Lavoro, infortuni mortali ai minimi
Inail: "980 le vittime nel 2010"
Nel 2010 gli infortuni mortali sul lavoro sono stati 980, in calo del 6,9% rispetto ai 1.053 del 2009. Il dato viene fornito dall'Inail che sottolinea anche come questa sia la cifra più bassa dal dopoguerra. Gli incidenti durante lo svolgimento dell'occupazione complessivamente sono stati 775.000, in calo dell'1,9% rispetto al 2009. Il ribasso è più pronunciato nell'industria e nel Mezzogiorno che più ha sofferto per la crisi occupazionale.
Nell'industria, dove prosegue la consistente perdita di posti di lavoro (-2,9% di occupati rispetto al 2009), gli infortuni si sono ridotti del 6,1%, nell'agricoltura, peraltro in lieve crescita occupazionale (+0,7%), del 4,9%. Positivo il dato relativo al settore Costruzioni, che registra un calo degli infortuni pari al 7,3%, senza essere stato particolarmente penalizzato sotto il profilo dell'occupazione (-0,1%) rispetto all'anno precedente. Un aumento contenuto (+1,3%) si registra nelle attività dei Servizi, a fronte di un andamento occupazionale lievemente crescente (+0,4%).
Gli incidenti mortali invece sono calati meno nei servizi (-4,1% da 438 a 420) ma in modo rilevante nell'industria (-8,6%, da 487 a 445) e, in particolare, nelle costruzioni (-10,5%, da 229 a 205). Molto significativo in percentuale è il calo delle morti sul lavoro in agricoltura (-10,2% , da 128 a 115). Se per la prima volta dal dopoguerra, si scende sotto la soglia dei 1.000 morti l'anno, il dato sulle vittime del lavoro, secondo l'Inail, "è comunque inaccettabile".
La riduzione degli infortuni è generalizzata su tutto il territorio della Penisola, ma il Mezzogiorno, che ha sofferto maggiormente per la crisi occupazionale (-1,6% contro -0,4% del Nord e un lieve miglioramento del dato al Centro), fa registrare una contrazione del 3,2% per gli infortuni in complesso, a fronte di un calo dell'1,8% del Centro e dell'1,5% del Nord. Al Centro il calo dei casi mortali (pari all'11,8%, da 221 a 195), è molto significativo ma il termine di paragone è un 2009 che aveva segnato, nella stessa area, una recrudescenza del fenomeno.
venerdì 4 marzo 2011
giovedì 3 marzo 2011
dimissioni ospedaliere
"Stop dimissioni rapide pazienti"
Cassazione: si rischia omicidio colposo
Le dimissioni dei pazienti dagli ospedali devono essere decise solo in base a valutazioni di "ordine medico" e non secondo i criteri di economicità presenti nelle linee guida delle strutture sanitarie per il contenimento della spesa sanitaria. E' quanto stabilito dalla Cassazione che ha annullato l'assoluzione di un medico dall'accusa di omicidio colposo di un paziente dimesso, secondo le linee guida, dopo 9 giorni da un intervento cardiaco.
Per liberarsi da ogni responsabilità, a un medico non basta, quindi, dire di essersi "attenuto scrupolosamente alle linee guida" previste per i professionisti.
Il caso era nato all'ospedale di Busto Arsizio, nel Milanese. Il dottor Roberto G. aveva dimesso il paziente Romildo B. dopo un ricovero di nove giorni dall'intervento di angioplastica all'arteria anteriore per curare un infarto esteso del miocardio. Poche ore dopo il signor Romildo era morto. Il medico era stato chiamato a rispondere di omicidio colposo per dimissioni frettolose. La perizia legale aveva accertato che se l'uomo non fosse stato dimesso, sarebbe sopravvissuto per le rapide cure che avrebbe ricevuto in reparto.
In primo grado il medico che firmò le dimissioni venne condannato a 8 mesi di reclusione e a risarcire i danni morali ai familiari. In appello invece, fu assolto "perché il fatto non costituisce reato" in quanto il medico aveva seguito le linee guida in tema di dimissioni. Tesi non condivisa dalla Cassazione che ha accolto il reclamo della procura e dei familiari.
Per I supremi giudici le linee guida non sono chiare, non si conosce nulla dei loro contenuti, nè da quale autorità provengano, e neppure di quale sia il loro livello di scientificità. I togati dubitano che non siano altro che "uno strumento per garantire l'economicitàdella gestione della struttura ospedaliera". "A nessuno - prosegue la Cassazione - è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute".
I giudici ricordano poi ai medici che prima di tutto devono rispondere al loro codice deontologico in base al quale hanno il dovere "di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza". Quindi non sono tenuti "al rispetto di quelle direttive laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non possono andare esenti da colpa ove se ne lascino condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico".
Adesso per il medico delle dimissioni affrettate si apre un nuovo processo. I giudici dovranno anche entrare nel merito di un paziente che, oltre ad essere stato colpito da infarto, aveva anche un quadro clinico che consigliava prudenza in quanto era fumatore e obeso. Forse neppure da tenere in considerazione per le linee guida.
Cassazione: si rischia omicidio colposo
Le dimissioni dei pazienti dagli ospedali devono essere decise solo in base a valutazioni di "ordine medico" e non secondo i criteri di economicità presenti nelle linee guida delle strutture sanitarie per il contenimento della spesa sanitaria. E' quanto stabilito dalla Cassazione che ha annullato l'assoluzione di un medico dall'accusa di omicidio colposo di un paziente dimesso, secondo le linee guida, dopo 9 giorni da un intervento cardiaco.
Per liberarsi da ogni responsabilità, a un medico non basta, quindi, dire di essersi "attenuto scrupolosamente alle linee guida" previste per i professionisti.
Il caso era nato all'ospedale di Busto Arsizio, nel Milanese. Il dottor Roberto G. aveva dimesso il paziente Romildo B. dopo un ricovero di nove giorni dall'intervento di angioplastica all'arteria anteriore per curare un infarto esteso del miocardio. Poche ore dopo il signor Romildo era morto. Il medico era stato chiamato a rispondere di omicidio colposo per dimissioni frettolose. La perizia legale aveva accertato che se l'uomo non fosse stato dimesso, sarebbe sopravvissuto per le rapide cure che avrebbe ricevuto in reparto.
In primo grado il medico che firmò le dimissioni venne condannato a 8 mesi di reclusione e a risarcire i danni morali ai familiari. In appello invece, fu assolto "perché il fatto non costituisce reato" in quanto il medico aveva seguito le linee guida in tema di dimissioni. Tesi non condivisa dalla Cassazione che ha accolto il reclamo della procura e dei familiari.
Per I supremi giudici le linee guida non sono chiare, non si conosce nulla dei loro contenuti, nè da quale autorità provengano, e neppure di quale sia il loro livello di scientificità. I togati dubitano che non siano altro che "uno strumento per garantire l'economicitàdella gestione della struttura ospedaliera". "A nessuno - prosegue la Cassazione - è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute".
I giudici ricordano poi ai medici che prima di tutto devono rispondere al loro codice deontologico in base al quale hanno il dovere "di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza". Quindi non sono tenuti "al rispetto di quelle direttive laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non possono andare esenti da colpa ove se ne lascino condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico".
Adesso per il medico delle dimissioni affrettate si apre un nuovo processo. I giudici dovranno anche entrare nel merito di un paziente che, oltre ad essere stato colpito da infarto, aveva anche un quadro clinico che consigliava prudenza in quanto era fumatore e obeso. Forse neppure da tenere in considerazione per le linee guida.
mercoledì 2 marzo 2011
pizza e topi
Guerra tra pizzerie, topi come arma
Usa, infesta i locali dei concorrenti
Il proprietario di una pizzeria della Pennsylvania è stato arrestato lunedì per aver tentato di infestare con i topi gli esercizi commerciali di due concorrenti. Il capo della polizia locale ha parlato di "terrorismo alimentare". A finire dietro le sbarre Nikolas Galiatsatos, 47enne proprietario di Nina's Bella Pizzeria a Upper Darby vicino a Philadelphia.
L'uomo, con un anonimo sacchetto di plastica in mano, nel pomeriggio di lunedì è entrato nella vicina pizzeria Verona Pizza. Come se nulla fosse, ha chiesto di poter usare il bagno. Fanis Facas, proprietario del locale, deve essersi però insospettito per la presenza del rivale; così, una volta che questi è uscito, è andato a controllare la toilette: dopo aver notato la presenza di impronte sul gabinetto, ha scoperto, nascosto nell'intercapedine del controsoffitto, un sacco contenente topi vivi.
Immediatamente Facas ha chiamato la polizia, che si è messa sulle tracce di Galiatsatos: l'uomo era stato infatti avvistato poco prima mentre si dirigeva verso la pizzeria Uncle Nick's Pizza. E proprio qui, nascosto in un bidone della spazzatura, gli agenti hanno trovato un altro sacchetto con cinque topi vivi e uno morto. Per Galiatsatos sono quindi scattate le manette con l'accusa danneggiamento, condotta contraria all'ordine pubblico e maltrattamento di animali.
Usa, infesta i locali dei concorrenti
Il proprietario di una pizzeria della Pennsylvania è stato arrestato lunedì per aver tentato di infestare con i topi gli esercizi commerciali di due concorrenti. Il capo della polizia locale ha parlato di "terrorismo alimentare". A finire dietro le sbarre Nikolas Galiatsatos, 47enne proprietario di Nina's Bella Pizzeria a Upper Darby vicino a Philadelphia.
L'uomo, con un anonimo sacchetto di plastica in mano, nel pomeriggio di lunedì è entrato nella vicina pizzeria Verona Pizza. Come se nulla fosse, ha chiesto di poter usare il bagno. Fanis Facas, proprietario del locale, deve essersi però insospettito per la presenza del rivale; così, una volta che questi è uscito, è andato a controllare la toilette: dopo aver notato la presenza di impronte sul gabinetto, ha scoperto, nascosto nell'intercapedine del controsoffitto, un sacco contenente topi vivi.
Immediatamente Facas ha chiamato la polizia, che si è messa sulle tracce di Galiatsatos: l'uomo era stato infatti avvistato poco prima mentre si dirigeva verso la pizzeria Uncle Nick's Pizza. E proprio qui, nascosto in un bidone della spazzatura, gli agenti hanno trovato un altro sacchetto con cinque topi vivi e uno morto. Per Galiatsatos sono quindi scattate le manette con l'accusa danneggiamento, condotta contraria all'ordine pubblico e maltrattamento di animali.
baby gang
Baby gang, arrestati 16enne e 15enne
In sei mesi, 11 rapine a Quarto Oggiaro. Un 12enne e un 13enne allontanati in modo coatto dalle famiglie
MILANO - Due minorenni, uno di 16 anni e uno di 15, arrestati e due, non ancora quattordicenni, allontanati coattivamente dal nucleo familiare. È questo il bilancio di una operazione della Polizia, condotta dagli uomini del commissariato di Quarto Oggiaro, intervenuta per mettere fine alle rapine compiute da una vera e propria «baby gang», attiva nel popolare quartiere milanese. Tra lunedì e martedì, gli agenti hanno arrestato due ragazzini italiani, S. D. C. di 16 anni e V. R., 15 - entrambi con precedenti - per avere commesso almeno 11 rapine commesse tra l'agosto e il dicembre del 2010. Nei confronti di altri due giovani, di 12 e 13 anni all'epoca dei fatti - uno dei quali fratello di S. D. C. - è stato eseguito il provvedimento di allontanamento coatto dal nucleo familiare in quanto non imputabili. A partire dallo scorso ottobre, la Polizia aveva ricevuto diverse denunce di rapine compiute da gruppi di ragazzi che, accerchiando le vittime per non farle fuggire, intimavano loro la consegna di denaro e cellulari con la minaccia di coltelli o armi.
Tra i luoghi preferiti per le azioni criminali, gli arrestati avevano individuato la stazione ferroviaria di Quarto Oggiaro e il cavalcavia pedonale che collega questa con un centro commerciale della zona. Nonostante la giovane età, alcune dei ragazzini erano già stati coinvolti in recenti operazioni antidroga con il compito di «vedette» o «sentinelle» e avvertire i boss se arrivava la polizia. Poi, quando non lavoravano per i grandi vessavano i coetanei. Nel corso delle perquisizioni domiciliari sono stati rinvenuti, nella casa dei fratelli, sedici cellulari, due coltelli, una mazza da baseball ed alcune riproduzioni di armi: un fucile mitragliatore (soft air), una pistola colt «Mk Iv» ed una pistola «Dong» (fonte: Ansa).
In sei mesi, 11 rapine a Quarto Oggiaro. Un 12enne e un 13enne allontanati in modo coatto dalle famiglie
MILANO - Due minorenni, uno di 16 anni e uno di 15, arrestati e due, non ancora quattordicenni, allontanati coattivamente dal nucleo familiare. È questo il bilancio di una operazione della Polizia, condotta dagli uomini del commissariato di Quarto Oggiaro, intervenuta per mettere fine alle rapine compiute da una vera e propria «baby gang», attiva nel popolare quartiere milanese. Tra lunedì e martedì, gli agenti hanno arrestato due ragazzini italiani, S. D. C. di 16 anni e V. R., 15 - entrambi con precedenti - per avere commesso almeno 11 rapine commesse tra l'agosto e il dicembre del 2010. Nei confronti di altri due giovani, di 12 e 13 anni all'epoca dei fatti - uno dei quali fratello di S. D. C. - è stato eseguito il provvedimento di allontanamento coatto dal nucleo familiare in quanto non imputabili. A partire dallo scorso ottobre, la Polizia aveva ricevuto diverse denunce di rapine compiute da gruppi di ragazzi che, accerchiando le vittime per non farle fuggire, intimavano loro la consegna di denaro e cellulari con la minaccia di coltelli o armi.
Tra i luoghi preferiti per le azioni criminali, gli arrestati avevano individuato la stazione ferroviaria di Quarto Oggiaro e il cavalcavia pedonale che collega questa con un centro commerciale della zona. Nonostante la giovane età, alcune dei ragazzini erano già stati coinvolti in recenti operazioni antidroga con il compito di «vedette» o «sentinelle» e avvertire i boss se arrivava la polizia. Poi, quando non lavoravano per i grandi vessavano i coetanei. Nel corso delle perquisizioni domiciliari sono stati rinvenuti, nella casa dei fratelli, sedici cellulari, due coltelli, una mazza da baseball ed alcune riproduzioni di armi: un fucile mitragliatore (soft air), una pistola colt «Mk Iv» ed una pistola «Dong» (fonte: Ansa).
martedì 1 marzo 2011
farmaco
Sanita': muore per un farmaco, Asl risarcira' 500.000 euro
Causa civile vinta da genitori di diciottenne del veneziano
26 febbraio, 12:40
(ANSA) - VENEZIA, 26 FEB - Per la morte a 18 anni di una ragazza di Dolo dopo un trattamento farmacologico, l'Asl dovrà risarcire la famiglia con 500 mila euro. Lo ha stabilito il Tribunale a conclusione della causa civile intentata dai genitori nel 2005, tre anni dopo il decesso della giovane. La ragazza è morta per necrosi del fegato causata, secondo i giudici, da un trattamento effettuato in ospedale con un farmaco a base di leflunomide. Il medicinale, presente nel prontuario farmaceutico italiano, secondo il legale dei genitori, Mauro Zenatto, "negli Stati Uniti è stato sospeso perché giudicato troppo pericoloso".(ANSA)
Causa civile vinta da genitori di diciottenne del veneziano
26 febbraio, 12:40
(ANSA) - VENEZIA, 26 FEB - Per la morte a 18 anni di una ragazza di Dolo dopo un trattamento farmacologico, l'Asl dovrà risarcire la famiglia con 500 mila euro. Lo ha stabilito il Tribunale a conclusione della causa civile intentata dai genitori nel 2005, tre anni dopo il decesso della giovane. La ragazza è morta per necrosi del fegato causata, secondo i giudici, da un trattamento effettuato in ospedale con un farmaco a base di leflunomide. Il medicinale, presente nel prontuario farmaceutico italiano, secondo il legale dei genitori, Mauro Zenatto, "negli Stati Uniti è stato sospeso perché giudicato troppo pericoloso".(ANSA)
Etichette:
causa della morte,
farmaco,
leflunomide,
risarcimento
endocrinologi
PADOVA
Provocava orgasmi alle pazienti,
cinque anni all'endocrinologo
Franco Lumachi, 60 anni, è stato ritenuto copevole di violenza sessuale continuata e aggravata. Sei pazienti avevano denunciato le «particolari attenzioni» durante le visite
Il palazzo di giustizia di Padova (archivio)
PADOVA – Cinque anni di carcere, interdizione dai pubblici uffici per tutto il tempo della pena e centomila euro di risarcimento danni all’Azienda Ospedaliera. Questa la sentenza di condanna pronunciata dal tribunale Collegiale di Padova per il professor Franco Lumachi, 60enne in servizio nell’Unità di Endocrinochirurgia e Senologia dell’Azienda ospedaliera (che lo aveva sospeso in via cautelare) e professore associato alla facoltà di Medicina. Lumachi è stato ritenuto colpevole dell’accusa mossa da sei pazienti di violenza sessuale continuata e aggravata in quanto commessa con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. L’inchiesta era partita in seguito a una segnalazione trasmessa in procura nell’ottobre 2006 dall’allora direttrice sanitaria Patrizia Benini che venne informata da una 25enne padovana delle strane modalità di visita applicate dal professore. La Procura aveva poi ascoltato altre pazienti del dottor Lumachi, oggetto delle sue «particolari attenzioni» nel provocare un «orgasmo meccanico», come lo chiamava lui. Un metodo che sarebbe servito a facilitare la visita della paziente. Sul destino accademico di Lumachi si è espresso il rettore del Bo, Giuseppe Zaccaria. «La giustizia fa il suo corso. L'Università ha piena fiducia nell'operato della magistratura. Aspettiamo di leggere la sentenza e poi prenderemo ogni opportuno provvedimento».
Nicola Munaro
28 febbraio 2011
Provocava orgasmi alle pazienti,
cinque anni all'endocrinologo
Franco Lumachi, 60 anni, è stato ritenuto copevole di violenza sessuale continuata e aggravata. Sei pazienti avevano denunciato le «particolari attenzioni» durante le visite
Il palazzo di giustizia di Padova (archivio)
PADOVA – Cinque anni di carcere, interdizione dai pubblici uffici per tutto il tempo della pena e centomila euro di risarcimento danni all’Azienda Ospedaliera. Questa la sentenza di condanna pronunciata dal tribunale Collegiale di Padova per il professor Franco Lumachi, 60enne in servizio nell’Unità di Endocrinochirurgia e Senologia dell’Azienda ospedaliera (che lo aveva sospeso in via cautelare) e professore associato alla facoltà di Medicina. Lumachi è stato ritenuto colpevole dell’accusa mossa da sei pazienti di violenza sessuale continuata e aggravata in quanto commessa con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. L’inchiesta era partita in seguito a una segnalazione trasmessa in procura nell’ottobre 2006 dall’allora direttrice sanitaria Patrizia Benini che venne informata da una 25enne padovana delle strane modalità di visita applicate dal professore. La Procura aveva poi ascoltato altre pazienti del dottor Lumachi, oggetto delle sue «particolari attenzioni» nel provocare un «orgasmo meccanico», come lo chiamava lui. Un metodo che sarebbe servito a facilitare la visita della paziente. Sul destino accademico di Lumachi si è espresso il rettore del Bo, Giuseppe Zaccaria. «La giustizia fa il suo corso. L'Università ha piena fiducia nell'operato della magistratura. Aspettiamo di leggere la sentenza e poi prenderemo ogni opportuno provvedimento».
Nicola Munaro
28 febbraio 2011
Etichette:
clinica ginecologica,
endocrinologi,
Padova
cesareo
IL CASO A TREVISO
Deve sottoporsi a parto cesareo
Per convincerla arriva la polizia
Protagonista una 21enne del Burkina Faso. Il primario: nel suo paese è possibile partorire solo per via naturale
L'ospedale di Ca' Foncello (archivio)
TREVISO – E’ dovuta intervenire una volante della polizia per convincere una puerpera 21enne del Burkina Faso a sottoporsi ad un taglio cesareo urgente. La donna, ricoverata nella notte tra venerdì e sabato nel reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Ca’ Foncello, si era opposta in maniera risoluta all’intervento chirurgico indispensabile per salvare la vita al piccolo che portava in grembo e che versava in uno stato di grave sofferenza fetale: «Nel suo Paese – spiega il primario del reparto Giuseppe Dal Pozzo -, il parto è possibile solo per via naturale anche a costo di pregiudicare la salute o la vita stessa del nascituro.
Il marito della donna era d’accordo con noi, ma lei era irremovibile anche perché temeva che il cesareo le avrebbe pregiudicato la possibilità di avere figli in futuro». I medici del reparto le hanno provate tutte per convincerla, il primario ha quindi avvertito del problema sia la direzione sanitaria dell’Usl 9 che il magistrato di turno e tutti erano concordi nel procedere con il cesareo. Ma la 21enne non intendeva sentire ragioni. A quel punto Dal Pozzo ha chiesto l’intervento delle volanti: «Ho ritenuto che la presenza degli agenti fosse necessaria a tranquillizzare un po’ gli animi e così è stato. Anche grazie alla loro mediazione il marito ha firmato il consenso e intorno alle 15.30 il piccolo è nato». Il neonato si trova ora ricoverato nel reparto di patologia neonatale e nonostante un quadro clinico problematico, i medici sono fiduciosi sulla sua ripresa.
Milvana Citter
28 febbraio 2011
Deve sottoporsi a parto cesareo
Per convincerla arriva la polizia
Protagonista una 21enne del Burkina Faso. Il primario: nel suo paese è possibile partorire solo per via naturale
L'ospedale di Ca' Foncello (archivio)
TREVISO – E’ dovuta intervenire una volante della polizia per convincere una puerpera 21enne del Burkina Faso a sottoporsi ad un taglio cesareo urgente. La donna, ricoverata nella notte tra venerdì e sabato nel reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Ca’ Foncello, si era opposta in maniera risoluta all’intervento chirurgico indispensabile per salvare la vita al piccolo che portava in grembo e che versava in uno stato di grave sofferenza fetale: «Nel suo Paese – spiega il primario del reparto Giuseppe Dal Pozzo -, il parto è possibile solo per via naturale anche a costo di pregiudicare la salute o la vita stessa del nascituro.
Il marito della donna era d’accordo con noi, ma lei era irremovibile anche perché temeva che il cesareo le avrebbe pregiudicato la possibilità di avere figli in futuro». I medici del reparto le hanno provate tutte per convincerla, il primario ha quindi avvertito del problema sia la direzione sanitaria dell’Usl 9 che il magistrato di turno e tutti erano concordi nel procedere con il cesareo. Ma la 21enne non intendeva sentire ragioni. A quel punto Dal Pozzo ha chiesto l’intervento delle volanti: «Ho ritenuto che la presenza degli agenti fosse necessaria a tranquillizzare un po’ gli animi e così è stato. Anche grazie alla loro mediazione il marito ha firmato il consenso e intorno alle 15.30 il piccolo è nato». Il neonato si trova ora ricoverato nel reparto di patologia neonatale e nonostante un quadro clinico problematico, i medici sono fiduciosi sulla sua ripresa.
Milvana Citter
28 febbraio 2011
Etichette:
divieto nel Burkina Faso,
parto cesareo
Iscriviti a:
Post (Atom)