, accogliendo la formale istanza dell’Avv. Lipera, ha disposto la riduzione dei termini, stante l’urgenza. (da lavocedimegaride 3.3.08)
PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
N. 5778/2007 R.G. Cass. Pen. Prot. P.G. n. 502/2 anno 2007
Il Procuratore Generale
Letti gli atti relativi al ricorso proposto nell’interesse di CONTRADA Bruno avverso l’ordinanza in data 10/1/08 con la quale il Tribunale di Sorveglianza di Napoli ha rigettato tre istanze di rinvio dell’esecuzione della pena ex art. 147 c.p.;
rilevato che negli stringati motivi di ricorso è dato leggere: “erra il Tribunale di Sorveglianza quando nel valutare lo stato di salute del dott. Bruno Contrada attraverso la lettura delle relazioni rilasciate dai medici che lo hanno visitato, procede con un’analisi analitica elencando le singole patologie che lo affliggono … , mentre se si allarga la visione all’insieme delle malattie, … una tale richiesta (di differimento pena – n.d.r.) sarebbe stata accolta, apparendo evidente in tutta la sua gravità la condizione in cui versa il suo stato di salute”;
ritenuto che in effetti una valutazione di sintesi e complessiva dello stato di salute del ricorrente non risulta essere stata compiuta dal Tribunale di Sorveglianza;
che tale valutazione si rende necessaria anche perché le conclusioni dell’organo giudicante divergono dalle conclusioni mediche sia delle strutture sanitarie (carcerarie ed ospedaliere) sia dei consulenti di parte, che ritengono versare il Contrada in condizioni di salute incompatibili con il regime carcerario;
ritenuto che il sussistente vizio di motivazione risulta ancora più evidente se si tiene conto che nel provvedimento impugnato non si fa alcun riferimento alla attuale pericolosità sociale del ricorrente, valutato il percorso di reinserimento sociale all’interno della struttura carceraria e tenuto conto dell’età avanzata del ricorrente: Contrada Bruno è nato il 2/9/1931;
che sotto quest’ultimo aspetto conserva ancora validità (anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 7 L. 5/12/2005 n. 251) quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., Sez. I 12/02 – 20/04/2001 n. 16183 RV. 218640) sia pure in relazione ad altra fattispecie, ma con riferimento all’istituto in esame, e cioè che:
“E’ immanente al vigente sistema normativo una sorta d’incompatibilità presunta con il regime carcerario per il soggetto che abbia compiuto i settanta anni, sicché, nell’ipotesi di esecuzione della pena detentiva che lo riguardi, in presenza di un’istanza di differimento per motivi di salute o, in alternativa, di detenzione domiciliare, l’indagine del giudice in ordine alla gravità delle infermità che lo affliggono e alla loro compatibilità con lo stato detentivo non è decisiva, pur se utile, mentre è determinante l’accertamento della sussistenza di circostanze eccezionali, tali da imporre l’inderogabilità dell’esecuzione stessa ovvero da contrastare con la possibilità di renderla meno afflittiva, ricorrendone le condizioni di legge, mediante la detenzione domiciliare”;
che, inoltre, il giudice in casi quale quello in esame deve tenere conto che “il divieto di concessione del beneficio della detenzione domiciliare ai condannati per i reati di cui all’art. 4 bis della legge n. 354 del 1975 non è applicabile nel caso in cui sussistano le condizioni di grave infermità fisica che giustificherebbero il rinvio dell’esecuzione della pena ex art. 147 c.p., atteso che l’applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare in siffatta ipotesi costituisce un contemperamento tra le esigenze di tutela della collettività (in relazione alla pericolosità del soggetto) ed il rispetto del principio di umanità della pena, sotto il profilo della sua abnorme afflittività nel caso di accertata grave infermità fisica” (si veda Cass. Pen., Sez. I, 19/02 – 28/04/2001 n. 17208, RV. 218762);
ritenuto, infine, che debba disporsi la riduzione dei termini per il giudizio stante la motivata richiesta del ricorrente il tal senso;
visti gli artt. 611, 623, c.p.p., 169 disp. att. c.p.p.;
chiede
che il Sig. Presidente della Corte di Cassazione disponga la riduzione dei termini stabiliti per il giudizio di legittimità;
che la Corte di Cassazione annulli l’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Napoli.
Roma 27 febbraio 2008
Il Sostituto Procuratore Dott. Tindari Baglione
La decisione del ricorso proposto dall’Avv. Giuseppe Lipera nell’interesse di Bruno Contrada avverso la ordinanza del 10/1/20O8 del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, che ha negato la liberazione o la detenzione domiciliare per gravissimi motivi di salute, è stata fissata per l’udienza del 27 marzo 2008, avanti la prima sezione penale della Corte Suprema di Cassazione.
Con decreto 29/2/08, il Presidente della prima sezione penale, ai sensi dell’art.169 disp. att. del codice di procedura penale, accogliendo la formale istanza dell’Avv. Lipera, ha disposto la riduzione dei termini, stante l’urgenza. (da lavocedimegaride 3.3.08)
lunedì 29 ottobre 2007
COMPATIBILITA' CARCERARIA
Condannato a 20 anni di carcere per traffico internazionale di droga. Affetto da (imprecisata) malattia degenerativa progressiva che lo costringe in carrozzella e gli impedisce un minimo di autonomia. A causa dello sciopero della fame e della sete ha perduto circa 40 kg di peso. Il perito dice che tali condizioni di salute sono compatibili con lo stato di detenzione. Io dico che, se tali condizioni corrispondono alla realtà, il detenuto ne morirà e qualcuno dovrà rispondere di questa morte (GVG). Leggi qui http://www.unionesarda.it/DettaglioSardegna/?contentId=14889
martedì 13 febbraio 2007
ONCOLOGIA E CAMORRA
Qui http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/Camorra-arrestato-un-oncologo-minacci%C3%B2-un-perito-del-tribunale/1508241/6 è raccontata tutta la storia dell'oncologo napoletano (un professore associato) che minacciò un perito per avere una falsa diagnosi che permettesse alla sua assistita di uscire di prigione per motivi di salute. Naturalmente è una storia di camorra. L'oncologo è stato arrestato.
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