Morì di overdose in cella
Ai familiari 182mila euro
L’associazione Antigone: «Sentenza storica»
Maurizio Freguia morì in carcere per overdose di eroina (web)
ROVIGO – «Un giudice civile di Padova ha con dannato il ministero della giustizia a risarcire con 182mila euro la sorella di un detenuto trenta cinquenne morto nel carcere di Rovigo per over dose». Patrizio Gonnella, presidente dell’associa zione Antigone, definisce la recente decisione «storica» paragonandola con quanto accaduto di recente a Diana Blefari. A ottenere il risarcimen to è stata la sorella di Maurizio Freguia, che il 27 dicembre del 2000 perse la vita in carcere. A stroncarlo, come accertato dall’autopsia, è stata una dose letale di eroina. La droga, per gli accer tamenti dell’epoca, potrebbe essergli stata conse gnata durante i colloqui coi detenuti anche se non si è mai arrivati a chiarire le circostanze. Non così, ad esempio, per il giudice patavino che nella sentenza ha parlato di sorveglianza ca rente, visto che sarebbe stato un compagno di cella a cedere l‘eroina al rodigino che era appena rientrato da un permesso premio. Freguia si sentì male la sera prima.
Curato nel l’infermeria del carcere, poi venne ricoverato in ospedale salvo poi rientrare in via Verdi. Quella mattina le sue condizioni peggiorarono fino al decesso. Giampietro Pegoraro, coordinatore de gli agenti penitenziari della Cgil, quel giorno era al lavoro. «Da parte nostra fu fatto tutto il possi bile per salvare Freguia – afferma – ma invano». Secondo il presidente di Antigone Gonnella «un tossicodipendente e alcolista, ha ragionato il giudice – afferma - affinché sia conservato, cu rato, tutelato, deve essere innanzitutto osserva to. Se si trascura di osservarlo, e si permette che si inietti una dose letale di eroina, il Ministero della Giustizia è corresponsabile della morte». Allo stesso modo, continua Gonnella, «si po trebbe usare questa argomentazione per sostene re che Diana Blefari, abbandonata a se stessa nel la propria cella singola nella quale non si alzava quasi più dalla branda, non è stata conservata, curata, tutelata dal nostro Ministero. E la stessa cosa si potrebbe dire per molte altre morti».
A.A.
24 novembre 2009 (da corrieredelveneto.it)
mercoledì 25 novembre 2009
martedì 24 novembre 2009
compatibilita' carceraria
Cari Colleghi, sapete cos'è il riflesso rotuleo?
Catania, preso il boss latitante
Era invalido ma viaggiava sulla Bmw
Per i medici doveva muoversi su una sedia a rotelle perché affetto da una paraplegia, ma andava al ristorante su una Bmw. Il latitante Carmelo Di Stefano, 39 anni, ritenuto un elemento di spicco della cosca dei Cursoti emigrata a Milano, è stato arrestato dalla polizia a Catania. Il boss, al quale nel dicembre del 2008 era stati concessi gli arresti domiciliari perchè invalido dal Tribunale di sorveglianza di Bologna, è stato bloccato da agenti della Squadra mobile alla guida di una Bmw da poco uscita dal concessionario.
Nei confronti di Carmelo Di Stefano, che deve scontare 30 anni di reclusione per associazione mafiosa, omicidio e traffico di droga, nel settembre scorso era stata ripristinata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ma nel frattempo si era reso irreperibile. Carmelo Di Stefano è fratello di Francesco, ritenuto il reggente della cosca a Catania, che è latitante perchè ricercato per associazione mafiosa nell'ambito dell'operazione Revenge della Dda della Procura etnea. Il loro padre, Gaetano Di Stefano, è uno dei nomi storici della mafia siciliana ed è stato coinvolto nell'inchiesta sull'autoparco di Milano.
Di Stefano è stato arrestato mentre era con la moglie, una catanese di 36 anni residente a Bologna, in un ristorante della costa ionica, a Carrabba di Mascali. Il latitante era da poco giunto nel locale alla guida di Bmw serie 3, intestata a una giovane parente, ed era in possesso di una carta d'identità falsificata. Di Stefano in passato aveva ottenuto gli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute, dopo due ricoveri ospedalieri urgenti e per la necessità di doversi sottoporre a terapie riabilitative perchè affetto da una "paraplegia post-traumatica" e da "deperimento organico su base anoressica". Nelle scorse settimane la presenza del ricercato era stata segnalata proprio nella rione Nesima superiore di Catania, dove è maggiormente radicata la cosca dei cursoti milanesi. La condanna a 30 anni di reclusione che deve scontare è frutto di un cumulo di pene principalmente comminate in due maxi processi: Cuspide e Skorpion, celebrati a Catania.
(da repubblica.it Palermo, 24 novembre 2009)
Catania, preso il boss latitante
Era invalido ma viaggiava sulla Bmw
Per i medici doveva muoversi su una sedia a rotelle perché affetto da una paraplegia, ma andava al ristorante su una Bmw. Il latitante Carmelo Di Stefano, 39 anni, ritenuto un elemento di spicco della cosca dei Cursoti emigrata a Milano, è stato arrestato dalla polizia a Catania. Il boss, al quale nel dicembre del 2008 era stati concessi gli arresti domiciliari perchè invalido dal Tribunale di sorveglianza di Bologna, è stato bloccato da agenti della Squadra mobile alla guida di una Bmw da poco uscita dal concessionario.
Nei confronti di Carmelo Di Stefano, che deve scontare 30 anni di reclusione per associazione mafiosa, omicidio e traffico di droga, nel settembre scorso era stata ripristinata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ma nel frattempo si era reso irreperibile. Carmelo Di Stefano è fratello di Francesco, ritenuto il reggente della cosca a Catania, che è latitante perchè ricercato per associazione mafiosa nell'ambito dell'operazione Revenge della Dda della Procura etnea. Il loro padre, Gaetano Di Stefano, è uno dei nomi storici della mafia siciliana ed è stato coinvolto nell'inchiesta sull'autoparco di Milano.
Di Stefano è stato arrestato mentre era con la moglie, una catanese di 36 anni residente a Bologna, in un ristorante della costa ionica, a Carrabba di Mascali. Il latitante era da poco giunto nel locale alla guida di Bmw serie 3, intestata a una giovane parente, ed era in possesso di una carta d'identità falsificata. Di Stefano in passato aveva ottenuto gli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute, dopo due ricoveri ospedalieri urgenti e per la necessità di doversi sottoporre a terapie riabilitative perchè affetto da una "paraplegia post-traumatica" e da "deperimento organico su base anoressica". Nelle scorse settimane la presenza del ricercato era stata segnalata proprio nella rione Nesima superiore di Catania, dove è maggiormente radicata la cosca dei cursoti milanesi. La condanna a 30 anni di reclusione che deve scontare è frutto di un cumulo di pene principalmente comminate in due maxi processi: Cuspide e Skorpion, celebrati a Catania.
(da repubblica.it Palermo, 24 novembre 2009)
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LATTE CON MELAMINA
Qualcuno ricorderà che più volte ho lamentato la diffusione in Italia di prodotti cinesi adulterati, o tossici. Adesso la Cina provvede.
LA SOSTANZA TOSSICA ERA UTILIZZATA PER AUMENTARE ARTIFICIALMENTE IL VALORE PROTEICO
Melamina, in Cina prime due esecuzioni
La sentenza a gennaio, dopo che il latte contaminato ha ucciso sei neonati e intossicato altri 300mila bambini
NOTIZIE CORRELATE
Latte contaminato, una condanna a morte (22 gennaio 2009)
Sequestrati quintali di latte alla melamina (16 ottobre 2008)
Sicurezza alimentare: la Cina è lontana (14 luglio 2008)
MILANO - In Cina sono state eseguite le prime due condanne a morta per lo scandalo del latte contaminato alla melamina, che ha causato la morte di sei neonati e l'intossicazione di 300mila bambini. La sentenza era stata emessa a gennaio.
LE ACCUSE - Zhang Yujun è stato riconosciuto colpevole di aver messo in pericolo la salute pubblica e Geng Jinping di aver prodotto e venduto il latte contaminato. Il primo ne ha prodotte oltre 770 tonnellate e vendute più di 600 tonnellate tra il luglio 2007 e l'agosto 2008. Geng ne ha messe in commercio oltre 900 tonnellate. Lo scandalo è esploso a settembre 2008, dopo una denuncia della Fonterra, impresa neozelandese socia della cinese Sanlu. La general manager della compagnia, Tian Wenhua, è stata condannata all'ergastolo. La sostanza tossica era utilizzata per aumentare artificialmente il valore proteico del latte.
24 novembre 2009 (da corriere.it)
LA SOSTANZA TOSSICA ERA UTILIZZATA PER AUMENTARE ARTIFICIALMENTE IL VALORE PROTEICO
Melamina, in Cina prime due esecuzioni
La sentenza a gennaio, dopo che il latte contaminato ha ucciso sei neonati e intossicato altri 300mila bambini
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Sequestrati quintali di latte alla melamina (16 ottobre 2008)
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MILANO - In Cina sono state eseguite le prime due condanne a morta per lo scandalo del latte contaminato alla melamina, che ha causato la morte di sei neonati e l'intossicazione di 300mila bambini. La sentenza era stata emessa a gennaio.
LE ACCUSE - Zhang Yujun è stato riconosciuto colpevole di aver messo in pericolo la salute pubblica e Geng Jinping di aver prodotto e venduto il latte contaminato. Il primo ne ha prodotte oltre 770 tonnellate e vendute più di 600 tonnellate tra il luglio 2007 e l'agosto 2008. Geng ne ha messe in commercio oltre 900 tonnellate. Lo scandalo è esploso a settembre 2008, dopo una denuncia della Fonterra, impresa neozelandese socia della cinese Sanlu. La general manager della compagnia, Tian Wenhua, è stata condannata all'ergastolo. La sostanza tossica era utilizzata per aumentare artificialmente il valore proteico del latte.
24 novembre 2009 (da corriere.it)
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domenica 25 ottobre 2009
GENETICA E CRIMINALITA'
Scrivevo nel Manuale di Medicina forense, e ribadivo nella Guida all'esame di medicina legale (in corso di stampa), queste brevi note.
CRIMINALITA’ E GENETICA
Poco più di un secolo fa, fu avanzata la tesi che il reato si situava entro la struttura genetica della persona, e quindi si doveva considerare la tesi del criminale nato. La conseguenza logica fu la nascita del concetto di pericolosità della persona, prima ancora che essa compiesse un delitto.
Molti criminologi moderni hanno esaminato questa teoria ed hanno avanzato dubbi sulla spiegazione biologica e genetica del delitto.
Se si accetta che la genetica sia in rapporto con il delitto, occorre esaminare la risposta sociale a fronte di questo problema. Questa teoria potrebbe essere pericolosa per il sistema penale. La riabilitazione sarebbe vista come inutile, come di fatto sarebbe inutile la pena, mentre si dovrebbero controllare i soggetti pericolosi, anche se non hanno compiuto reati.
I criminologi moderni credono che i geni possano influenzare le funzioni del cervello e di conseguenza interessare la condotta.
Poiché tutti gli esseri umani, con l'eccezione dei gemelli identici, possiedono strutture genetiche differenti, questo può spiegare le differenze nel comportamento di individui che sono stati sottoposti ad influenze ambientali e sociali simili.
Tuttavia, deve anche essere notato che la maggior parte dei criminologi credono che la genetica provochi la formazione di caratteri differenti, che possono essere più ricettivi al comportamento anti-sociale, se l'ambiente lo permette.
I primi frenologi conclusero che poteva esserci un rapporto fra le anomalie craniche di una persona ed il suo comportamento sociale. Il loro merito è di avere spostato l'attenzione sull'autore del reato, e su questo si basano gli attuali sistemi penali.
Questo lavoro ha anticipato quello di Lombroso. La differenza fra Lombroso ed i suoi predecessori sta nel fatto che il suo lavoro fu considerato scientifico in opposizione al lavoro filosofico o giuridico. Purtroppo il suo lavoro è basato anche sui risultati di studi discutibili, effettuati nel tentativo di provare le sue teorie.
Lombroso nei suoi studi ha anche considerato altri fattori che possono influenzare il comportamento dei delinquenti. Egli ha evidenziato i tre filoni principali della criminologia moderna, e cioè la biologia, la psicologia e l'ambiente.
Già prima della morte del Lombroso, la sua teoria è stata considerata troppo semplicistica : la psichiatria e la psicologia avevano dimostrato che il rapporto fra la malattia mentale e la criminalità era molto più complicato di quanto Lombroso pensasse.
Dopo Lombroso, altri studiosi cercarono di confutare o confermare le sue teorie.
Charles Buchman nel 1913 ha provato a confutare i suoi risultati: in uno studio su 3.000 delinquenti e altrettanti non-delinquenti non trovò anomalie fisiche.
E. A. Hooten nel 1939 ha provato a dimostrare che Lombroso aveva ragione. Egli ha studiato 14 000 criminali e 3 000 non-criminali negli Stati Uniti e ritenne valida la tesi del Lombroso sulla base delle caratteristiche fisiche dei delinquenti.
Il lavoro del Lombroso è stato spesso interpretato come l'inizio degli studi sul rapporto tra costituzione somatica e comportamento.
Lo studio della costituzione ha una storia lunga in criminologia, ma il lavoro più significativo viene da William Sheldon nel 1949. Egli ha collegato determinate costituzioni somatiche (endomorfo, mesomorfo ed ectomorfo) con la delinquenza.
Sheldon ha esaminato la sua teoria studiando un gruppo di 200 uomini di una casa di riabilitazione a Boston. Ha trovato che la maggior parte dei delinquenti erano di un somatotipo mesomorfo. I gruppi criminali includevano anche gli endomorfi, ma vi era una significativa mancanza di ectomorfi.
Questa prova è stata cercata anche dai Gluecks nel 1950. Essi hanno studiato 500 delinquenti e 500 non-delinquenti, e hanno trovato tra i delinquenti un numero molto più alto di mesomorfi rispetto a tutti gli altri somatotipi. Tuttavia essi sono andati più avanti di Sheldon, e hanno concluso che la delinquenza probabilmente aumentava per una combinazione di fattori biologici, ambientali e psicologici, ed i mesomorfi erano soltanto i meglio adattati per la delinquenza. Questa ricerca è stata confermata da Cortes e Gatti nel 1972.
Le anomalie genetiche non ereditarie sono normalmente il risultato delle mutazioni cromosomiche al momento del concepimento, per esempio la sindrome di Klinefelter (XXY).
I primi tentativi di collegare fattori genetici ereditati con la criminologia sono remoti nel tempo. Richard Dugdale nel 1877 ha studiato una famiglia criminale di New York, nella quale erano presenti molti criminali. Dugdale concluse affermando che l’ereditarietà non era certa, perché l’ambiente famigliare poteva condizionare la condotta dei suoi membri.
I Gluecks e Sheldon in effetti hanno mostrato che un comportamento criminale dei padri era il determinante migliore della criminalità dei figli. Tuttavia, i fattori ambientali possono esserne la causa principale.
Studi sui gemelli
Ricordiamo che esistono gemelli monozigoti (MZ), con patrimonio ereditario identico, e gemelli dizigoti (DZ), che hanno patrimonio ereditario diverso. L’ipotesi è che, se i gemelli MZ si comportano in modo identico, allora il comportamento può essere il risultato dell’ereditarietà, ma se il comportamento è differente allora questo potrebbe derivare da un fattore ambientale.
Nel 1974 Christiansen ha raccolto informazioni su circa 6 000 coppie di gemelli nati in Danimarca fra il 1881 e il 1910, suddividendole fra coppie MZ e DZ. Dal registro delle condanne penali ha potuto verificare che nei gemelli MZ vi era un tasso di concordanza del 36%, mentre nei gemelli DZ era circa del 12%.
Nel 1990, Rowe giunse alla conclusione che i geni hanno una determinata quantità di influenza nello stesso sesso e nei gemelli MZ e che la genetica può essere vista come un vaso di Pandora non aperto. Quando l'ambiente la permette, si aprirà. L’interazione fra genetica e ambiente può verificarsi all’interno della famiglia, o quando la società reagisca in maniera negativa alla condotta della persona, o ancora quando persone di una disposizione genetica particolare scelgono di vivere in un ambiente che intensifica quel problema.
In conclusione, non è ancora provato il nesso esclusivo tra caratteristiche genetiche e criminalità, né è ancora chiarito quale sia il livello dell’influenza ambientale. Gli studi sulla genetica del comportamento stanno dando rapidamente risultati, e quando, e se, risulterà con certezza che la condotta umana avrà una base genetica, si porranno gravissimi problemi etici, sia sul versante terapeutico sia sul versante giudiziario. In sostanza, il problema che l’argomento solleva è quello del libero arbitrio. E’ comunque accertato oltre ogni dubbio che circa il 90% dei detenuti possiede il cromosoma Y, che cioè sono maschi.
CRIMINALITA’ E GENETICA
Poco più di un secolo fa, fu avanzata la tesi che il reato si situava entro la struttura genetica della persona, e quindi si doveva considerare la tesi del criminale nato. La conseguenza logica fu la nascita del concetto di pericolosità della persona, prima ancora che essa compiesse un delitto.
Molti criminologi moderni hanno esaminato questa teoria ed hanno avanzato dubbi sulla spiegazione biologica e genetica del delitto.
Se si accetta che la genetica sia in rapporto con il delitto, occorre esaminare la risposta sociale a fronte di questo problema. Questa teoria potrebbe essere pericolosa per il sistema penale. La riabilitazione sarebbe vista come inutile, come di fatto sarebbe inutile la pena, mentre si dovrebbero controllare i soggetti pericolosi, anche se non hanno compiuto reati.
I criminologi moderni credono che i geni possano influenzare le funzioni del cervello e di conseguenza interessare la condotta.
Poiché tutti gli esseri umani, con l'eccezione dei gemelli identici, possiedono strutture genetiche differenti, questo può spiegare le differenze nel comportamento di individui che sono stati sottoposti ad influenze ambientali e sociali simili.
Tuttavia, deve anche essere notato che la maggior parte dei criminologi credono che la genetica provochi la formazione di caratteri differenti, che possono essere più ricettivi al comportamento anti-sociale, se l'ambiente lo permette.
I primi frenologi conclusero che poteva esserci un rapporto fra le anomalie craniche di una persona ed il suo comportamento sociale. Il loro merito è di avere spostato l'attenzione sull'autore del reato, e su questo si basano gli attuali sistemi penali.
Questo lavoro ha anticipato quello di Lombroso. La differenza fra Lombroso ed i suoi predecessori sta nel fatto che il suo lavoro fu considerato scientifico in opposizione al lavoro filosofico o giuridico. Purtroppo il suo lavoro è basato anche sui risultati di studi discutibili, effettuati nel tentativo di provare le sue teorie.
Lombroso nei suoi studi ha anche considerato altri fattori che possono influenzare il comportamento dei delinquenti. Egli ha evidenziato i tre filoni principali della criminologia moderna, e cioè la biologia, la psicologia e l'ambiente.
Già prima della morte del Lombroso, la sua teoria è stata considerata troppo semplicistica : la psichiatria e la psicologia avevano dimostrato che il rapporto fra la malattia mentale e la criminalità era molto più complicato di quanto Lombroso pensasse.
Dopo Lombroso, altri studiosi cercarono di confutare o confermare le sue teorie.
Charles Buchman nel 1913 ha provato a confutare i suoi risultati: in uno studio su 3.000 delinquenti e altrettanti non-delinquenti non trovò anomalie fisiche.
E. A. Hooten nel 1939 ha provato a dimostrare che Lombroso aveva ragione. Egli ha studiato 14 000 criminali e 3 000 non-criminali negli Stati Uniti e ritenne valida la tesi del Lombroso sulla base delle caratteristiche fisiche dei delinquenti.
Il lavoro del Lombroso è stato spesso interpretato come l'inizio degli studi sul rapporto tra costituzione somatica e comportamento.
Lo studio della costituzione ha una storia lunga in criminologia, ma il lavoro più significativo viene da William Sheldon nel 1949. Egli ha collegato determinate costituzioni somatiche (endomorfo, mesomorfo ed ectomorfo) con la delinquenza.
Sheldon ha esaminato la sua teoria studiando un gruppo di 200 uomini di una casa di riabilitazione a Boston. Ha trovato che la maggior parte dei delinquenti erano di un somatotipo mesomorfo. I gruppi criminali includevano anche gli endomorfi, ma vi era una significativa mancanza di ectomorfi.
Questa prova è stata cercata anche dai Gluecks nel 1950. Essi hanno studiato 500 delinquenti e 500 non-delinquenti, e hanno trovato tra i delinquenti un numero molto più alto di mesomorfi rispetto a tutti gli altri somatotipi. Tuttavia essi sono andati più avanti di Sheldon, e hanno concluso che la delinquenza probabilmente aumentava per una combinazione di fattori biologici, ambientali e psicologici, ed i mesomorfi erano soltanto i meglio adattati per la delinquenza. Questa ricerca è stata confermata da Cortes e Gatti nel 1972.
Le anomalie genetiche non ereditarie sono normalmente il risultato delle mutazioni cromosomiche al momento del concepimento, per esempio la sindrome di Klinefelter (XXY).
I primi tentativi di collegare fattori genetici ereditati con la criminologia sono remoti nel tempo. Richard Dugdale nel 1877 ha studiato una famiglia criminale di New York, nella quale erano presenti molti criminali. Dugdale concluse affermando che l’ereditarietà non era certa, perché l’ambiente famigliare poteva condizionare la condotta dei suoi membri.
I Gluecks e Sheldon in effetti hanno mostrato che un comportamento criminale dei padri era il determinante migliore della criminalità dei figli. Tuttavia, i fattori ambientali possono esserne la causa principale.
Studi sui gemelli
Ricordiamo che esistono gemelli monozigoti (MZ), con patrimonio ereditario identico, e gemelli dizigoti (DZ), che hanno patrimonio ereditario diverso. L’ipotesi è che, se i gemelli MZ si comportano in modo identico, allora il comportamento può essere il risultato dell’ereditarietà, ma se il comportamento è differente allora questo potrebbe derivare da un fattore ambientale.
Nel 1974 Christiansen ha raccolto informazioni su circa 6 000 coppie di gemelli nati in Danimarca fra il 1881 e il 1910, suddividendole fra coppie MZ e DZ. Dal registro delle condanne penali ha potuto verificare che nei gemelli MZ vi era un tasso di concordanza del 36%, mentre nei gemelli DZ era circa del 12%.
Nel 1990, Rowe giunse alla conclusione che i geni hanno una determinata quantità di influenza nello stesso sesso e nei gemelli MZ e che la genetica può essere vista come un vaso di Pandora non aperto. Quando l'ambiente la permette, si aprirà. L’interazione fra genetica e ambiente può verificarsi all’interno della famiglia, o quando la società reagisca in maniera negativa alla condotta della persona, o ancora quando persone di una disposizione genetica particolare scelgono di vivere in un ambiente che intensifica quel problema.
In conclusione, non è ancora provato il nesso esclusivo tra caratteristiche genetiche e criminalità, né è ancora chiarito quale sia il livello dell’influenza ambientale. Gli studi sulla genetica del comportamento stanno dando rapidamente risultati, e quando, e se, risulterà con certezza che la condotta umana avrà una base genetica, si porranno gravissimi problemi etici, sia sul versante terapeutico sia sul versante giudiziario. In sostanza, il problema che l’argomento solleva è quello del libero arbitrio. E’ comunque accertato oltre ogni dubbio che circa il 90% dei detenuti possiede il cromosoma Y, che cioè sono maschi.
VULNERABILITA' GENETICA II
25/10/2009 (18:1) - LO SCONTO DI PENA CHE FA DISCUTERE
Il giudice: "E' il primo caso in Italia
Applicato un documento del 2002 "
Santosuosso: «Ma non esiste ancora
l'evidenza scientica per l'assoluzione»
Il caso di «vulnerabilità genetica» riconosciuto dalla Corte d’Assise d’Appello di Trieste «è il primo del genere in Italia». Così il giudice Amedeo Santosuosso, consigliere della Corte d’Appello di Milano, ha commentato lo sconto di pena di un anno riconosciuto a un cittadino algerino condannato per omicidio.
La sentenza, osserva Santosuosso, applica l’orientamento espresso nel 2002 nel documento britannico diventato da allora il punto di riferimento in merito alle connessioni fra caratteristiche genetiche, comportamento e responsabilità. Il documento, intitolato «Genetica e comportamento umano: il contesto etico», è stato elaborato dal Nuffield Council on Bioethics. «Le conclusioni di quel documento, in generale condivise, rilevano - spiega Santosuosso - che dalle conoscenze genetiche attuali non emerge una sufficiente evidenza scientifica tale da escludere la responsabilità e assolvere persone con determinate caratteristiche; tuttavia possono verificarsi casi in cui parziali evidenze scientifiche possono essere utilizzate per calcolare la pena».
Non è molto chiaro, al momento, che cosa si intenda per «vulnerabilità genetica». Il termine, secondo Santuosuosso, «sembra volersi riferire ad una condizione genetica che rende vulnerabili, sembra di capire sulla base di accertamenti di natura scientifica. Quale sia è tutto da vedere».
Il giudice: "E' il primo caso in Italia
Applicato un documento del 2002 "
Santosuosso: «Ma non esiste ancora
l'evidenza scientica per l'assoluzione»
Il caso di «vulnerabilità genetica» riconosciuto dalla Corte d’Assise d’Appello di Trieste «è il primo del genere in Italia». Così il giudice Amedeo Santosuosso, consigliere della Corte d’Appello di Milano, ha commentato lo sconto di pena di un anno riconosciuto a un cittadino algerino condannato per omicidio.
La sentenza, osserva Santosuosso, applica l’orientamento espresso nel 2002 nel documento britannico diventato da allora il punto di riferimento in merito alle connessioni fra caratteristiche genetiche, comportamento e responsabilità. Il documento, intitolato «Genetica e comportamento umano: il contesto etico», è stato elaborato dal Nuffield Council on Bioethics. «Le conclusioni di quel documento, in generale condivise, rilevano - spiega Santosuosso - che dalle conoscenze genetiche attuali non emerge una sufficiente evidenza scientifica tale da escludere la responsabilità e assolvere persone con determinate caratteristiche; tuttavia possono verificarsi casi in cui parziali evidenze scientifiche possono essere utilizzate per calcolare la pena».
Non è molto chiaro, al momento, che cosa si intenda per «vulnerabilità genetica». Il termine, secondo Santuosuosso, «sembra volersi riferire ad una condizione genetica che rende vulnerabili, sembra di capire sulla base di accertamenti di natura scientifica. Quale sia è tutto da vedere».
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VULNERABILITA' GENETICA
25/10/2009 (18:33) - IL CASO
"E' vulnerabile geneticamente"
Sconto di pena al detenuto algerino
All’origine dell’omicidio un'aggressione avvenuta nel 2007
+ Il giudice: "E' il primo caso in Italia Applicato un documento del 2002 "
Uccise un colombiano a coltellate
Con una indagine cromosomica
la Corte ha accertato che i geni
lo renderebbero più aggressivo
TRIESTE
Uno sconto di pena di un anno, perchè ritenuto «vulnerabile geneticamente»: è quanto la Corte d’Assise d’Appello di Trieste ha riconosciuto al cittadino algerino Abdelmalek Bayout, portando a otto anni e due mesi di reclusione la condanna per aver ucciso a coltellate nel 2007, a Udine, il colombiano Walter Felipe Novoa Perez.
Attraverso un’indagine cromosomica innovativa - secondo quanto riferisce oggi il Messaggero Veneto - è stato accertato il possesso, da parte di Bayout, di alcuni geni, che lo renderebbero più incline a manifestare aggressività se provocato o espulso socialmente. Tale «vulnerabilità genetica» si sarebbe incrociata con «lo straniamento dovuto all’essersi trovato alla necessità di coniugare il rispetto della propria fede islamica integralista con il modello comportamentale occidentale», determinando nell’uomo «un importante deficit nella sua capacità di intendere e di volere».
All’origine dell’omicidio - ricorda il presidente della Corte d’Assise d’Appello, Pier Valerio Reinotti, estensore delle motivazioni della sentenza - è stata l’aggressione subita da Bayout da parte di un gruppo di giovani, tra cui Novoa Perez, che lo avevano deriso per avere gli occhi truccati con il kajal, apparentemente per motivi religiosi. (da lastampa.it)
"E' vulnerabile geneticamente"
Sconto di pena al detenuto algerino
All’origine dell’omicidio un'aggressione avvenuta nel 2007
+ Il giudice: "E' il primo caso in Italia Applicato un documento del 2002 "
Uccise un colombiano a coltellate
Con una indagine cromosomica
la Corte ha accertato che i geni
lo renderebbero più aggressivo
TRIESTE
Uno sconto di pena di un anno, perchè ritenuto «vulnerabile geneticamente»: è quanto la Corte d’Assise d’Appello di Trieste ha riconosciuto al cittadino algerino Abdelmalek Bayout, portando a otto anni e due mesi di reclusione la condanna per aver ucciso a coltellate nel 2007, a Udine, il colombiano Walter Felipe Novoa Perez.
Attraverso un’indagine cromosomica innovativa - secondo quanto riferisce oggi il Messaggero Veneto - è stato accertato il possesso, da parte di Bayout, di alcuni geni, che lo renderebbero più incline a manifestare aggressività se provocato o espulso socialmente. Tale «vulnerabilità genetica» si sarebbe incrociata con «lo straniamento dovuto all’essersi trovato alla necessità di coniugare il rispetto della propria fede islamica integralista con il modello comportamentale occidentale», determinando nell’uomo «un importante deficit nella sua capacità di intendere e di volere».
All’origine dell’omicidio - ricorda il presidente della Corte d’Assise d’Appello, Pier Valerio Reinotti, estensore delle motivazioni della sentenza - è stata l’aggressione subita da Bayout da parte di un gruppo di giovani, tra cui Novoa Perez, che lo avevano deriso per avere gli occhi truccati con il kajal, apparentemente per motivi religiosi. (da lastampa.it)
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Trieste
sabato 10 ottobre 2009
INFIBULAZIONE A PROCESSO
IL CASO - L’UDIENZA PER LA PICCOLA SOTTOPOSTA A MUTILAZIONE. SCONTRO TRA GLI ESPERTI
«Infibulazione o sarà discriminata» Testimonianza-choc in tribunale
Verona, nigeriani a processo. Lo zio di una bimba: da noi è tradizione
Il processo che si svolge a Verona riguarda il caso di una bimba di pochi mesi che, per volere della adre è stata sottoposta a infibulazione (archivio)
VERONA — «Quella dell’infi bulazione è una tradizione in alcune zone Africa, e quindi sa rebbe sbagliato colpevolizzare una madre perché, sotto la pres sione dei parenti, sottopone la figlia a questa pratica». Oppure: «In Nigeria, se una bimba non viene 'operata' viene discrimi nata ». E ancora: «Non pregiudi ca il raggiungimento del piace re ». Anzi no. «È una barbara mutilazione». Peggio ancora: «Impedisce di vivere integralmente la propria sessualità».
Si è detto tutto e il contrario di tutto nel corso del processo a Gertrude Obaseki, 43enne nigeriana (difesa da Fa biana Treglia e Simone Berga mini), accusata di aver eseguito l’infibulazione (ovvero la muti lazione degli organi genitali femminili) su una bimba di po chi mesi e di aver tentato di fa re lo stesso su un’altra neonata. Tra gli imputati anche il padre della bambina che avrebbe do vuto essere «operata» e la mam ma di quella alla quale l’incisio ne fu invece praticata, entram bi rappresentati dagli avvocati Elisa Lorenzetto e Valentina Lombardo. Devono rispondere di violazione del secondo com ma dell’articolo 583bis che pu nisce chi «provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali fem minili da cui derivi una malat tia nel corpo e nella mente». Ri schiano dai 3 ai 7 anni di carce re.
I fatti avvennero a Verona nel 2006 e, all’epoca dell’inter vento delle forze dell’ordine, il caso fece scalpore. Fu anche il primo processo per infibulazio ne a finire in un tribunale italia no. Nel corso dell’ennesi ma udienza (si proseguirà a di cembre) sono stati sentiti alcu ni testimoni e gli esperti indica ti dalla procura e dalla difesa. Lo zio della piccola che subì l’«operazione», ha raccontato che nel 2006 ospitò per circa sei mesi la cognata. «Era incinta ha detto - e spesso parlava con suo marito al telefono. Lui le di ceva che avrebbe dovuto far operare la bimba, quando sareb be nata. Ma lei non voleva, era contraria. Lui però insisteva». E alla fine si sarebbe piegata, controvoglia, al volere della fami glia.
«In alcune zone della Nigeria - ha aggiunto lo zio della picco la vittima - è una tradizione an cora molto diffusa. Se non la fa, una bambina non viene accolta dal resto della comunità e i compagni la prendono di mira con scherzi». Come a dire che il bullismo contro il «diverso», è una piaga anche nelle scuole africane. Ma lì ad essere diver so è chi non subisce l’infibula zione. La questione culturale è stata tirata in ballo anche da Letizia Parolari, ginecologa di Milano che da anni collabora a un pro getto di sostegno alle mamme immigrate che mira anche a contrastare la pratica della muti lazione genitale. «Spesso le pressioni esercitate dai familia ri rimasti in Africa sono molto forti - ha spiegato l’esperta in gaggiata dai legali della difesa e, considerata la situazione del le donne in quei Paesi, è diffici le per una madre opporsi. Ad ogni modo questo intervento non pregiudica la possibilità di raggiungere il piacere durante il rapporto». Diversa la tesi sostenuta dal la procura che, attraverso gli esperti interpellati, sottolinea come «l’infibulazione è una mu tilazione che ha pregiudicato per quella bambina la possibili tà, in futuro, di vivere una ses sualità normale».
Andrea Priante
10 ottobre 2009 (da corrieredelveneto- verona)
«Infibulazione o sarà discriminata» Testimonianza-choc in tribunale
Verona, nigeriani a processo. Lo zio di una bimba: da noi è tradizione
Il processo che si svolge a Verona riguarda il caso di una bimba di pochi mesi che, per volere della adre è stata sottoposta a infibulazione (archivio)
VERONA — «Quella dell’infi bulazione è una tradizione in alcune zone Africa, e quindi sa rebbe sbagliato colpevolizzare una madre perché, sotto la pres sione dei parenti, sottopone la figlia a questa pratica». Oppure: «In Nigeria, se una bimba non viene 'operata' viene discrimi nata ». E ancora: «Non pregiudi ca il raggiungimento del piace re ». Anzi no. «È una barbara mutilazione». Peggio ancora: «Impedisce di vivere integralmente la propria sessualità».
Si è detto tutto e il contrario di tutto nel corso del processo a Gertrude Obaseki, 43enne nigeriana (difesa da Fa biana Treglia e Simone Berga mini), accusata di aver eseguito l’infibulazione (ovvero la muti lazione degli organi genitali femminili) su una bimba di po chi mesi e di aver tentato di fa re lo stesso su un’altra neonata. Tra gli imputati anche il padre della bambina che avrebbe do vuto essere «operata» e la mam ma di quella alla quale l’incisio ne fu invece praticata, entram bi rappresentati dagli avvocati Elisa Lorenzetto e Valentina Lombardo. Devono rispondere di violazione del secondo com ma dell’articolo 583bis che pu nisce chi «provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali fem minili da cui derivi una malat tia nel corpo e nella mente». Ri schiano dai 3 ai 7 anni di carce re.
I fatti avvennero a Verona nel 2006 e, all’epoca dell’inter vento delle forze dell’ordine, il caso fece scalpore. Fu anche il primo processo per infibulazio ne a finire in un tribunale italia no. Nel corso dell’ennesi ma udienza (si proseguirà a di cembre) sono stati sentiti alcu ni testimoni e gli esperti indica ti dalla procura e dalla difesa. Lo zio della piccola che subì l’«operazione», ha raccontato che nel 2006 ospitò per circa sei mesi la cognata. «Era incinta ha detto - e spesso parlava con suo marito al telefono. Lui le di ceva che avrebbe dovuto far operare la bimba, quando sareb be nata. Ma lei non voleva, era contraria. Lui però insisteva». E alla fine si sarebbe piegata, controvoglia, al volere della fami glia.
«In alcune zone della Nigeria - ha aggiunto lo zio della picco la vittima - è una tradizione an cora molto diffusa. Se non la fa, una bambina non viene accolta dal resto della comunità e i compagni la prendono di mira con scherzi». Come a dire che il bullismo contro il «diverso», è una piaga anche nelle scuole africane. Ma lì ad essere diver so è chi non subisce l’infibula zione. La questione culturale è stata tirata in ballo anche da Letizia Parolari, ginecologa di Milano che da anni collabora a un pro getto di sostegno alle mamme immigrate che mira anche a contrastare la pratica della muti lazione genitale. «Spesso le pressioni esercitate dai familia ri rimasti in Africa sono molto forti - ha spiegato l’esperta in gaggiata dai legali della difesa e, considerata la situazione del le donne in quei Paesi, è diffici le per una madre opporsi. Ad ogni modo questo intervento non pregiudica la possibilità di raggiungere il piacere durante il rapporto». Diversa la tesi sostenuta dal la procura che, attraverso gli esperti interpellati, sottolinea come «l’infibulazione è una mu tilazione che ha pregiudicato per quella bambina la possibili tà, in futuro, di vivere una ses sualità normale».
Andrea Priante
10 ottobre 2009 (da corrieredelveneto- verona)
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